Era una serata estiva, calda, ed era notte fonda. La cantina era buia, umida, silenziosa solo in apparenza. Una lampadina spoglia penzolava dal soffitto, diffondendo una luce gialla, che ci avvolgeva come in una scena rubata. Eravamo completamente nudi. Il pavimento polveroso sotto i piedi. Le nostre voci, i respiri, i gemiti riempivano lo spazio. Non c'era alcuna voglia di stare zitti.
Lei era in piedi, appoggiata al muro con le mani aperte contro il cemento grezzo, le gambe leggermente divaricate, il culo teso verso di me. Le avevo passato una mano tra le cosce preparandola. Quando entrai nel suo culo, gemette forte, senza ritegno. Si piegò in avanti con un colpo secco di fianchi, e iniziò a spingere indietro con una fame che mi fece perdere la testa.
Le tette le rimbalzavano a ogni colpo. Le afferrai con entrambe le mani, le strinsi, le tirai mentre continuavo a penetrarla più forte, sempre più dentro. Ogni spinta le strappava un gemito, un sussulto, un mugolio sporco che mi faceva eccitare ancora di più.
Mi implorava, ma con un sorriso sporco sulle labbra. Era completamente persa nel piacere, nel mio ritmo. Si piegava di più, si apriva di più, voleva tutto. E io glielo davo. Fino in fondo. Ogni spinta era più feroce della precedente, fino a quando sentii montare l’orgasmo come un’onda incalzante.
Venni con dei colpi profondi, rabbiosi. Le versai tutto dentro, mentre lei si aggrappava al muro come per non crollare. Restammo così un attimo, ansimando entrambi, le nostre pelli appiccicate dal sudore, dai fluidi, dall'euforia. 
Poi lei si voltò. Le cosce ancora tremanti, le tette grandi e sode segnate dalle mie dita. Senza dire una parola, si mise in ginocchio davanti a me e me lo prese in bocca. Eccitato, iniziai a sbatterle il cazzo sulla lingua con forza, mentre lei mi guardava dal basso come se volesse farmi impazzire. Poi continuò a succhiarmelo con voracità, cercando di prendere ogni centimetro possibile con la gola aperta e la lingua ovunque. Era ancora affamata e non mi lasciava tregua. Il suo ritmo era feroce, continuo. 
E io ero di nuovo pronto.
Quando stavo per venire di nuovo, mi fissò dritto negli occhi: non voleva perdersi un attimo del mio orgasmo. Aprendo la bocca del tutto, tirò fuori la lingua per offrirmela come un piatto, mentre nel frattempo mi guardava con quel sorriso beffardo e impudente. 
Venni una seconda volta, addosso a lei. Sul viso, sulla lingua, sulle tette — e anche sui suoi grossi occhiali, che portava ancora addosso dall'inizio, senza mai toglierli. Era un'esplosione continua, calda e abbondante. Alcuni schizzi le andarono dritti in bocca, altri invece le segnarono il viso e il corpo, come se stessi marcando ogni centimetro di lei. Il vetro dei suoi occhiali si sporcò di gocce dense, che scivolarono lentamente lungo le lenti appannate dal respiro. 
Lei mi guardò un po’ sorpresa e si lasciò colare il mio sperma addosso, per poi leccarsi le dita una ad una, lentamente, con gusto. Prese quindi le mie mani, ancora sporche del suo corpo e del mio, e iniziò a leccare anche quelle, una dopo l’altra, senza staccare gli occhi dai miei. Infine, si passò la lingua sulle lenti degli occhiali, raccogliendo anche da lì, con la stessa fame sporca e consapevole, come se non volesse lasciare nulla.
Mi guardò e mi sorrise con ingenuità. Ridemmo insieme. 
In quella cantina, nel buio sudato, non eravamo più solo amanti. Eravamo animali. Affamati. Liberi.
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