Almeno una volta la settimana andavo a trovare un kebabaro dalle parti di Via Padova col quale avevo allacciato amicizia. Ci guadagnavo la colazione gratis e le mance di certi suoi compari che, messi sull'avviso da lui, passavano in negozio e coi quali mi intrattenevo nell'annesso magazzino. 


Erano pompe fatte a vecchi moscioni ai quali solo la mia abilità, non dico per vantarmi, riusciva a tirar fuori dalle palle qualche goccia di sborra.


Così quel giorno. Avevo già fatto velocemente il servizio al titolare, un obeso circonciso e odoroso di sudore misto a salse, e a un paio d'altri. Stavo rifocillandomi quando fece irruzione nel locale un mandingo di razza.   


Non saprei dire se fui io ad abbordare lui o il contrario. Le nostre strade comunque si incrociarono fatalmente in quel kebab, in un angolo di Nordafrica teletrasportato a Milano, in una rovente mattinata della scorsa estate, la città a un quarto di servizio per ferie. 


Mezzogiorno da poco scoccato. Lui nero come la pece e in tenuta da muratore. Io nella mia consueta tenuta di caccia, pantaloncini jeans sfilacciati all'inguine, infradito, canotta, occhiali scuri, borsello. Giudicai fosse in pausa pranzo sebbene stranamente  solo e non intruppato.


Eravamo gli unici avventori. Io stavo intrespolato in un angolo con un trancio di pizza in mano e la cola poggiata sulla mensola che correva lungo tutta la parete di fondo. Lui in piedi accanto al bancone che chiacchierava col proprietario intanto che addentava voracemente il suo panino fetente e sorseggiava da una lattina di birra. 


Squillò il cellulare all'untuoso ciccione e la conversazione tra loro due si interruppe. Fu allora che sentii il suo sguardo posarsi sulle mie cosce glabre e bianche come il latte. Lo sostenni e corrisposi e allora lui venne a sedersi sul trespolo accanto al mio.


Non furono necessarie troppe parole. Bastò che io cercassi con lo sguardo il suo pacco.


"Sei bello grosso" mormorò allungando una mano fino a toccarmi, facendomi vibrare dentro. "Ci vieni con me?" soggiunse con voce più bassa.


"Si..." risposi in un soffio.


Terminammo in fretta di mangiare.


"Vieni" disse e  lo seguii all'esterno sotto lo sguardo allusivo del grassone che pur continuava a parlare al telefono.


Lo tallonai che costeggiò l'isolato. Mi ritrovai con lui sotto il ponteggio di un cantiere. Lo seguii ancora in un sottoscala in penombra.


"Vieni qui" disse sospingendomi in un andito coperto. "Fra poco vengono pure gli altri, ma qui non ci disturbano".


Aprì il pantalone e portò allo scoperto la dotazione.


"Mettiti giù. Inginocchiati" disse indicandomi un cumulo di pezze in un angolo.


Obbedii e mi disposi a lavorarglielo con la bocca.


Lo sentii all'istante enorme tra le labbra, sulla lingua.


"Che buon sapore..." mormorai mentre riprendevo un attimo fiato. "Me lo fai però poi un regalino?"


La richiesta dovette coglierlo di sorpresa. Mi fissò dall'alto qualche secondo prima di rispondere.


"Si se te lo fai mettere nel culo" disse.


Non replicai né si né no ma mi limitai a sorridergli e a riprendere il lavoro con la bocca.


Ormai era duro come il marmo. Mi staccai e manovrai per recuperare un preservativo dal borsello. Lo distesi con cura sul suo attrezzo. Mi misi a culo nudo e mi posizionai a pecora.


"Scopami" esortai.


Impaziente crollò ginocchioni, mi afferrò i fianchi con entrambe le mani callose e risoluto me lo spinse dentro tra le chiappe. 


Soffocai l'urlo che d'un tratto cercò di erompere e lo convertii in esclamazioni di voluttà.


"Ah! Si! Spingi spingi fino in fondo. Ah! Che piacere. Si. Aprimi tutto. Aprimi" continuai a mormorare più o meno tutto il tempo, finché lo sentii irrigidirsi e vibrando scaricarsi con grugnati bestiali.


"Vecchia troia..." lo sentii mormorare intanto che lo tirava fuori. Io mi girai, gli sfilai con cura il preservativo colmo in punta di bella sborra ombrata e presi a leccargli l'asta ancora turgida e bagnata, saporosa.


 


  


       


 

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Categorie: Gay e Bisex