Il mio vero nome è Amedeo, ma il mio nome di battaglia, quello col quale sono conosciuto da clienti e amanti, è Medea. Checca ormai incanutita mi vendo per pochi spiccioli a barboni e immigrati clandestini senza occupazione. Vivo a Milano e, se la cosa può interessare, è possibile incrociarmi all'Ortica e dintorni, più frequentemente nei paraggi di una qualche mensa o ricovero per senzatetto, luoghi che costituiscono il terreno di caccia da me più battuto.
Mi va di raccontare una cosa accadutami di recente.
Non è mia abitudine cercare approcci in rete ma, tanto per verificare lo stato dell'arte, sporadicamente e per mera curiosità vado a spulciare due o tre siti di incontri. Così quel giorno. Diluviava da ore e non solo i parchi impantanati, bensì anche vie e marciapiedi affogati non incoraggiavano sortite fuori di casa.
Accesi il pc e finii a una carrellata tra nerchie profferte e culi. Fui attratto dalla richiesta di una vittima volontaria per sedute bondage. Attratto e incuriosito risposi, ma scoprii che il torturatore abitava fuori mano per me che non guido, nell'interland, tra Vittuone e Arluno. Si offrì lui di passare a prendermi e allora accettai.
Così il giorno dopo mi ritrovai in un appartamento tenuto in penombra, con angoli decisamente bui a causa delle finestre serrate. Il tipo, un vegliardo ancora in forma, era più alto di me un buon palmo. Si presentò come Vittorio e mi ordinò di spogliarmi subito nell'ingresso. Poi mi sospinse, nudo come un verme. in uno stanzino attrezzato da camera di tortura. Vi campeggiava un robusto trono di legno circondato da attrezzi di varie specie.
<<Dobbiamo metterci d'accordo sulle regole>> disse nel contempo che mi spingeva a sedermi. <<Ti legherò e ti tapperò la bocca. Ti farò molto male e se a un certo punto il dolore ti diventerà insopportabile tu comincia a sbattere violentemente le palpebre e io mi interrompo, ma sappi che mi deluderai assai>>.
<<Va bene. Facciamolo. Fallo. Sono nelle tue mani>> dissi io, pur dopo una lieve esitazione.
Cominciò giostrare. Mi legò i polsi ai braccioli e per le caviglie alle gambe anteriori dello scranno. Lo vidi armeggiare con una sfera che mi ficcò in bocca e già stava per assicurarmela al capo tramite cinghie quando desistette, si ritrasse e la sostituì con un'altra fornita di fori.
<<Così respiri meglio. Sei una vecchia troia ciccia e non voglio che ti viene il coccolone qui, a casa mia>>.
<<Respiri?>> domandò dopo che ebbe stretta la fibia dietro la mia nuca. Feci cenno di si col capo.
Tanto per cominciare mi applicò ai capezzoli minuscole pinze d'acciaio. Io già sobbalzai di dolore quando le strinse. Notai che erano collegate tra loro con una catenella e tramite un sottile cavo elettrico a una sorta di trasformatore con manopola adagiato sul pavimento. Con terrore vidi Vittorio collegarlo alla presa a muro e poi muovere impercettibilmente una manopola.
Sobbalzai e vibrai per la scossa. Girai il capo violentemente a destra e sinistra ma mi sforzai di tenere gli occhi spalancati senza sbattere le palpebre.
Reiterò il gesto più volte e mi parve di sentir salire infine alle narici un vago odore di carne bruciacchiata.
Lo vidi finalmente staccare la spina e accingersi a passare ad altro.
Mi si mostrò con in mano uno strano attrezzo, spiegandomi che lo usava per spronare i cavalli quando anni prima gestiva un maneggio. Ma non era un ordinario frustino, bensì un affare mi parve di legno con un manico ad angolo, un po' come l'arco dei contrabassi. Cominciò a battermi con quello, sulle cosce e sul ventre.
<<Puttana. Soffri troia lurida. Cagna>> diceva, eccitato.
Era rimasto in tuta e, mentre con una mano mi batteva, con l'altra prese a tastarsi la patta.
Me ne fece altre nel corso di un'ora buona.
Da ultimo mi liberò ma, io vacillante, mi sospinse su una sorta di panca, mi obbligò a coricarmici sopra e prese a battermi con un più classico attrezzo, un nerbo di bue, sulle natiche sopratutto, ma anche sulla schiena e sulle gambe.
Smise all'improvviso, mi aiutò a sollevarmi, mi liberò anche la bocca.
<<Adesso andiamo a letto, zoccola, così mi fai una pompa>>.
Mi obbligò verso una porta scorrevole che aprì su un'alcova. Mi spinse sull'ampio letto coperto con un telo grezzo. Ci si coricò supino e si abbassò i pantaloni della tuta. Mi mostrò il suo cazzillo in erezione e mi spronò a baciarglielo. Obbedii posizionandomi ginocchioni. Lo lavorai un po' con le labbra e la lingua, poi gli chiesi se voleva mettermelo in culo.
Lui fece cenno di no, però lo vidi sollevarsi e da un comodino tirare fuori un vibratore di notevoli dimensioni.
<<Questo l'ho comprato in Belgio>> disse. <<Mettiti a pecora che ti impalo>>.
Obbedii e lui mi lavorò a lungo con mia grande soddisfazione, coprendomi di vituperi tutto il tempo.
Infine smise e mi trascinò in bagno, mi spinse nel box doccia.
<<Inginocchiati>> ordinò.
Obbedii e lui subito cominciò a pisciarmi addosso.
<<Apri la bocca! Apri la bocca!>> esclamò ingiuntivo.
Obbedii e un po' riuscii a berne. Intanto il gesto aveva stimolato anche me e a mia volta mi pisciai sotto.
Poi cominciò a masturbarsi.
<<Avvicina la bocca. leccami le palle>> ordinò e dopo un po', finalmente, mi sborrò in faccia.
Soddisfatto si richiuse e si ritrasse.
<<Se vuoi farti la doccia...>> disse.
<<No grazie, voglio tenermi addosso tutto. Poi me la faccio con calma a casa mia>>.
Mi rivestii.
Lui disse che adesso non aveva voglia di riportarmi a Milano, che al massimo poteva accompagnarmi alla stazione.
Dovetti accettare.
Prima di lasciarci concordammo di rivederci, di rimanere in contatto tramite telegram.
