9. L'Inquietudine del Giorno


 


Il sole picchiava già forte contro le persiane socchiuse, proiettando lame di luce calda sulla camera da letto ancora intrisa del silenzio della notte appena trascorsa. Il padre era uscito presto per andare al lavoro, lasciando la casa immersa in una quiete apparente.


 


Lei si era svegliata con un senso di stanchezza opprimente, il corpo ancora scosso dai brividi di un ricordo che cercava disperatamente di relegare in un angolo oscuro della mente. Si era alzata lentamente, sentendosi stranamente fragile, come se un velo sottile la separasse dalla realtà.


 


La casa era silenziosa, un silenzio teso e innaturale. Sapeva che lui era lì, nella sua stanza, ma non sentiva alcun rumore. Un brivido la percorse, unito a un senso di crescente inquietudine. Non era la prima volta che il silenzio dopo i rumori dalla camera dei genitori le metteva un nodo allo stomaco. Non era la prima volta che, sbirciando, aveva colto frammenti di intimità che lo avevano fatto sentire a disagio, confuso. Sapeva, a modo suo, che sua madre e suo padre facevano "cose da adulti", cose che a volte sembravano intense, quasi violente nei suoni, e che lo facevano sentire un intruso, un testimone di qualcosa che non lo riguardava.


 


Era estate, il caldo afoso rendeva l'aria densa e appiccicosa anche all'interno. Lei indossava una vestaglia leggera, sentendo il tessuto aderirle alla pelle umida. Mentre si muoveva per la casa, cercando di dare un senso a quella mattinata surreale, lo vide.


 


Era in cucina, in piedi vicino al frigorifero aperto, completamente nudo. La luce cruda del mattino illuminava il suo corpo ancora imberbe, la sua nudità ostentata e silenziosa. La guardò negli occhi, senza dire una parola, un'espressione indefinibile dipinta sul volto. Non era la prima volta che lo vedeva così in casa, soprattutto d'estate, ma dopo la notte precedente, quella nudità aveva assunto una connotazione diversa, inquietante.


 


Un'ondata di disagio e repulsione la investì. Si strinse la vestaglia intorno al corpo, sentendo il cuore battere più forte. "Copriti," riuscì a dire, la voce appena un sussurro.


 


Lui non si mosse. Continuò a fissarla, i suoi occhi che la scrutavano con un'intensità che lei non aveva mai visto prima. Sembrava esserci una sfida nel suo sguardo, una provocazione silenziosa che le fece serrare la mascella. Sapeva che lei e suo padre facevano "cose vergognose", come le aveva sentite sussurrare una volta a una sua amica al telefono. Cose che lo facevano sentire strano, un po' sporco, anche se non capiva bene cosa fossero.


 


"Fa caldo," rispose infine, la voce piatta, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Prese una bottiglia d'acqua dal frigorifero e bevve lentamente, senza distogliere lo sguardo da lei.


 


Lei si sentì invadere da un misto di rabbia e paura. "Non mi importa. Non puoi girare nudo per casa."


 


Lui appoggiò la bottiglia sul ripiano, un sorriso appena accennato che gli increspò le labbra. Si avvicinò lentamente a lei, i suoi passi silenziosi sul pavimento fresco. Lei si sentì paralizzare, incapace di muoversi. Sapeva che lei e suo padre facevano "cose vergognose", come le aveva sentite sussurrare una volta a una sua amica al telefono. Cose che lo facevano sentire strano, un po' sporco, anche se non capiva bene cosa fossero.


 


"Perché no, mamma?" sussurrò, la voce bassa e insinuante, lo stesso tono che aveva usato la notte precedente. Si fermò a pochi passi da lei, la sua nudità così vicina, così ostentata, da farle mancare il respiro.


 


Lei si strinse ancora di più nella vestaglia, sentendo il suo sguardo percorrerla da capo a piedi. Si sentiva violata, esposta, anche se era vestita. La sua presenza nuda nella casa, dopo quello che era successo, era un atto di sfida, un promemoria silenzioso di un confine pericolosamente varcato. Sapeva che lei faceva cose con suo padre, cose che a volte la facevano sembrare... diversa.


 


"Questo non è... normale," riuscì a dire, la voce tremava leggermente. "Devi vestirti."


 


Lui alzò le spalle, un gesto di noncuranza studiata. "Ieri sera non ti dava fastidio."


 


Le parole la colpirono come uno schiaffo. Il ricordo della notte precedente, la vergogna e il disgusto, tornarono a tormentarla con una violenza inaudita. Sentì il viso avvampare. Sapeva che lui aveva sentito, forse anche visto. Sapeva che lui aveva percepito la sua solitudine, il suo bisogno inespresso. E ora, usava quella sua consapevolezza contro di lei.


 


"Non... non dire così," riuscì a balbettare, cercando di mantenere un tono di fermezza. "Quella è stata una cosa... sbagliata. Non deve succedere mai più."


 


Lui si avvicinò ancora di un passo, la sua nudità ora quasi a contatto con la sua vestaglia. Lei sentì un brivido di repulsione percorrerla. Sapeva che lei faceva cose con suo padre, cose che lo facevano sentire a disagio, e ora lui, in quel modo, la faceva sentire allo stesso modo.


 


"Perché?" sussurrò, i suoi occhi fissi nei suoi. "Non ti è piaciuto?"


 


Le parole del figlio, così dirette e cariche di una perversione inquietante, la lasciarono senza fiato. Sentì il panico montare dentro di lei. Quella mattina, il caldo afoso dell'estate si era trasformato in un'opprimente cappa di terrore e disgusto. Sapeva che doveva fermarlo, doveva ristabilire un confine che sembrava essersi pericolosamente dissolto. Ma la paura le serrava la gola, rendendo ogni parola una lotta. Sapeva che lui aveva visto, aveva sentito, e ora la guardava con occhi che non erano più quelli di un innocente.

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