Questa storia, credetemi, è di quelle che ti restano dentro, che ti modellano, quasi condizionando ogni singola scelta sentimentale e, perché no, anche le passioni più intime. Ricordo ancora quei giorni come fosse ieri. Avevo appena iniziato a lavorare in un negozio di alimentari. Le medie erano finite da poco e l'idea di continuare a studiare proprio non mi attirava. Volevo la mia indipendenza, guadagnare i miei soldi, non pesare più sui miei genitori. Così, accettai di fare la commessa 'tuttofare'.
Vivevo in un paesino di provincia, una di quelle realtà dove tutti si conoscono, e il negozio era nel capoluogo , a una dozzina di chilometri di distanza. Un tragitto che facevo quattro volte al giorno, pendolare del mio stesso destino, affidandomi al bus. Dopo qualche mese, l'aria natalizia iniziò a farsi sentire, e con essa, il lavoro diventò più incalzante. Le giornate lavorative si allungavano, i ritmi si facevano frenetici. Una sera, finii un po' più tardi del solito, con il cuore in gola per la fretta. Corsi alla fermata del bus, ma lo vidi, con una punta di rammarico e frustrazione, partire proprio mentre stavo per raggiungerlo. Erano da poco passate le 19:30, e il prossimo bus? Sarebbe passato solo alle 20:40. Un'eternità.
Per carattere, l'idea di stare lì ferma per tutto quel tempo mi agita, mi innervosisce. L'ansia si mischia alla noia, e il tempo sembra non passare mai. Così, mi dissi: \"No, non ce la faccio\". E decisi di incamminarmi, l'idea era quella di spostarmi di fermata in fermata lungo il percorso del bus.
Nel giro di una ventina di minuti, percorsi tutte le fermate cittadine. Ormai ero ai margini della città, in periferia. Le strade cominciavano a essere extraurbane, immergendosi nella campagna circostante. Mancavano ancora una quarantina di minuti al passaggio del bus. Ero tentennante, un bivio nella mente: aspettare lì, al freddo e al buio , o continuare a camminare, sfidando una distanza ignota? Alla fine, la noia che mi rodeva dentro ebbe la meglio. Decisi di incamminarmi di nuovo, spinta da una certa testardaggine.
Ma dopo un po', la realtà mi colpì in pieno viso. A piedi, la distanza era davvero tanta. Allungavo il passo, quasi correndo, la paura che il bus potesse passare prima che raggiungessi la prossima fermata mi attanagliava lo stomaco. Quello delle 20:40 era l'ultimo, e non potevo permettermi di perderlo. Alcuni tratti erano poco illuminati, quasi completamente bui, e il rischio di non essere vista dalle macchine di passaggio mi faceva stringere il cuore.
Ero stanca, provata. Avevo camminato veloce per un bel pezzo, il fiatone mi dava il tormento. Il freddo iniziava a farsi sentire, penetrando gli strati dei miei vestiti. In quel momento, capii di aver fatto la scelta sbagliata, ma ero troppo ostinata per tornare indietro. Dovevo insistere, non mancava moltissimo, mi dicevo per darmi coraggio. Ma proprio mentre pensavo di avercela fatta, vidi il bus. Una sagoma che sfrecciava, una freccia nel buio che non lasciava scampo. Cazzo. Non riuscii nemmeno a farmi vedere. L’ennesima delusione.
Ora ero nel bel mezzo del nulla, o quasi. Che fare? Percorsi quel centinaio di metri fino alla fermata successiva, poi, ansimante e incazzata nera, mi lasciai cadere sotto la pensilina. Mi veniva da piangere, ero sull'orlo di una crisi di nervi. Non avevo la possibilità di telefonare a nessuno. Mi ripresi un po', respirai profondamente e cercai di ragionare. A piedi era una strada lunghissima, mancavano almeno otto chilometri. Impossibile.
Fu lì che decisi: avrei provato a cercare un passaggio. Sapevo che non si dovrebbe fare, che è pericoloso, ma quale altra alternativa avevo in quel momento? La disperazione mi assalì, ma anche una strana calma si fece strada. Con mio piacevole stupore, la seconda macchina che passò si ferm , spiegai rapidamente la mia situazione e dove avrei voluto andare. Il signore al volante, con un'espressione gentile e rassicurante, mi disse che al bivio, quattro chilometri più avanti, lui avrebbe preso un'altra direzione, ma almeno da lì non sarebbe mancato molto alla mia destinazione. Ero un po' dubbiosa, incerta se salire o provare con un'altra macchina, vista la facilità con cui avevo trovato il primo passaggio. Lui, allora, sorridendo, mi disse: \"Dai, sali, che mentre andiamo mi verrà voglia di portarti fino a casa. Quattro chilometri in più non sono molti\".
Quelle parole furono una carezza. Rassicurata e felice, salii. \"Mi presento, Alessandra\", dissi con un sorriso. \"Piacere, Mario\", rispose lui. Mentre andavamo, mi raccontò che anche lui tornava dal lavoro, e che viveva più verso Milano, mentre io ero diretta più verso Varese.
Lo osservai un attimo. Era un uomo tra i 50 e i 60, ben vestito, moro, con una barba che sembrava di pochi giorni, ma curata, ordinata. Mi sentivo incredibilmente tranquilla, era una sensazione inaspettata dopo la frustrazione e la paura di poco prima. Stavo tornando a casa, e in una ventina di minuti, pensavo, sarei arrivata. Lui parlava di sé con molta calma, e notai che guidava con estrema lenteza. Stava sempre sotto i 40 chilometri orari, una cosa un po' strana, mi parve. La strada era libera, anzi, le poche macchine che incontravamo ci arrivavano da dietro e ci superavano senza problemi.
Dopo avermi raccontato un po' di sé, iniziò a farmi delle domande. Prima quelle classiche, per conoscersi in modo generale: cosa facevo, da dove venivo, i miei sogni. Poi, le domande si fecero più personali. \"Hai il ragazzo?\", mi chiese con un tono quasi amichevole. Io risposi di no, e lui, con un leggero sorriso, mi disse: \"Come mai? Sei molto carina\". E lì, in quel preciso istante, la sua mano si posò sul mio ginocchio.
Ora, la sensazione di tranquillità che mi aveva accompagnato fino a quel momento si frantumò in mille pezzi. Ero imbarazzatissima, presa alla sprovvista. Cosa era successo? Fino a un minuto prima era tutto normalissimo, un semplice passaggio, una conversazione tranquilla. E ora? Che faccio? Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, la mente un vortice di pensieri. Rimasi in sospeso, il fiato bloccato, aspettando. Che cosa avrei fatto? Il viaggio non era ancora finito.

«Paura e passione sono la copia corretta e riadattata nei modi ma non nella sostanza dei ( miei primi racconti che ho pubblicato qui molti anni fa»
«Mmmmm molto interessante ????»