7. La Rivelazione Silenziosa


 


La sua richiesta la paralizzò per un istante. Il terrore si mescolò a una confusione lancinante. "No," riuscì a sussurrare, la voce tremava nonostante il tentativo di fermezza. "Non va bene. Devi tornare nel tuo letto."


 


Ma la presa del figlio si fece più stretta. Sentiva il suo corpo premere contro il suo con una forza inaspettata. Il suo respiro caldo continuava a lambirle il collo, e quel contatto, un tempo innocente, ora le provocava un brivido di puro disgusto.


 


"Perché no, mamma?" sussurrò lui, la voce bassa e insistente, carica di un'emozione che lei non riusciva a decifrare, ma che la spaventava profondamente.


 


Cercò di divincolarsi, di allontanarsi da quel contatto opprimente, ma lui la teneva stretta, intrappolandola in una posizione scomoda e angosciante. "Questo non è giusto," riuscì a dire, la voce un lamento soffocato. "Sei mio figlio."


 


"Lo so," rispose lui, la voce ancora più bassa, quasi un gemito. "Ma... ti voglio bene."


 


Quelle parole, pronunciate in quel modo, in quel contesto, ebbero un effetto ancora più sconcertante. Il "ti voglio bene" di un figlio si era trasformato in qualcosa di distorto, di minaccioso.


 


Sentì il suo corpo irrigidirsi ancora di più. La sua mente cercava disperatamente una via d'uscita, una spiegazione razionale a quell'incubo ad occhi aperti. "Devi lasciarmi andare," disse, la voce ora carica di un'urgenza disperata. "Tuo padre è qui."


 


"Lui dorme," rispose il figlio, la sua voce ora quasi un sussurro lascivo. "Non si accorgerà di niente."


 


Un'ondata di nausea la assalì. Il suo corpo reagì con un fremito di repulsione. "Smettila," riuscì a dire, la voce spezzata. "Questo è... sbagliato."


 


Ma lui non la ascoltava. Sentiva la sua presa farsi ancora più audace, il suo corpo strusciarsi contro il suo con una pressione inequivocabile. La sua mente urlava, ma la paura le paralizzava il corpo. Si sentiva intrappolata, violata, in un modo che non avrebbe mai potuto immaginare.


 


"Ti prego," sussurrò, le lacrime che iniziavano a rigarle il viso nell'oscurità. "Lasciami andare."


 


Ma il figlio non si mosse. Il suo respiro continuava a lambirle il collo, e la sua presenza nel letto, un tempo fonte di gioia e protezione, si era trasformata in una minaccia oscura e incomprensibile. La notte, già carica di un disagio inespresso, si era trasformata in un incubo reale, in una prigione silenziosa e terrificante.

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