La settimana sembra scivolare via come sabbia tra le dita. La mente continua a tornare all’episodio nei momenti meno opportuni. Non appena mi convinco di averlo superato eccolo ricominciare a rimbalzarmi in testa come una pallina matta. Ogni volta mi ritrovo con lo sguardo annebbiato, la mente lontana ed il cazzo di marmo. Ho provato a masturbarmi con del porno ben fatto, ma sembra che oramai nulla mi ecciti come rivivere le sensazioni di quella mattina. 
Il sabato sera mi devasto di superalcolici, ma le poche ore di spensieratezza le ripago duramente il giorno dopo con un post-sbornia terrificante.
Il lunedì mattina mi sveglio finalmente riposato, ma con lo stomaco chiuso dall’ansia. L’idea di dover rivedere Sara mi spaventa e mi eccita in egual misura. Una parte di me vorrebbe chiudersi a chiave in camera ed aspettare che se ne vada, un’altra vorrebbe pateticamente strisciare ai suoi piedi e chiederle di punirmi di nuovo. Senza remore. Assoggettarmi al suo volere fino a fare di me una sua proprietà.


La paura prevale sull’eccitazione e me ne rimango al sicuro della mia camera per tutta la mattina. L’orecchio teso a captare ogni rumore proveniente dall’esterno. I nervi a fior di pelle. Il piede destro che tamburella nervoso senza sosta sotto la scrivania. Tento di distrarmi, ma è tutto inutile.
Mancano 20 minuti al rientro dei miei genitori per pranzo ed alla fine del turno di Sara. Credo di sentirmi, sotto sotto, deluso. Speravo spalancasse la porta e mi costringesse di nuovo a masturbarmi per lei? Volevo davvero essere umiliato nuovamente? Degradato a spettacolo indecente per il suo sguardo? Forse. Non lo so. Sono poche le cose di cui sono sicuro ultimamente. 


Devo solamente raccogliere i pezzi del mio ego infranto e andare avanti. Domani è un altro giorno. Magari scrivo a Lorenzo, ci facciamo una birra, due chiacchere e ce ne andiamo a… La porta si spalanca con uno schiocco secco facendomi saltare sulla sedia dallo spavento. I miei occhi sgranati incontrano quelli di Sara. E’ felice, euforica quasi. Sembra trattenere a stento i suoi impulsi, come se dovesse lottare per non urlare.
“S-Sara?”


Entra e richiude la porta dietro di se. E’ bella da far paura. Il busto è fasciato da una magliettina aderente che termina poco sopra l’ombelico e le avvolge le tette disegnandone perfettamente le curve. E’ senza reggiseno. La minigonna colorata le svolazza intorno alla vita e fa da preludio a delle calze nere che le avvolgono le interminabili gambe per poi andare a nascondersi nelle classiche scarpe da ginnastica bianche che indossa tutti i lunedì.
“Come sta il mio pervertito preferito oggi?”
“I-io..”
“Lascia perdere, non me ne frega un cazzo in realtà. Spogliati, avanti”
La guardo incredulo. Possibile che per lei sia tutto così naturale? Scontato? Si aspetta davvero che da oggi in poi scatti sull’attenti ad ogni suo ordine? Il mio cazzo risponde per me: sì. 
Mi alzo e mi spoglio velocemente. Più impaziente di quanto immaginassi. Il cazzo già barzotto, gli occhi rapiti dalle sue forme. Rimango in piedi nudo come un verme, in attesa di un suo ordine.
“Giù a 4 zampe e vieni da me”
Non mi pongo nemmeno più domande. La mente è stranamente vuota. Mi stendo a terra a quattro zampe e gattono piano verso di lei. 
“Scodinzola”
Prendo a dimenare il culo a destra e sinistra come fossi un cane che fa le feste alla sua padrona. Una Padrona. Ecco chi è. La MIA Padrona.
Scodinzolo e gattono fino ad arrivare proprio sotto di lei. Alzo lo sguardo ad incontrare il suo. Il corpo teso in attesa di una sua mossa.
La osservo portare il piede sinistro dietro a quello destro e sfilarsi la scarpa con un movimento fluido. La calcia lontano con noncuranza e torna a fissarmi sprezzante.
“In ginocchio” Fredda. Autoritaria.
Mi dà due calcetti con il piede fasciato dalla sola calza su entrambe le ginocchia.
“Gambe divaricate”
Eseguo sedendomi sui talloni.
Il suo piede si stacca da terra silenzioso e mi appoggia l’alluce poco sopra l’ombelico. Il ruvido delle calze mi gratta la pelle in maniera sublime e lo sento risalire lungo il mio corpo. Ne seguo il percorso con la mente. Lo sento sul petto. Sul collo. Sotto il mento. Mi costringe ad alzare il volto. Poi si stacca e ne appoggia l’intera pianta sul mio viso schiacciandomi leggermente il naso. Chiudo gli occhi istintivamente.
“Guardami”
Li riapro e la guardo. Il suo volto sembra in estasi, come se provasse un piacere travolgente. Sembra quasi vulnerabile così, ma anche tremendamente spaventosa.
Inspiro a fondo riempiendomi le narici del suo odore. Sa di curato, ma anche di sudore e scarpe. La calza è umida e mi sporca il viso rendendolo appiccicoso. Ogni respiro aggiunge vigore alla mia erezione oramai inesorabile. Vorrei tirare fuori la lingua e leccarlo ma non ho il coraggio di prendere l’iniziativa. Sembra quasi leggermi la voglia negli occhi.
“Apri la bocca”
La spalanco e tiro fuori la lingua. Avido di sentire il suo piede dentro di me. La salivazione a mille. Gli occhi vitrei. Rimango in attesa paziente. I secondi sembrano allungarsi. La sento far scivolare la pianta del piede lungo il mio viso e sulla mia lingua. Lentamente. Ci appoggia le dita fasciate e me le spinge in bocca. L’alluce mi graffia una guancia mentre le altre 4 scivolano dentro. Le avvolgo con le labbra e comincio a succhiarle dolcemente. Quasi massaggiandole. Il mio unico pensiero è compiacerla. Renderla orgogliosa. Farla godere del mio corpo come se fosse il suo.
Pian piano abbassa la gamba costringendomi a chinare il capo per non perdere il contatto con le sue dita. Un rivolo di saliva fuoriesce dalle mie labbra e lo vedo correre lungo la sua calza risalendo fino alla caviglia. Il cazzo comincia a pulsare al ritmo del mio cuore accelerato.
“Ora basta”
Rilasso le labbra e la sento uscire completamente bagnata della mia saliva. Lo sguardo rivolto al pavimento in attesa della sua prossima mossa. 
Finalmente il suo piede scende a sfiorarmi il cazzo strappandomi un sospiro di sollievo. La pianta appoggiata sulla cappella comincia a spingerlo verso il basso piegandolo con fatica. Giro i talloni abbassando il sedere e mi ritrovo inginocchiato a terra con le palle gonfie a contatto col suolo. La sento spingermi il cazzo a terra lenta ma inesorabile fino ad arrivare a schiacciarlo con tutta la pianta del piede. Il dolore è sublime ed amplifica il piacere della stretta. Comincio a gemere senza rendermene conto mentre aumenta la pressione. Il pavimento è freddo e lo sento pungermi la cappella come trafitta da mille schegge ghiacciate. Comincia a muovere il piede avanti e indietro masturbandomi stretto in quella doppia morsa. Sento il piacere crescermi nel basso ventre come acqua in ebollizione. I secondi diventano minuti.
Il rumore della macchina che imbocca il vialetto mi riporta alla realtà facendomi perdere un battito.
“S-Sara…i miei..”
“Credo proprio che ti convenga sbrigarti a venire, ragazzino, se non vuoi essere visto così” mi sorride come posseduta. Sgrano gli occhi e mi concentro sul suo piede. Devo venire. Ora. Cazzo. Cazzo!
La pressione del suo piede aumenta fino a diventare quasi insopportabile. Mi ritrovo a muovere il bacino avanti e indietro come se stessi scopando il pavimento. L’attrito è al tempo stesso doloroso e piacevole. Brividi mi scuotono il corpo come una foglia nel vento.
Lo spettacolo del suo piede che danza sul mio cazzo è paradisiaco. 
Il motore della macchina che viene spento.
Il piacere mi tende tutti i muscoli del corpo.
La portiera che viene chiusa. 
Mi pianto le unghie delle mani sulle cosce per evitare di urlare. 
Il rumore delle chiavi ritrovate sul fondo della borsa di mia madre. 
Vengo inarcando la schiena all’indietro, completamente travolto dal piacere. Sento la sborra risalirmi il cazzo e zampillare sul pavimento con implacabile furia. 
Le chiavi che entrano nella toppa della porta di casa.
Il suo piede mi schiaccia il cazzo a terra un’ultima volta spremendone fuori fino all’ultima goccia di densa sborra. 
La porta di casa che si apre.
Mi accascio a terra ancora stravolto da brividi di piacere mentre Sara si infila velocemente le scarpe ed esce dalla stanza. Sento la sborra a terra sporcarmi le gambe ed il corpo mentre striscio verso l’accappatoio che tengo in fondo all’armadio. Il tono cordiale di Sara che saluta i miei come se niente fosse. Mi infilo l’accappatoio e mi appoggio al muro per placare il tremolio delle gambe. 
“Tommy, a tavola! Abbiamo preso da asporto” 
“S-sì mamma! A-arrivo!”
Sento chiaramente l’odore della mia sborra dappertutto. Nella stanza e su di me. Sgattaiolo in bagno come un criminale e tento di darmi una ripulita come meglio posso. Raccolgo dei vestiti dal cesto dei panni sporchi e cerco di darmi un contegno. 


Non mi spiego come sia possibile, ma ce l’ho ancora duro.


 

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