Adoro il lunedì. La maggior parte delle persone lo odia. Segna l’inizio di una nuova settimana di lavoro. Cinque, o per alcuni sei, lunghi giorni di incazzature, interminabili attese e sorrisi finti. Non per me: 18 anni, fresco di diploma, patente ottenuta al primo colpo e con davanti una lunga estate di dolce far niente. Programmi per questi tre mesi? Playstation, calcetto, mare con gli amici e, si spera, quanta più figa possibile. 
La figa. Innata passione sin da quando ho memoria. Pensiero fisso che mi tormenta e mi costringe a masturbarmi anche fino a quattro volte al giorno. Esistesse un’università del porno potrei insegnarci per quanto ne ho visto. Sono uno di quelli che per trovare il video giusto arriva a cambiare pagina su Pornhub. Sempre alla ricerca di qualcosa di stuzzicante, qualcosa di nuovo, qualsiasi cosa in grado di rompere la monotonia. Da quando Erika mi ha lasciato sono arrivato a masturbarmi fino ad avere i calli alle mani. Campione olimpionico di seghe a nastro.
Con lei ho perso la verginità. Dio che tette che aveva. Non ricordo il colore dei suoi occhi ma ho impressa nella retina l’immagine del suo seno che balla al ritmo dei miei affondi. Tette perfettamente rotonde come disegnate da Dio in persona, capezzoli grossi e duri, luccicanti di saliva. La sua figa la ricordo calda, accogliente, stretta. La nostra prima volta fu imbarazzantemente breve, ma lei fu comprensiva e riprovammo più volte. Alla fine raggiungemmo un’intesa perfetta. Ci capitava di venire insieme per poi addormentarci in un caldo abbraccio e risvegliarci con il mio cazzo ancora dentro di lei, avvolto dal preservativo.
Poi qualcosa si ruppe fra noi e lei scivolò via dalle mie dita. Mi manca, ma al tempo stesso sento come un senso di libertà che non provavo da tempo. Sono finiti i tempi della monogamia. Posso finalmente fissare tutti i culi che voglio senza dover rendere conto a nessuno. 
Diamine! Posso addirittura scoparmeli quei culi!
Oggi però è lunedì. Sia santificato il lunedì! Niente porno, niente spiaggia e nessuna capatina in soffitta per recuperare i vecchi giornaletti. Oggi avrò tutto il materiale da sega possibile a portata di mano: è giorno di pulizie!


Sono due mesi che mia madre si è finalmente decisa a licenziare Maria, la vecchia donna delle pulizie palesemente rimbambita dall’età, sostituendola con Sara: una stangona 35enne con due tette da resuscitare i morti ed un culetto che definire perfetto è riduttivo. La regina di tutte le fighe. Lunghi capelli neri che ricadono sulle spalle a fare da cornice a due occhi di un azzurro così chiaro da sembrare di ghiaccio, un nasino piccolino e due labbra carnose perennemente coperte da un filo di rossetto rosso accesso.
Sento il cazzo inturgidirsi nelle mutande al solo pensiero. Dio cosa darei per scoparla.
Si aggira per casa consapevole della sua bellezza, glielo leggi negli occhi. Con i miei è dolce, remissiva, l’esempio perfetto di brava ragazza, ma non appena escono per andare a lavoro e rimaniamo soli diventa scontrosa, insofferente e non mi degna di uno sguardo. Ai suoi occhi non esisto, sono solamente un fastidioso esserino che sporca ovunque va, rallentandole il lavoro. 
Se solo potessi darle un assaggio del mio cazzo. Allora sì che cambierebbero le cose! La scoperei così forte da farla ricredere sul mio conto costringendola a chiedermi di farla venire ancora…e ancora…e ancora.
Mi afferro il cazzo oramai duro nelle mutande e lo strizzo cercando di dare sollievo alla mia erezione. Un rapido sguardo all’orologio: 07:54. I miei dovrebbero uscire da un momento all’altro. Sara è già di là a pulire. La sento spostare il mobiletto in salotto e spazzolarne le superfici. La porta di casa che si chiude. Passi nel vialetto. La vecchia Polo di papà che si mette in moto con un borbottio. Si entra in scena.


Infilo un paio di pantaloncini corti della tuta sopra i boxer ed una vecchia t-shirt scolorita dal Sole. Mi specchio sistemando qualche ciuffo ribelle, poi ci ripenso e sfilo la maglietta. Fa un caldo boia e anche se non ho gli addominali definiti di un’atleta il mio corpo è attraente, magro, coperto da una leggera peluria sul petto e sulla striscia di pelle che collega l’ombelico all’inguine. Che se ne accorga anche Sara. Immaginare il suo sguardo su di me mi regala un brivido di eccitazione e sistemo i pantaloni in modo che si intuiscano i contorni del cazzo ancora barzotto. Esco dalla camera ed attraverso il salotto, direzione cucina. Sara è lì. Avvolta in dei leggings neri che le fasciano le gambe mettendole, se possibile, ancora più in risalto il culo. Magnifica come sempre. Rallento il passo per squadrarla meglio approfittando del fatto che mi dia le spalle e noto il laccio nero del reggiseno in trasparenza sotto la sua classica camicetta bianca. Ricordo quella camicia. La settimana scorsa, evidentemente accaldata, ne aveva slacciato un bottone in più regalandomi la vista delle sue tette avvolte nel reggiseno. Quella volta ne indossava uno bianco con dei ricami di pizzo lungo i contorni dei seni. Mi sono fatto due seghe con quell’immagine in testa. Magari anche oggi sarò così fortunato.
In cucina apro il frigo e bevo direttamente dalla bottiglia d’acqua solo per giustificare la mia piccola gita fin lì, dopodiché sfilo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e lo imposto su silenzioso. Attivo la fotocamera e lo afferro con entrambe le mani, nascondendolo quanto più possibile.
Il viaggio di ritorno è, se possibile, ancora più lento di quello d’andata. Fingo di camminare sovrappensiero aspettando di trovarmi proprio dietro di lei in linea d’aria. L’occasione perfetta si presenta come inviata dal cielo: la vedo chinarsi a 90gradi per spazzolare sotto il mobile della libreria. I leggings che si tendono allo spasmo disegnando i contorni delle sue natiche. La vista del suo culo è inebriante e mi rende audace. Ne approfitto scattando velocemente quante più foto possibili. Ci affonderei la faccia. Potrei tranquillamente vivere il resto dei miei giorni con la lingua piantata lì in mezzo, in quel paradiso di forme e odori. Sento il cazzo premere nelle mutande, impaziente. Affamato. 
Ripongo in fretta il cellulare e scappo in camera. Mi butto sul letto e mi godo il frutto della piccola bravata. Ho scattato più di venti foto, una più bella dell’altra. Anche quelle più sfocate non riescono a sminuire la magnificenza di quel culo così tonico e rotondo. Non vedo l’ora di tributarla nel modo che merita, ma devo essere paziente: sarebbe imperdonabile farsi beccare con il cazzo in mano e quel genere di refurtiva nel telefono.


La mattinata scorre tranquilla. Tento un altro paio di volte di beccarla indaffarata per poterle scattare altre foto, ma sembra sparita nel nulla e, spaventato dall’idea di essere colto sul fatto, evito di cercarla per la casa tornandomene sconfitto in camera.


Sento bussare alla porta. Non può essere che lei.
“Sì?...Sara?”
“Tommy? Posso entrare?” la sua voce è gentile, ma il tono risulta freddo e distaccato.
Riduco ad icona il video YouTube che stavo seguendo e mi sistemo sul letto raccattando il primo libro che mi capita sottomano, giusto per darmi un tono.
“Prego, entra pure!”
Entra con decisione, le mani giunte dietro la schiena a nascondere qualcosa che non riesco ad intuire. La camicetta è slacciata come quella volta. Il reggiseno nero è in buona parte visibile. Sembra stia per esplodere per quanto le fasci le tette. Mi costringo a guardarla negli occhi. Si avvicina ai piedi del letto, lo sguardo fra l’imbarazzato e il severo. 
“Ero in soffitta a pulire e…ho trovato questo” lancia sul letto un vecchio scatolone polveroso consumato dagli anni e, prima ancora che atterri riversando parzialmente il suo contenuto sulle lenzuola, lo riconosco con una stretta al cuore. E’ la mia collezione di riviste e giornaletti porno che conservo gelosamente da anni. 
Balzo all’indietro come colpito da un cazzotto mentre vecchi Playboy, manga hentai ed alcuni numeri di “Troie Insaziabili” si riversano sul letto come onde sulla sabbia. La guardo fra l’impaurito e il disgustato.
“C-che diavolo è?!” le faccio con una vocina stridula di cui mi pento immediatamente.
“Avanti, non mentire. So perfettamente che è la tua scorta di porno personale. Sbaglio?” il suo sguardo è compiaciuto, il tono tagliente. Credo sia la prima volta che la vedo sorridere sinceramente. 
“Ma che cazzo, no! Non è mia!”
“Oooh sì che è tua, Tommy. Quella di tuo padre l’ho già sgamata e lui ha…bhè, diciamo…gusti più particolari” nei suoi occhi vedo brillare una luce sinistra che mi spaventa.
“Ma che cazz..?”
La fisso intimorito, deciso a non aprire più bocca per evitare di tradirmi di nuovo.
“D’accordo allora” riafferra la scatola lasciando le altre riviste sparpagliate sulle lenzuola e fa per andarsene “immagino sarai d’accordo se esco a buttarle nell’indifferenziata”
“NO!”
 ….cazzo. Stupido, stupido, STUPIDO!
 “A-aspetta..” si volta a guardarmi compiaciuta “…d’accordo, è roba mia. Potresti per piacere riportarle…dove le hai trovate?” la vergogna mi accende il viso di un rosso paonazzo ed abbasso lo sguardo mortificato.
“Non credo di poterlo fare, Tommy” ora sembra quasi una mammina caritatevole che consola il proprio pargolo e, per quanto incredibile, la cosa mi spaventa ancora di più “Mi sento moralmente obbligata a parlarne coi tuoi genitori. Sai, alcune di queste riviste hanno l’aria costosa. Non credo siano felici di sapere che la loro paghetta settimanale venga sperperata con così poco giudizio…” sono inorridito.
“Ma di cosa parli?! Dirlo ai miei? Ma sei fuori?!”
“Occhio a come parli ragazzino” ecco di nuovo il suo tono gelido e penetrante, lo sguardo furente ,sembra volermi squagliare con gli occhi.
 “Ho dato uno sguardo alla tua collezione, sai? Davvero interessante. Ci sono cose piuttosto…estreme” la vedo inserire una mano nella scatola e cominciare a setacciarne il contenuto in cerca di qualcosa.
 “…poi…ho trovato questa” chiudo gli occhi sperando con tutto me stesso di morire in quel preciso istante pur di non affrontare le conseguenze di ciò che estrarrà dalla scatola. So già cosa sia. Per un breve istante me ne ero quasi dimenticato, ma ora capisco. Tutto. 
Estrae dalla scatola uno spesso foglio di carta leggermente acciaccato. Non ho bisogno di guardarlo per riconoscerlo. E’ una foto che le ho scattato di nascosto quasi un mese fa. Era in minigonna a scacchi e t-shirt smanicata quel giorno. Senza reggiseno. Non potevo lasciarmi sfuggire quell’occasione irripetibile. Riuscii ad immortalarla di lato, intenta a pulire la scrivania. Le tette quasi interamente esposte all’aria dagli spacchi laterali della t-shirt. I capezzoli nascosti dal tessuto ma vagamente intuibili. La stampai il giorno stesso. Credo di averci sborrato sopra almeno una decina di volte. Le macchie bianche scolorite che la ricoprono non lasciano dubbi.
“Sara…” 
Sono fottuto
 “…mi dispiace, davvero. Ti giuro che non lo farò più” la mia voce si spegne come una fiammella al vento.
La sua gelida risata riempie la stanza e mi fa trasalire.
“Piccolo, ingenuo, ragazzino. L’ho capito dal primo momento che sono entrata in questa casa che hai una cotta per me. Da un certo punto di vista sei quasi…tenero” 
Torna ai piedi del letto, appoggia la scatola a terra e mi lancia contro la sua foto che ricade con uno svolazzo fra le mie gambe incrociate.
“Fammi vedere come fai”
Per un attimo non credo alle mie orecchie ma il suo tono è inequivocabile. Decido di giocarmi ugualmente la carta del finto tonto, per evitare di travisare le sue parole e peggiorare la situazione.
“Fare…cosa?”
Un sadico sorriso le deforma i lineamenti.
 “Ora ti spogli, tiri fuori il cazzo e mi mostri come te lo meni pensando a me”


Sono incredulo, bloccato dal terrore. La testa comincia a girarmi vorticosamente e fatico a rimanere presente alla situazione. E’ incredibile come il sogno di sentirla chiedermi di mostrarle il cazzo sia appena diventato uno spaventoso incubo pieno di vergogna e frustrazione.
Mi alzo come un robot, distaccato dal resto del corpo, ed eseguo l’ordine ricevuto. Lo sto facendo davvero. Perché? Cos’è questa sensazione di passiva remissività che guida i miei movimenti?
Mi sfilo i pantaloni ed il pensiero corre al mio cazzo. E’ floscio e atterrito nelle mutande. La vergogna mi attanaglia lo stomaco, ma sfilo anche l’intimo rimanendo nudo, in piedi al lato del letto.
“Su, inginocchiati sulle lenzuola e toccati” sembra rapita dal mio corpo. Mi squadra come se fossi una preda succulenta oramai finita fra le sue grinfie.
Mi inginocchio sul letto con le cosce spalancate ed il sedere appoggiato ai talloni. Incapace di alzare lo sguardo, fisso atterrito il mio cazzo moscio, rattrappito su se stesso quasi cercasse di fuggire da quell’insolita situazione. 
Lo afferro con 3 dita e comincio a massaggiarlo. Chiudo gli occhi nel disperato tentativo di rievocare ricordi eccitanti, ma la sua voce interrompe il flusso dei miei pensieri.
“Apri gli occhi, ragazzino. Li voglio fissi sulla foto” la afferra dal letto e la appoggia fra le mie cosce. Fisso l’immagine sbiadita e riprendendo a massaggiarlo. Ho la mente troppo annebbiata per rendermi conto di quanto il suo atteggiamento sia sopra le righe, completamente inaspettato. 
Dopo due minuti sono ancora spaventato e tremendamente in imbarazzo. Il cazzo non vuole saperne di indurirsi.
“Patetico”
La guardo muoversi al rallentatore. Sale sul letto con tutte le scarpe, mi gira intorno e si siede dietro di me, allungando le gambe ai mie lati. La sento stringersi a me, appoggiarsi sulla schiena. Le sue tette premute contro la mia pelle, a pochi centimetri di stoffa di distanza, il suo alito caldo nell’orecchio. Profuma di menta e fragole. Pelle d’oca lungo tutto il collo.
“Ora vedi di farlo alzare” mi sussurra 
“…bello duro per me”
Mi afferra il lobo dell’orecchio destro tra le labbra e comincia a succhiarlo delicatamente.
Ho il cazzo di marmo. Non mi sono nemmeno reso conto stesse succedendo, ma ora è duro da far male. Gonfie vene ne percorrono la lunghezza dalla cappella alle palle. Sembra più grande del solito. Quasi fossero 18cm invece che i soliti 16 e mezzo. La cappella è gonfia e la sento pulsare nella mia mano.
Mi masturbo lentamente, già quasi al limite. Piccole goccioline di sperma mi bagnano la cappella rendendola scivolosa. Lo sguardo fisso sulla foto. La bocca leggermente spalancata, totalmente in balia di un piacere del tutto nuovo e inaspettato. Sento le sue dita appoggiarsi sui mie capezzoli. Le unghie pizzicarli lentamente. I suoi polpastrelli che li massaggiano con movimenti circolari. Sono duri e mi provocano brividi lungo la spina dorsale ogni volta che li tocca. Aumento il ritmo. Sono vicino. Sono suo.
“Ora sborra” la sento sussurrarmi all’orecchio.
Le sue dita mi stringono i capezzoli in una morsa feroce, dolorosa, come a volerli strappare. Il corpo si contrae in uno spasmo. L’orgasmo mi esplode prima dentro, strappandomi un gemito sommesso, poi si riversa copioso sulla foto. Vengo senza controllo. Ampi getti di sperma vanno a macchiare il foglio e le lenzuola. Si infrangono come onde sugli scogli andando a ricoprire qualsiasi cosa trovino sul loro cammino.


Mi ripiego, sfinito, su me stesso. La foto è ricoperta del mio caldo seme, il corpo sudato ed i capezzoli doloranti. Sento ribollire ancora nello stomaco l’eco dell’orgasmo appena raggiunto. Sara si alza in piedi sul letto, mi scompiglia i capelli con un buffetto e si dirige verso la porta. 
“Pulisci tu?” mi fa l’occhiolino e si morde la lingua con una smorfia.
“S-sì”
Mi accascio di lato, completamente sfinito. La mente vuota. Mi accorgo solo marginalmente che è uscita senza portare via nulla. I giornali e lo scatolone sono lì, al sicuro. Altrettanto marginalmente, però, mi accorgo che, forse, quello che non è più al sicuro… sono proprio io.