Prima di inziare, voglio premettere che tutti i fatti narrati in questo racconto sono veri e realmente accaduti. Nomi, luoghi, tempi, invece, sono assolutamente casuali, e di pura fantasia.


 


 


La prima volta che la vidi fu a una giornata di formazione nella sede del tour operator per il quale entrambi lavoravamo. Mi avevano appena comunicato che sarei stato “capocentro” su una nave da crociera fluviale, per la tratta Mosca-San Pietroburgo, e che lei sarebbe stata la mia assistente. Non potei che essere subito appagato da ciò che vedevo: una ragazza dal viso abbastanza carino, con piercing sulla narice, capelli castano chiaro lisciati di recente, una camicia a fiori con una bella scollatura – che lasciava intravvedere un seno di media grandezza – che aderiva ad una vita stretta; una gonna nera che lasciava trapelare le forme di un culo molto ben tornito e leggermente abbondante, e infine delle belle gambe muscolose e abbronzate che terminavano in un paio di stivaletti da cowboy. Lo stile mi parve quello di una “donnavventura” emancipata e attratta dalle nuove esperienze, e non mi sbagliavo...


 


 


Ci trovammo sulla nave, unici due italiani insieme a una coppia di animatori, e dovemmo fin dal principio affrontare grosse difficoltà. C’erano svariati problemi organizzativi, che si traducevano in disservizi e disagi per gli ospiti, e noi ci trovammo a gestire una miriade di lamentele. Lei era un’ottima assistente, molto collaborativa. A volte i clienti ci aggredivano verbalmente, e questo ci rese da subito uniti.


 


 


Dopo pochi giorni però io approfondii la conoscenza con una guida russa: una biondina sulla trentina (all’epoca anch’io avevo trent’anni), che me l’aveva praticamente sbattuta in faccia, cioè, mentre parlavamo del più e del meno mi aveva detto che una delle cose più belle della vita (e che la mancavano di più) era il sesso (e come darle torto!). Iniziai a invitarla la sera dopo il lavoro nella mia cabina, e per un paio di settimane, me la scopai assiduamente. Nel frattempo per giustificarmi coi colleghi, visto che io ero il capo e che, in un certo qual modo, dovevo dare l’esempio, e che inoltre condividevo la cabina con uno degli animatori (l’animatrice invece stava in cabina con T), - che un paio di volte entrò nella cabina mentre stavo scopando -, dovetti fare un discorso ai colleghi riguardante le regole sul sesso: in quanto capocentro, accettavo che i miei colleghi (L’assistente T. e i due animatori) avessero rapporti “amorosi” con altri membri dell’equipaggio, e persino coi turisti. A me, dei rapporti fra persone adulte consenzienti, non interessava niente. Li assicurai inoltre, che nel caso, non avrei proferito parola con la sede centrale in Italia, e neppure con la filiale di Mosca.


 


 


La guida russa era carina e si faceva scopare, anche senza preservativo, ma sessualmente non era molto focosa, anzi, tutt’altro. Già dopo pochi giorni la trovavo deludente, e la voglia di avere rapporti con lei calava. Nel frattempo invece T. fece una mossa che non mi sfuggì, e mi colpì particolarmente: dopo il lavoro, la sera, si mise al bancone del bar del 5° ponte, da sola, in un momento in cui erano rimasti solo pochi turisti. Si fece accalappiare da un belloccio sulla trentacinquina (lei aveva a quel tempo 26 anni), si fece pagare da bere, chiacchierò un po’, e poi di soppiatto si allontanò dal bancone, seguita dopo un paio di minuti dal tipo. Capii subito la mossa (gli animatori non se ne accorsero), quindi salutai i turisti con cui stavo chiacchierando e di soppiatto mi precipitai nella mia cabina (che era giusto di fianco a quella di T., e aveva pareti sottilissime). Sentii che i due erano in cabina, che parlavano sottovoce, poi, dopo neanche 5 minuti, iniziai a sentire i tipici colpi di una scopata: “Sciaf!”, “Sciaf!”, “Sciaf!”. Cercavo di immaginarmi se se la stesse scopando a pecorina, oppure in posizione canonica, ma le dava dei colpi fortissimi. Lei era muta, lui lo sentii venire. La sera dopo andò in scena la stessa opera, solo che stavolta ad ascoltare la scopata nella mia cabina c’erano anche entrambi gli animatori. La cosa si ripetè 3 o 4 volte, poi la crociera per il tizio finì, e con essa anche le sue sborrate nella fica della mia assistente.


 


 


Da quella sera iniziai a farci un serio pensierino, tantopiù che andando nella sua cabina (che condivideva con l’animatrice), notai che c’era un filo per stendere, pieno di perizomi (che per l’epoca – era il 2007 – non erano affatto comuni). Mi accorsi che non aveva neppure un paio di mutandine “normali”, ma tutte perizomi o mutandine “a filo”.


 


 


Una sera che la nave era nel porto di San Pietroburgo e che la maggior parte dei turisti erano scesi a terra per delle escursioni, lei, io e gli animatori ci trovavamo nella mia cabina per una “Vecherinka” (una seratina alcolica, come si dice in russo), a ingoiare cetriolini salati e trangugiare vodka. Dopo alcuni bicchieri, lei col suo piede scalzo accarezzò il mio. Io la guardai intensamente… Lei pure… e nevenne fuori una limonata appassionata. Gli animatori, vista la scena, si spostarono nell’altra cabina, e io la scopai. Mi sembrava molto aperta e disinibita, e senza problemi si faceva sbattere in tutte le posizioni.


 


 


La sera seguente (la nave era sempre ferma in porto a San Pietroburgo), noi assistenti di bordo avevamo una cena con gli altri membri dell’assistenza (tutte donne) e la capoarea, in un ristorante in centro a Piter (come chiamavamo famigliarmente la città). La cena era un appuntamento sociale (aziendale) a cui noi, pur vivendo segregati sulla nave, non potevamo mancare. Ci preparammo e ci vestimmo di tutto punto, in maniera abbastanza elegante. La mia assistente indossava una camicetta, coperta da un cardigan scollato, una gonna che arrivava al ginocchio, e un paio di scarpe con tacco medio. Partimmo dal porto fluviale e prendemmo la marshrutka (un pulmino da una decina di posti che si usava in Russia a quei tempi), che ci portò fino alla fermata del metrò più vicina. Prendemmo la metro, io e la mia smagliante assistente che dalla sera prima avevo il piacere di scopare. Arrivati alla fermata centrale sul Nevskij Prospekt, uscimmo dal vagone e alla “mia lei” accadde una cosa stranissima che non ho mai capito: le si incastrò la scarpa nello spazio vuoto che c’è fra il vagone e la banchina. Non riuscendo a disincastrare il piede, prima che la metro ripartisse, T. dovette sfilarsi la scarpa per non rimanere essa stessa incastrata, e rimase scalza con un piede. La metro ripartì e la scarpa cadde sui binari, e T. rimase senza una scarpa. A quel punto io mi innervosii, poiché ritenendo impossibile proseguire verso il centro e troppo lontano il porto fluviale, per andare a sostituire le scarpe, pensavo che avremmo senz’altro dovuto rinunciare alla cena facendo una brutta figura, visto che la scusa della scarpa sembrava veramente poco credibile. T. però mi sorprese, e ripensandoci, forse fu proprio qui che me ne innamorai: si tolse l’altra scarpa, la mise in borsetta e disse: “non fa niente. Adiamo lo stesso. Rimango scalza”. E così fece. Camminò scalza fino al ristorante e rimase scalza per tutta la cena, senza che nessuno se ne accorgesse. Durante la cena (come mi avrebbero poi fatto notare in seguito), seduta vicino a me non faceva altro che toccarsi i capelli, il collo, il seno… come fosse una cagna in calore. Di certo le piacevo.


 


 


Dopo la cena andammo con le assistenti e la capoarea a passeggiare sul Nevskij, e fu qui che qualcuno si accorse dei suoi piedi scalzi e lo fece notare. T., con nonchalance, raccontò l’accaduto, facendo aggrottare le sopracciglia della capoarea.


 


 


Dopo la serata (T. e io eravamo un po’ bevuti), ci incamminammo lentamente verso casa. Lei camminava noncurante su marciapiedi sporchi, schivando vetri di bottiglie rotte, calpestando tratti bagnati, non si sa se di acqua, birra o urina. Come avevamo fatto all’andata, prendemmo la metro, fino alla fermata più vicina al porto fluviale, con l’unica differenza che a quell’ora non c’era più la marshrutka che ci avrebbe riportato alla nave, quindi camminammo per un bel pezzo. Lei, come se nulla fosse, scalza.


 


 


Arrivati in cabina (avevo precedentemente detto all’animatore che dormiva nella mia cabina di andare a dormire in cabina con l’animatrice e di lasciarmi stare in cabina con T.), ripeto, un po’ bevuti. T. si lavò i piedi… e io le lasciai giusto il tempo di lavarseli perché (non sono assolutamente feticista dei piedi), non so perché, ma questo fatto che lei aveva camminato scalza tutta la serata fino a tarda notte pestando di tutto, mi aveva terribilmente eccitato. La presi. La baciai tenendola per i capelli. La sbattei sul letto. La spogliai velocemente e iniziai a leccarle la figa pelosa, poi iniziai a scoparla forte a pecorina col preservativo. Lei sembrava non aspettasse altro. Io ero mezzo sbronzo e avevo il cazzo insensibile: le davo dei colpi fortissimi e lei gemeva lievemente a ogni colpo. Poi, dopo più o meno cinque minuti, glielo sfilai dalla fica, mi bagnai indice e medio di saliva e le lubrificai il culo (lei quando ricevette direttamente le due dita in culo non fece una piega). Non so come. Non so cosa. Forse la chimica, forse il linguaggio del corpo, forse una sua forma di linguaggio subliminale: ero sicuro che T. si sarebbe fatta inculare. Glielo posai sull’ano e spinsi con forza: entrò come nel burro. Iniziai a darle colpi decisi, sempre più forti. Lei era alla pecorina e io la tenevo per i capelli e le tenevo le testa piegata all’insù. Mentre la inculavo la guardavo in faccia: lei teneva gli occhi semichiusi e con la bocca faceva una smorfia deformata che era un misto di piacere e qualcos’altro. Come se stesse cagando. Mezzo bevuto e col cazzo poco sensibile (per di più anestetizzato dal preservativo), iniziai a sfilare quasi interamente il cazzo e a darle colpi in culo tanto forti, quanto era la forza che avevo in corpo (e allora ero atletico e ben allenato). Mi accorgevo che il preservativo faceva attrito sulle pareti dello sfintere, ma lei non emetteva neanche un filo di gemito di lamentela, piuttosto smascellava e muoveva la bocca con gli occhi semichiusi e le pupille girate all’insù, come in una specie di estasi anale. La martellai con tutta la forza che avevo in corpo per circa mezz’ora, poi, senza nemmeno venire, crollai distrutto dalla fatica. Le avevo letteralmente sfondato il culo.


 


 


Il giorno seguente la nave salpò e noi lavorammo duramente tutto il giorno gestendo le pubbliche relazioni e le lamentele dei turisti. Arrivata la sera andai al bar a ordinare una bottiglia di Sovietskoe Shampanskoe e la portai in cabina. Bevemmo questo spumante russo di bassa lega e parlammo molto, e fu tutto  molto romantico: io ero uscito da non molto da una storia con la mia fidanzata storica, con la quale ero stato sette anni, lei pure si era da poco lasciata col fidanzato (il quale, mi disse, le scriveva ancora) e mi raccontò che subito dopo, aveva pure avuto una storia breve con un uomo sposato. Inebriati dallo “champagne” russo, iniziammo a baciarci. Ci spogliammo. Io, vero amante della fica depilata, dopo avergliela leccata un po’, presi il mio rasoio da barba e le accorciai i peli. Infine la cosparsi di schiuma da barba e la depilai integralmente con la lametta. Lei mi lasciava fare. Le depilai anche la zona intorno all’ano. Le chiesi di poterle fare alcune foto (all’epoca avevo una delle prime macchine fotografiche digitali). Scartabellando nella sua valigia lei tirò fuori un paio di calze autoreggenti rosso fuoco e le indossò. La fotografai nuda. Le chiesi di piegarsi in avanti, per mettere in risalto il culo. Osai ancora di più: le chiesi di piegarsi in avanti e di infilarsi gli indici delle due mani nel culo, e poi di tirare le pareti dell’ano, in modo da dilatarlo il più possibile, perché io potessi fotografarne l’interno: lei acconsentì senza battere ciglio e mi mostrò il suo ano dilatato. Allora mi spinsi oltre: le chiesi di mettersi a pecorina sul letto e le infilai il collo della bottiglia di “champagne” russo nel culo. Glielo infilai più in fondo che potei: circa un terzo della bottiglia. Lei non fece una piega. Quando lo sfilai il collo era tutto sporco di merda, ma per lei era lo stesso: non si vergognava di niente, non sembrava avere tabù.


 


 


Il giorno seguente fu molto romantico: arrivammo in altre località. Facemmo un giro in barca e lei mi parlò molto di sé: a quanto pare era una donna poliedrica e ricca di sfaccettature. Era benestante (viveva in una villa a Fregene), ma anche rustica e amante della campagna e della natura (un po’ come me). Politicamente era radical-liberale (nell’accezione anglosassone[GM1]  del termine), cioè aperta a tutto e rotta ad ogni compromesso. Tornati in nave le feci altre foto, in pose sexy. Poi lei mi confessò che anche il suo fidanzato storico gliele faceva. Allora mi mostrò diverse foto dove lei lo spompinava. In particolare ce n’erano diverse in cui lei mostrava orgogliosa la bocca piena di sperma del fidanzato. Mi parlò nuovamente anche della sua storia col tizio sposato: era il suo insegnante di spinning, sposato da meno di un anno e con un figlio di pochi mesi. A quanto pare però, aveva il cazzo piccolo.


 


 


La nostra attività sessuale procedeva con foga. Mi bastava guardarla fissamente negli occhi che si eccitava. Notai che si eccitava a venire comandata. Anzi, qualsiasi cosa le chiedessi di fare (sessualmente) lei la eseguiva senza obiezioni. Mi accorsi che aveva un’indole da schiava e si eccitava pure ad essere umiliata. In breve, divenni il suo padrone: schioccavo le dita e lei si metteva immediatamente a quattro zampe. La fissavo negli occhi con sguardo deciso e lei sbavava come una cagna in calore. Le chiedevo di fare le cose più oscene e lei le faceva. La sodomizzavo quotidianamente e più volte al giorno. Lei, dal canto suo, si mise a prendere la pillola, quindi io smisi di usare il preservativo.


 


 


Mi piaceva molto fotografarla. Le foto tipiche che le facevo erano le seguenti: vedevo qualcosa, un oggetto strano, o di uso comune che mi incuriosiva… lo prendevo e le chiedevo di mettersi a quattro zampe e di infilarselo nel culo… e lei immancabilmente eseguiva. Era una vera esibizionista: il sapere che mostrarmi un barattolo di shampoo che le sbucava dal culo mi eccitava, la faceva andare in visibilio. In quel suo bel culo ci infilava di tutto, barattoli vari, utensili, falli di gomma, bottiglie di varia misura, ecc. Mi piaceva anche torturarle i capezzoli e le labbra della fica. Le mettevo mollette ai capezzoli, glieli tiravo. Lo stesso facevo con le labbra della fica. Una volta le appesi un bottiglione di plastica da cinque litri alle labbra della fica, e la feci camminare coi tacchi per la cabina: ogni tre o quattro passi una molletta si staccava per il peso e lei gemeva dal dolore (quella fu l’unica volta che la sentii lamentarsi), poi, infine, si staccarono le ultime tre o quattro mollette tutte in una volta, per il peso, e il bottiglione cadde per terra. Lei subito si portò la mano alla fica per massaggiarsi. Io gliela tolsi e misi la mia: era bagnata. Ogni volta che si infilava oggetti nel culo, ogni volta che si esibiva per me, ogni volta che la guardavo fissamente negli occhi… io le toccavo la figa e notavo che lei si bagnava, immancabilmente.


 


 


Dopo circa venti giorni che stavamo insieme, avevo fatto più o meno una valutazione della situazione: io mi ero innamorato di T. (c’erano troppe cose che mi piacevano di lei, non da ultima la sua estrema libertà sessuale), e lei diceva di amarmi; ma lei (ne ero quasi certo) era una cagna inaffidabile. Una parte, preponderante di me non si fidava. Fu così che, dopo aver spiato alcune sue mosse sospette, una volta che lei aveva lasciato incustodito il suo computer per andare in assistenza, le avevo aperto l’email e spiato fra i file. Con estrema amarezza scoprii che lei si scriveva regolarmente col suo ex fidanzato, dicendogli di pensarlo ancora, e aggiungendo che, una volta rientrata dalla Russia, si sarebbero riavvicinati e chiariti. Nello stesso tempo scriveva al suo amante sposato (padre di un bimbo di 6 mesi), che aveva capito che lui era l’unico amore della sua vita. Non potete capire la delusione e il dolore nel leggere quelle email! Anche e soprattutto poiché ero da poco uscito da una storia dolorosa con la mia fidanzata storica, che mi aveva mentito e tradito.


 


 


Mi si strinse lo stomaco a tal punto che non riuscivo più a deglutire. Non riuscii neanche a nascondere a T. ciò che avevo scoperto, così glielo dissi, e le dissi che non volevo più avere a che fare con lei. T. si intristì moltissimo, dicendo che lei non aveva fatto nulla di male. Per rafforzare la sua tesi aggiunse che aveva chiesto un parere a una sua amica psicologa e lei le aveva detto che quelle mail erano “normali”. Per diversi giorni non ci parlammo più, mangiammo a tavoli separati, e lei doveva apparire così triste che il direttore di crociera in persona notò la cosa, e venne a dirmi personalmente di chiarire e di riappacificarmi, poiché ne risentiva tutto il buon andamento delle crociere. Io ero distrutto, offeso, umiliato, ferito, e avevo provato nuovamente il dolore che mi aveva fatto provare la mia ex quando avevo scoperto che mi tradiva.


 


 


Dopo tre o quattro giorni dalla rottura T. venne nella mia cabina: rivedevo la mia donna, la mia amante, la mia schiava lasciva, con quel suo linguaggio non verbale che invitava al sesso, con quei suoi messaggi subliminali che dicevano “prendimi”… Mi disse che si scusava, anche se non aveva fatto niente di male (ma quanto era cagna?!). Ma io avevo perso la fiducia in lei, non la rivolevo, sapevo che con lei avrei sofferto molto. Non so come e perché, ma le dissi, per ribadire che non sarei tornato sui miei passi, che la avrei perdonata solo se avesse mangiato la mia merda… Lei a quel punto mi guardò negli occhi intensamente, con le sopracciglie corrugate e la faccia seria e, senza batter ciglio, mi disse: “va bene, la mangio”.


 


 


“Assì, la mangi?” Le dissi con aria di sfida, “Vediamo se la mangi davvero!”. Andai nel bagno della cabina e mi calai le braghe e le mutande. Lei mi seguì. Io mi girai di spalle e vidi incredulo che avvicinò la bocca al mio culo e tirò fuori la lingua, e me la infilò in mezzo alle natiche. Iniziai a spingere e subito usci una striscia di merda molliccia che le si posò sulla lingua: “mangia!” le ordinai. Le ritirò la lingua e iniziò a muovere la bocca, come se le si stesse allappando la lingua con della crema di nocciole, e mandò giù. Ripetei l’operazione, e lei di nuovo fece quel movimento e poi mandò giù… Ripetei l’operazione una ventina di volte, prima che la mia pancia si fosse svuotata… e lei… mangiò tutto! Tutto! Si era mangiata una merda enorme, dall’odore nauseabondo. Come cazzo aveva fatto? Ero allibito! Incredulo! Non potevo credere a quello che avevo appena visto! Non so come e perché la baciai sulle labbra, e non appena le dischiuse, mi inondò con il suo fiato che puzzava di merda. Le strinsi le guance per farle aprire la bocca: ancora fuoriuscì un puzzo tremendo di merda e le intravidi la lingua marrone. “Ma chi è questa donna?” mi chiesi.


 


 


Nei giorni e nelle settimane seguenti iniziai a cercare di penetrarla col pugno in culo. Una volta misi il preservativo al piede destro e la feci sedere sopra: le penetrai il culo quasi con un piede intero. La sera la facevo andare in bagno e pisciare in un bicchiere, dal quale poi lei beveva. Quando rientravamo dalle serate le pisciavo direttamente in bocca, come fosse il mio orinatoio personale, e poi le cagavo in faccia. Lei si spalmava la merda sul viso come fosse una maschera di bellezza. Quando la inculavo, interrompevo la penetrazione e le infilavo le dita nel culo, per vedere se non ci fosse qualche bel pezzo di merda, che le estraevo dal culo e le infilavo in bocca; lei lo masticava e deglutiva.


 


 


Una sera andammo in un ristorante vicino al porto fluviale. Mangiammo molto e io bevvi circa un litro e mezzo di birra. All’uscita, nel parcheggio, la feci chinare dietro una macchina e mi svuotai la vescica direttamente nella sua bocca. Lei bevve fino all’ultima goccia una pisciata di tre o quattro minuti. Poi, durante il ritorno a piedi, ci mettemmo dietro a un camion parcheggiato, la feci piegare in avanti e la inculai con foga. L’autista del camion era però in cabina e si accorse di noi, quindi suonò il clacson. Allora io sfilai il cazzo dal culo di T. e le infilai al suo posto il mio cellulare. Lei si tirò su gli slip e i pantaloni e, quando fummo in cabina la chiamai con un altro telefono, e le feci cagare il cellulare vibrante sul pavimento della cabina.


 


 


Era veramente una donna senza tabù. Accettava qualsiasi pratica sessuale le proponessi, e io mi divertivo a sperimentare… mi bastava guardarla fisso negli occhi e ordinarle qualcosa e lei immediatamente faceva una smorfia perversa ed eseguiva… qualsiasi cosa le chiedessi..


 


 


Le chiedevo di infilarsi nel culo di tutto, tutto ciò che mi capitava a tiro: ortaggi di ogni tipo, barattoli, candele, pennarelli, bottigliette, sigari accesi, falli di gomma che avevo iniziato a comprarle, ecc.


 


 


Un giorno che la nave era ferma al porto fluviale di Mosca, ce ne andammo insieme in un enorme mercato coperto di pellame e dei capi in pelle, che occupava un’area di diversi chilometri quadrati. Era un luogo considerato pericoloso e malfamato dai moscoviti, ma nel quale si potevano fare ottimi affari. Ci comprammo diversi capi in pelle: io mi comprai un montone lungo e un giubbotto tipo “aviatore”, mentre per lei comprammo un paio di pellicce corte (una leopardata e una di volpe bianca), e varie paia di stivali in pelle con tacco a spillo, che arrivavano sopra il ginocchio (un paio nero, uno rosso e uno bianco). Insomma tutto l’occorrente per una mise da vera troia. Quel giorno era vestita piuttosto scollata, gonna di jeans corta, scarpe col tacco e calze autoreggenti: insomma l’ideale per attirare le attenzioni di quei brutti ceffi, perlopiù caucasici o dell’Asia centrale, che si aggiravano per i vicoli tentacolari del mercato. Lei, inoltre, non risparmiava sguardi lascivi a quegli uomini scuri e villosi, che intenti a trasportare carichi pesanti, le ricambiavano le occhiate con bramosia. A un certo punto degli uomini fermi a un crocicchio iniziarono ad indirizzarle dei complimenti, non certo fini, per la sua mise di quel giorno (ciò che oggi chiameremmo “catcalling”). Lei, pur continuando a tenermi per mano, per tutta risposta a quelle volgarità, si girò indietro verso di loro e gli rivolse il più smagliante dei sorrisi (con la sua solita smorfia di perversione). Gli energumeni partirono in quarta tutti insieme: la circondarono, iniziarono a palparla dappertutto, e uno di loro la prese per mano e cercò di trascinarla via. Per fortuna me ne accorsi subito e tenni ben salda la presa dell’altra mano e, non senza sforzo, riuscii a tirarla via da quella situazione che poteva rivelarsi molto pericolosa. Lei si spaventò, anche se questo fatto non la fece diventare più prudente, come vi racconterò in seguito.


 


 


Io, non so spiegarvi come, mi innamorai tantissimo di T., e iniziai ad esserne geloso. Sulla nave diversi maschi avevano intuito la sua “libertà sessuale”, e si facevano avanti. Io, conoscendola, temevo che si lasciasse andare, così iniziai a cercare di stare con lei il più possibile, vista la quantità di turisti che ne erano attratti, e vista anche la quantità di uomini che componevano l’equipaggio. In poche parole, non mi fidavo affatto di lei.


 


 


In un qualche modo la stagione delle crociere finì a fine settembre, Lei aveva deciso di non continuare col turismo, io avevo due possibilità: o continuare con lo stesso tour operator anche nella stagione invernale, o accettare una proposta come sales manager in Russia (dopo un addestramento di circa 6 mesi in una città dell’Emilia). Optai per la seconda opzione, soprattutto perché volevo rimanere con T.


 


 


Dopo la lunga e intensa stagione sulla nave, ce ne andammo finalmente in vacanza in Portogallo. Di giorno andavamo in giro a visitare luoghi e monumenti, la sera andavamo al ristorante (eravamo entrambi appassionati di enogastronomia) e dopo cena rientravamo in appartamento per fare sesso sfrenato. Prima di andare in Portogallo avevamo comprato una videocamera, mascherine, e diverse parrucche. Avevamo deciso che, viste le doti eccezionali di T., avremmo fatto il porno, come secondo lavoro. Avremmo venduto i nostri video su internet e fatto soldi. Una delle prime sere del nostro soggiorno (ci trovavamo a Porto), facemmo una cena luculliana per pochi euro in un bel ristorante del centro, bevendo dell’ottimo vino (a T. il vino piaceva tantissimo). Un po’ bevuti ci recammo in appartamento e T. si preparò per girare: si spalmò la crema depilativa su vagina e ano, attese qualche minuto, poi la tolse e si fece un bidet. Indossò un perizoma a filo, un paio di scarpe col tacco, poi si truccò in maniera pesante e indossò una parrucca a caschetto nera, tipo “Valentina”. Provò a infilarsi la mascherina ma la parrucca era di ostacolo, così, dopo qualche prova, decise di girare senza mascherina. Io, che volevo pubblicare i video, ero un po’ preoccupato. L’idea che girasse senza mascherina non mi piaceva: “e se questa poi si pente”, pensavo, “non è che poi scarica la colpa su di me?”. Con quella parrucca, quel trucco pesante, quelle scarpe, e soprattutto quel fisico mozzafiato e quel culo spettacolare, ero estremamente eccitato, così, guardandola, iniziai a masturbarmi. Lei vedendomi col cazzo in mano che la guardavo, fece la sua solita smorfia perversa e iniziò a massaggiarsi il clitoride. “Sei sicura di voler girare senza mascherina?” le chiesi ansimando (intanto stavo già filmando). “certo che sono sicura!” “Non hai paura che qualcuno ti riconosca?”, insistetti, “Non me ne importa niente… anzi ci godo ad essere sputtanata! Voglio che tutti vedano quanto sono troia! Voglio che i più porci si masturbino guardando quanto sono troia!” Queste affermazioni, perdipiù registrate in video, mi bastarono. Facendo io da cameraman e da regista, le passai due mele di grandezza media e le feci cenno di infilarsele nel culo. Lei le cosparse di lubrificante, si dilatò il culo con la mano, poi ci infilò le mele: prima una  e poi l’altra. Una delle due mele non era andata molto in profondità e le manteneva l’ano dilatato e aperto. Le feci cenno di espellere il fardello: lei espulse una sola mela, quella più in fuori, mentre l’altra non accennava ad uscire. “non riesco, questa non se ne vuole uscire”, mi disse… allora si bagnò la mano destra di lubrificante e se la tuffò tutta in culo, per andare a ripescare l’altra mela. Il suo ano si dilatò mostruosamente, non senza sforzo, e si vide spuntare un pugno che reggeva una grossa mela sporca di merda. Io ero allucinato da quello che vedevo. Non potevo credere ai miei occhi. Pensavo che delle rotteinculo simili esistessero solo in pochissimi esemplari al mondo, e forse era così, e non potevo credere che a me fosse capitato uno di quegli esemplari. Avevo il cazzo che stava per esplodere e smisi di masturbarmi. Smisi di registrare e le feci i complimenti: “se strepitosa, eccezionale! La dea dell’anal!” Lei era contentissima di darmi tanta soddisfazione e, quando pronunciai le parole “dea dell’anal”, fece una smorfia talmente compiaciuta e perversa che digrignò i denti. Andammo avanti a girare un’altra scena: la feci mettere in ginocchio nella vasca da bagno e le feci proferire queste parole: “tesoro, dai, pisciami in bocca”. A quel punto, io salii in piedi sul bordo della vasca (con la faccia fuori dall’inquadratura) e iniziai a spararle in bocca, da 40, 50 cm di distanza, un copiosissimo getto di piscia calda. Lei, per riuscire a berla proprio tutta, inclinava indietro la testa e e a un certo punto le cadde indietro la parrucca. Noncurante di non avere più neanche la parrucca a proteggere la sua identità, continuava a deglutire con foga, una dopo l’altra, numerosissime sorsi di piscio, fino a scolarsi un’intera pisciata di almeno 3, 4 minuti. Pensai che se fosse stata acqua non sarebbe riuscita a berne così tanta. Terza scena: si aggiustò la parrucca, si sdraiò nella vasca da bagno, tenendo la faccia  rivolta verso l’alto e disse: “tesoro, ti prego, cagami in bocca!” Io salii sul bordo della vasca, questa volta indossavo il passamontagna, mi chinai col culo rivolto verso la sua bocca, e iniziai a spingere per fare uscire uno stronzo enorme, frutto di due giorni di abbuffate e sbevazzate in vari ristoranti, senza essere andato in bagno. Lei, come ebbi modo in seguito di vedere dal video, man mano che la punta dello stronzo fuoriusciva dal culo, aggiustava la posizione della bocca perché voleva riceverlo dritto in bocca! Ma lo stronzo era troppo grosso: si appoggiò sulle sue labbra e poi le cadde sul petto. T. allora si imbrattò di merda tre dita per ogni mano, e iniziò a spalmarsi la merda sulla faccia, come fosse una crema di bellezza. Poi, con entrambe le mani, si schiacciò l’enorme stronzo che aveva sul petto contro i seni e se li strizzò con le mani sozze di merda (e qui la sua espressione di piacere fu tale che le deformò letteralmente il volto). Poi, la cagna lurida, iniziò a spalmarsi la merda un po’ dappertutto: sulla pancia, sulle gambe, infine (mostrando un’altra espressione talmente perversa da far venire i brividi) si spalmò la merda sulla fica e iniziò a masturbarsi.


 


 


L’odore in quel bagno era intensissimo, una cosa mai sentita. Era una delle merde più puzzolenti che avessi mai fatto in vita mia, frutto di due giorni di eccessi. Nonostante fosse roba mia, facevo veramente fatica a sopportare quel puzzo nauseabondo. A un certo punto ebbi l’urto del vomito e quasi non eruttai pure dallo stomaco. Ma la cosa che mi faceva rimanere allibito, impietrito, paralizzato dallo stupore, era il fatto che quella donna riuscisse non solo a sopportare, ma anzi a trovare immensamente eccitante quello schifo che si spalmava addosso. Quell’odore! “come fa a resistere, anzi a eccitarsi con quell’odore?” T. non si accorgeva minimamente dei miei dubbi e del mio calo di eccitazione, anzi, continuava a masturbarsi rapita dai miasmi. Pensai, mi chiesi, se quella donna avesse dei limiti sessualmente. Mi chiesi che razza di educazione avesse ricevuto per essere così perversa. A un certo punto, spontaneamente, mi venne in mente di farle una domanda: “qual è la tua fantasia più recondita?” Lei, in questa specie di trans fecale che aveva raggiunto, sempre continuando a masturbarsi e tenendo gli occhi chiusi, iniziò con una specie di flusso di coscienza: “Sono a Milano… Ho un padrone che mi fa vestire da troia esibizionista… vado in giro senza slip… è sera tardi… mi porta al guinzaglio in un parco pubblico… pieno di extracomunitari… barboni… spacciatori…” e intanto si eccitava sempre di più e ansimava più forte… “drogati… ubriachi… Poi, il padrone, mi ordina di mettermi a quattro zampe, col culo all’insù, come una cagna in calore… tutti quelli che si trovano lì… iniziano  turno a scoparmi… e a incularmi… io non li vedo neppure in faccia… tutti… tutti! Mi scopano e mi inculano! Mi scopano e mi inculano coi loro cazzi sporchi… senza preservativo… e mi vengono dentro!! Tutti!!! Tutti!!!!” La cagna ululò e venne con gli occhi chiusi e digrignando le mascelle in una smorfia che la deformava. Dopo che si ebbe ripresa, sconcertato da colei che avevo davanti e che, ebbene sì, era la mia fidanzata, le chiesi a bruciapelo: “Ma come fai a resistere con quella puzza di merda?” e lei rispose subito, quasi stizzita: “non ti credere sai, per me è molto difficile, ma io lo faccio solo perché so che ti da piacere.” La risposta era un tantino destabilizzante: lei declinava tutto su di me. Quello che faceva, lo faceva per darmi piacere, punto. Rimasi dubbioso.


 


 


Scena quarta. La feci alzare in piedi nella vasca, poi la feci uscire e piegare in avanti, appoggiata al bordo (sporca di merda com’era lasciava impronte dappertutto). Le diedi un barattolo di sapone intimo (di circa 12 cm di larghezza e 4 di profondità), bombato da un lato, chiedendole di infilarselo nel culo (io ovviamente intendevo dalla parte bombata, poiché mi sembrava più semplice). Lei però non capì, e incredibilmente, se lo infilò nel culo dalla parte del fondo, che non era bombata, per una profondità di una decina di centimetri. Non avevo mai visto una dilatazione simile (per lo meno così bizzarra): aveva l’ano deformato a forma di rettangolo allungato, dall’alto al basso; sembrava una figa, oppure il culo di un gay molto navigato. Preso dalla foga glielo sfilai i misi al suo posto il mio cazzo, dandole colpi fortissimi nel culo, cercando di stare attento a non toccarla troppo e a non imbrattarmi, giacché nella parte anteriore del corpo era piena di merda. Dopo poche decine di secondi esplosi nel suo culo, e lei (ormai avevo capito come raggiungeva gli orgasmi T.), sentendo il mio sperma schizzare nel suo retto, iniziò a stringerne il muscolo e a venire a sua volta, con un sonoro orgasmo e le gambe che tremavano incotrollate.


 


 


Infine T. si fece una doccia, faticando non poco a staccarsi la merda dalla pelle, e pulì pure la vasca da bagno. Per tutta la notte e il giorno seguente, quando le andavo vicino, sentivo un tenue aroma di fogna. Ma che ci volete fare… Questa era T. Questa era la mia ragazza.


 


 


Qualche giorno dopo eravamo a Lisbona. Una sera uscimmo dall’albergo per andare a fare un giro nel Bairro Alto, quartiere pieno di locali, ristoranti, night club e spacciatori. Lei, come al solito, era vestita da zoccola: tacchi alti, minigonna, collant a rete aperti nel cavallo e niente mutandine. Andammo in un locale col dj, dove facevano cocktails, e ci sedemmo a un tavolo. Bevemmo il primo cocktail, e già la vedevo su di giri. In particolare le cascava l’occhio su un grosso rasta di colore che era appoggiato al bancone, vestito da grezzo. Feci finta di niente e andai al bancone a ordinare: chiesi due mojito, uno dei quali con tripla dose di rum. Poi tornai a sedermi con lei e glielo diedi, senza avvertirla che era triplo. Lei iniziò a ciucciare dalla cannuccia e in pochi minuti si fece tutta rossa in volto. Iniziò a guardarsi in giro (io intanto l’osservavo), e l’occhio le cadeva estasiato su quel grosso negro. Pareva in visibilio, e intanto ciucciava dalla cannuccia. L’uomo si accorse dei suoi sguardi e le rispose con un sorriso, e a lei scappò una delle sue smorfie perverse e strinse la mascella. Una parte di me avrebbe voluto ordinarle di attirarlo nel cesso del locale e farsi inculare, ma l’altra parte sfrigolava dalla gelosia. Una volta terminati i mojito, la presi per mano e la portai fuori. Tirai fuori la telecamera dallo zaino e iniziai a filmarla mentre camminava, lei davanti e io dietro di qualche metro. Le dissi di esibirsi e lei iniziò a tirarsi su la gonna mentre camminava e a far vedere il culo nudo qua e là, rispondendo ai vari fischi, ai commenti e alle occhiate dei maschi che incontrava, con sguardi lascivi e perversi. A un certo punto mi venne un dubbio: smisi di filmare, le dissi di fermarsi, mi avvicinai a lei e con un dito le toccai la figa: era bagnata fradicia! T. si eccitava quando i maschi la guardavano con quegli sguardi da porci, si eccitava a mostrarsi, si eccitava a eccitare… Riprendemmo con le riprese. La feci mettere al centro di una piazza, appoggiata con una mano a un monumento, mentre con l’altra mano si infilava un pugno nel culo. Era tarda notte, quindi non c’era quasi nessuno in giro, e passavano poche macchine… poi qualcuno in lontananza, forse da una finestra, si mise a urlare qualcosa in portoghese: ce l’avevano con noi. Allora lei si sfilò il pugno dal culo di scatto, si tirò giù la gonna e mi raggiunse. Poco prima del nostro hotel, nella stessa via, c’era una macchina parcheggiata sul marciapiede (la via era piuttosto trafficata). Le dissi di chinarsi dietro alla macchina e mi sbottonai la patta davanti a lei. Aveva capito tutto senza bisogno di spiegazioni: spalancò la bocca a distanza ravvicinata dal mio uccello, e io le sparai direttamente in gola un copioso getto di piscia calda che trattenevo da tutta la serata. Siccome era un po’ sbronza, barcollava un po’ sulle gambe accovacciate, così la piscia le bagnò la faccia e anche la scollatura. Arrivati in albergo le feci mettere una parrucca (il solito caschetto modello “Valentina”) e la feci inginocchiare nella vasca da bagno. Le diedi una grossa zucchina e lei, senza lubrificante, iniziò a penetrarsi il culo come una forsennata, in profondità. La filmai per una quindicina di minuti quando, esausta e ubriaca, crollò in avanti, dicendo che era troppo stanca ed era meglio continuare l’indomani. Si sfilò la zucchina dal culo emettendo una sonora, prolungata scoreggia. La aiutai ad uscire dalla vasca e la misi a letto. T. si addormentò all’istante.


 


 


Finita la vacanza in Portogallo, dopo quasi sei mesi di assenza, me ne tornai nella mia città emiliana, a casa dei miei genitori, e T. venne con me. Ci sistemammo nella mia stanza, non senza qualche perplessità da parte dei miei. Io iniziai a lavorare per una nuova ditta, e prima di essere rispedito a Mosca in pianta stabile, dovevo fare una specie di addestramento in una città vicina alla mia, per circa sei mesi. T. passava le sue giornate visitando la mia città, i principali musei e le associazioni culturali, e inoltre le avevo dato il compito di scrivere sceneggiature per i prossimi filmini porno che avremmo girato. La sera quando tornavo stanco dal lavoro, la scopavo e la inculavo sborrandole sempre nel culo, un po’ perché mi piaceva, e un po’ perché, nonostante prendesse la pillola, non mi fidavo a venirle nella figa. Dopo circa un mese che era a casa nostra, mia madre non ne poteva più di averla in casa. Un giorno mi chiese: “deve star qui ancora per molto?” Io, un po’ offeso, le chiesi: “perché, ti dà fastidio? È la mia fidanzata”, ma lei sbottò “A me, sembra una poco di buono.” Ci rimasi un po’ male, ma un po’ capivo mia madre: la sua troiaggine trapelava, la si respirava a pelle…


 


 


Ai primi di novembre venne una troupe di una tv russa, a cui capo c’era un mio amico: dovevano girare un servizio sulle specialità enogastronomiche della nostra provincia. T. si offrì di fare loro da accompagnatrice e interprete. Io di giorno lavoravo, e la sera li raggiungevo a cena. Mi accorsi che T. era diventata una specie di star per la troupe. In particolare un cameraman ci provava spudoratamente, e lei gli dava corda e gli faceva gli occhi dolci. Il fotografo della troupe non faceva che fotografarla e sorriderle, come fosse una diva. Io mal digerivo quelle cose e dentro di me ci stavo malissimo. Finalmente il gruppo partì e io mi levai quel peso dallo stomaco. T., a metà novembre, decise di tornare a Roma. Ci saremmo rivisti per le vacanze di Natale.


 


 


Per le vacanze di Natale avevamo organizzato un viaggio ad Amsterdam, mentre il capodanno lo avremmo passato a Dublino. La vacanza nei Paesi Bassi la dedicammo all’esibizionismo. T. era sempre vestita da troia, e senza mutande. Girammo a braccetto in lungo e in largo il quartiere rosso, soffermandoci lungamente a osservare le vetrine e a fare commenti sulle prostitute: le dissi più volte che nella mia fantasia, avrei voluto vedere lei in vetrina (lei stava zitta, ma la sua bocca prendeva quella piega di perversione sua tipica, che corrispondeva al fatto che la figa le si stesse bagnando). Visitammo numerosi sexy shops, facendo vari acquisti (in particolare falli anali giganteschi, qualche vibratore, mascherine varie, ecc.). Un giorno la portai al teatro porno, dove andava in scena uno spettacolo dal vivo, con attori che facevano sesso a pochi metri da noi. Inutile dire che lei, vestita con tacchi altissimi, collant a rete aperti nel cavallo (senza mutandine), e con una bella scollatura in vista, era l’unico essere umano di sesso femminile in tutto il teatro, che pullulava mi maschi allupati perlopiù mediorientali, di pervertiti di varia natura, e dalle fattezze poco accattivanti. Sul palco una bionda si faceva scopare in tutte le posizioni da un nero muscoloso e atletico, mentre T., eccitata dalla situazione, accavallava in modo vistoso le gambe, si accarezzava il collo, le gambe, e si arricciava i capelli. Non appena lo spettacolo finì, T. si alzò subito in piedi, perché tutti la vedessero, lei, unica donna di tutto il teatro. Ecco, queste cose a lei piacevano moltissimo. In albergo girammo varie scene di doppia penetrazione, fumando hashish fra una scena a l’altra. In particolare si infilava dei grossi falli in profondità nel culo (o dei cunei anali), e poi io la scopavo. Io sentivo il passaggio per il mio cazzo strettissimo e lei urlava di piacere. Girammo anche una scena nella quale le cagai in faccia sotto la doccia e poi le pisciai in bocca. Il 31 di dicembre, al mattino, ci recammo all’aeroporto per trasferirci in Irlanda, ma successe un disguido: la mi carta di identità, già mezza rovinata, proprio in aeroporto si spezzò in due per l’usura, e mi vietarono di salire sull’aereo. T. era incazzatissima. Io ero costernato. Ora ci toccava cercare una stanza per la notte a prezzi folli (poiché era il 31 di dicembre) per i seguenti giorni. Riuscimmo per fortuna a trovarne una, ma a circa 200€ a notte (era dicembre 2007) e rimanemmo in Olanda.


 


 


La sera dell’ultimo dell’anno volevo che si vestisse da troia assoluta, quasi caricaturale. Quindi dopo la depilazione integrale, dopo essersi infilata un generoso cuneo nel culo (per dilatare bene l’ano, in modo che avrei potuto incularla con facilità in qualsiasi momento e in qualsiasi posto), si mise un paio di scarpe di brillanti con tacco altissimo, autoreggenti a rete larga, minigonna inguinale, una giacca di pelle nera in stile fetish, sul viso un trucco talmente pesante da risultare surreale, quasi caricaturale. Andammo a cenare in un ristorante tailandese, e poi andammo in giro per locali nel centro di Amsterdam, bevendo abbondantemente. Inutile dire che T. era al centro delle attenzioni di tutti gli uomini (e anche delle donne, che la criticavano per la mise). A un certo punto andammo in un cocktail bar. Il barista le sorrise (notai la scena) e lei gli fece l’occhiolino… Io sfrigolavo dalla rabbia e dalla gelosia. “cazzo!” pensavo “perché fa la troia con tutti?”, allora prima che finisse il cocktail la trascinai via con una scusa, e la portai a consumare il cocktail nella piazza antistante al locale. Li presto venimmo circondati da una gang di adolescenti arabi. Si misero a guardarla, e avevano delle facce quasi schifate. “Come puoi vestirti così da troia?” le dissero. La circondarono. A un certo punto temevo che iniziassero a palparla. Invece quello che sembrava il loro capo sputò per terra, e si rivolse a me con fare aggressivo: “che uomo sei? Chi è lei? Tua moglie? La tua ragazza? Come puoi permettere che la tua donna si vesta così?” Impauriti, facemmo finta di niente, e ce ne andammo lentamente via da quella situazione.


 


 


Non appena tornati in Italia, T. mi lasciò. Non capivo bene il perché. Le chiesi se era per colpa dell’inconveniente con la carta d’identità, che ci aveva fatto perdere parecchi soldi. Lei disse di no. Disse che io ero paranoico. Ero troppo geloso e la soffocavo. Punto. Voleva stare sola. Ingoiai il boccone amaro. Ci rimasi male, sì, ma non ero distrutto dal dolore. Ogni volta però che pensavo alle porcherie che avevamo fatto insieme, il cazzo mi pulsava fino quasi a scoppiare. “Dove la trovo un’altra così?” pensavo. Nonostante ci fossimo lasciati, continuavamo però a sentirci al telefono. Non ero solo io a chiamarla, anche lei mi chiamava. Dopo circa una ventina di giorni dalla nostra separazione, una sera mi chiamò in lacrime: il suo cagnolino era stato investito da un’auto ed era morto. Mi chiese di andarla a trovare a Fregene. Verso la fine di gennaio del 2008 me ne andai a Roma, giacché a Fregene, ospite a casa sua, non potevo andare, poiché aveva comunicato alla famiglia della nostra rottura. Avevo, quindi, preso per un giorno una stanza in un quattro stelle in centro a Roma. Venne a trovarmi in hotel, e si presentò con scarpe col tacco, collant a rete, minigonna cortissima e quel pellicciotto leopardato che avevamo comprato insieme a Mosca. Appena la vidi entrare nella mia stanza mi si irrigidì il cazzo. Mi disse che stava lavorando all’aeroporto di Fiumicino, come commessa, per una nota firma di uno stilista italiano. Veniva giust’appunto dal lavoro. Le chiesi se aveva avuto altre storie nelle poche settimane in cui ci eravamo separati. Lei, con nonchalance, mi disse che usciva con una guardia giurata dell’aeroporto, ma che non era niente di serio. Mentre parlava si sedette sul letto. Alzandomi per andare in bagno notai, per caso, che aveva due macchie biancastre lunghe e strette sulla parte posteriore della gonna scura, che parevano in tutto e per tutto sborra secca. Non volevo crederci, ma feci finta di niente. Tornato dal bagno mi sedetti sul letto accanto a lei per osservare meglio: al 99% quella era sborra secca. Sono un uomo. So di cosa sto parlando. Mi allontanai un po’ da lei, sempre rimanendo seduto sul letto. Ero di nuovo sconvolto (T. era destabilizzante). Ma continuavo a far finta di niente. Lei intanto allargò le gambe, tenendone una distesa sul letto, mentre l’altra, la teneva appoggiata per terra. La minigonna, già cortissima, andò ancora più su, e il mio sguardo cadde in mezzo alle sue gambe: tutt’a un tratto vidi le sue grandi labbra imprigionate nelle maglie della rete dei collant, che cercavano di debordare. Un’immagine pazzesca: T. aveva i collant a rete, ma non si era messa le mutande! Ogni istante che il mio sguardo stava posato sulle labbra della sua fica un impulso partiva dal cervello e raggiungeva il mio cazzo, che era talmente duro che mi faceva male. “T. ma non ti sei messa le mutande!” le dissi. Lei, con quella smorfia perversa che tanto spesso le ho visto scolpita in volto mi disse “No. Forse avrei dovuto metterle?” Naturalmente la scopai e la inculai senza preservativo fino a esploderle dentro.


 


 


La sera mi portò a mangiare a Villaggio Pescatori, sul mare, ma non volle portarmi a casa sua, quindi si inoltrò per una stradina buia e appartata, che apparentemente conosceva molto bene e, rimanendo al posto di guida, si tirò su la gonna, si tirò giù i collant, appoggiò i piedi sul volante, e si fece scopare come una cagna (forse per la prima volte le venni nella fica). Poi mi riportò in albergo. Il giorno dopo venne a darmi l’addio: stivali di pelle bianchi sopra il ginocchio col tacco a spillo, autoreggenti a rete bianche, e pellicciotto di volpe bianca, stretto in vita da una cintura, che avevamo comprato insieme a Mosca. Ricordo ancora quel giorno. Pioveva. Eravamo a villa Borghese. Mi abbracciò piangendo e mi disse addio.


 


 


Ma addio non fu. Continuammo a sentirci telefonicamente e qualche tempo dopo ci accordammo per incontrarci un weekend in Toscana, in provincia di Arezzo, sull’appennino Tosco-Romagnolo, dove i genitori di T. possedevano una casa indipendente in mezzo a un bosco. Andammo a cena fuori e mangiammo e bevemmo in abbondanza, come piaceva a noi, poi raggiungemmo il casolare. La prima sera facemmo l’amore in modo abbastanza consueto (cioè, davanti e dietro, senza particolari varianti e divagazioni). I due giorni successivi invece (cioè il sabato in particolare, ma anche la domenica) li dedicammo al sesso più sfrenato. La domenica mattina dissi a T. di depilarsi integralmente e di lavarsi, poiché avremmo girato diversi filmini, la cui sceneggiatura avevo in mente. Raggiunsi T. in bagno, con l’intento di farmi una doccia. Quando aprii lo sportello, subito mi saltò all’occhio un dispositivo per clisteri, col tubo arrotolato, appeso ai rubinetti della doccia. Rimasi molto perplesso. “Che ci fa qui questo? è tuo? Lo usi prima di fare sesso anale?” le chiesi. “No… quello? È di mia madre” Mi rispose con nonchalance. Essendo così a portata di mano, appeso ai rubinetti della doccia, dedussi che sua madre doveva farsi il clistere ogni qualvolta facesse una doccia. A giudicare dal tubo di plastica e dal sacchetto parecchio ingialliti, quel dispositivo doveva essere usato da anni. Mi venne un lampo di genio, e dimenticai all’istante tutte le sceneggiature che avevo in mente: “mettiti a quattro zampe nella vasca da bagno” le ordinai “ti faccio un clistere”. Lei sciorinò un sorriso come per dire: “sei furbo eh, tu”, con un misto di perversione. In realtà ebbi la sensazione che l’idea le piacesse molto. Si mise a quattro zampe, nuda, nella doccia, indossando solo un paio di zatteroni alti svariati centimetri. Appesi il sacchetto del clistere alla parete in alto della doccia e infilai il beccuccio del dispositivo in profondità nel culo di T., tenendo il rubinetto chiuso. Disposi la videocamera sul cavalletto, orientata alla vasca da bagno, con dentro T. a quattro zampe, col culo dalla parte della videocamera. Iniziai a riempire di acqua tiepida una bottiglia di plastica da 1,5 litri. Una volta riempita (indossando un passamontagna) iniziai a versare l’acqua nel sacchetto del dispositivo, e aprii il rubinetto. T. chiuse gli occhi e iniziò a sentire l’acqua calda che le entrava per l’orifizio anale e le risaliva lo sfintere. Inarcò la testa e fece una smorfia simile a quella che faceva quando la inculavo. Versai una seconda bottiglia, poi una terza, infine una quarta… ma quando la quarta bottiglia era quasi finita, l’acqua iniziò a fuoriuscirle dal culo, nonostante l’ano fosse tappato dal beccuccio. Allora chiusi il rubinetto del dispositivo, le feci portare una mano al culo, le sfilai velocemente il beccuccio e lei si tappò l’ano con la mano. Guardandola di profilo aveva una pancia enormemente dilatata. Sembrava una donna incinta al quinto mese. T. Iniziò a contrarre i muscoli delle natiche, e ad inarcare e a distendere con alternanza la schiena. Una mano la portò alla fica per masturbarsi e l’altra al culo per non far fuoriuscire l’acqua. Aprì leggermente gli occhi: aveva le pupille girate verso l’alto. Provava, mi disse in seguito, una sensazione simile a quella che si prova col il sesso anale, ma più pervasiva ed intensa. Io ero talmente eccitato che non mi toccavo per non venire subito. Pensavo alla scena surreale che avevo davanti, e anche al fatto che il clistere le era stato fatto col dispositivo di sua madre… che sua madre da anni si infilava in culo… e che a lei, la cosa, non faceva alcun effetto, alcuna differenza… Presi la videocamera in mano e mi avvicinai al suo culo, facendogli un primo piano. Le dissi di togliere la mano con la quale si tappava l’ano e di rilasciare il “carico”. Diversamente da quanto pensavo (e avevo visto in alcuni filmini porno) non partì un getto simile a una pisciata, ma una vera e propria eruzione potentissima di acqua marrone, dal diametro di 4 o 5 centimetri (T. aveva un ano estremamente “usato” e dilatato che, pensavo, non tratteneva bene diarrea e cacca liquida. Un ano come quello che hanno certi omosessuali dopo anni di sodomia, o certi transessuali passivi che ricevono, per anni, diverse penetrazioni anali al giorno). Di tanto in tanto, con estrema violenza, “sparava col culo” pezzi di merda piuttosto grossi (5, 6 centimetri di diametro), che si schiantavano contro le pareti della vasca da bagno. Sembrava che quell’eruzione non finisse più, anche perché il giorno prima aveva mangiato molto. E alla fine, quando si fu svuotata dall’acqua e dalla merda, fece quattro o cinque sonore scorregge, senza alcuna vergogna (perché la vergogna era un sentimento che non le apparteneva), e rivolgendomi un sorriso, mi chiese: “ti è piaciuto?”. Annuii con la testa e le mandai un bacio: “tata, sei fantastica! Eccezionale! Strepitosa!” Avevo appena assistito (e filmato) a una scena memorabile!


 


 


Lasciammo la vasca sporca di merda. T. si fece il bidet e si vestì da schiava, con le catene ai piedi, un corpetto di pelle con borchie, che lasciava scoperti i seni, e braccialetti di pelle. Truccata pesantemente, ma senza mascherina. Si mise a quattro zampe in camera da letto e iniziò a penetrarsi il culo con un grosso vibratore, in profondità. Poi mise la vibrazione al massimo e iniziò a mugolare, dicendo oscenità, mentre io la filmavo. Come sempre quando lo prendeva nel culo le si giravano le pupille all’insù e con la bocca faceva la sua solita smorfia da perversa. Pio si sfilò il vibratore e appiccicò un grosso fallo a ventosa sulle piastrelle della camera, e lentamente se lo infilò nel culo, fino ad arrivare ad una profondità di circa 25 cm. Le fece mettere una parrucca bionda le chiesi di dichiarare davanti alla telecamera le cose più oscene e perverse che le venivano in mente. Lei disse che era una schiava totale, che faceva qualsiasi cosa le chiedesse il padrone, che era una rottainculo, una frocia, una culattona, una merdaiola; che le piaceva farsi cagare in faccia spalmarsi la merda e persino mangiarla, all’occorrenza; aggiunse che voleva essere ripresa; che le piaceva l’idea che i più porci e pervertiti si masturbassero guardando i suoi video, che voleva essere guardata mentre faceva oscenità, che voleva essere sputtanata, diventare famosa, essere vista in faccia… A questo punto, io che filmavo, le chiesi di mostrare il buco del culo, e lei alzò le gambe, si infilò gli indici delle due mani nel culo, spinse con forza e fece uscire la “rosetta”, cioè un prolasso largo 7 o 8 centimetri che rassomigliava a una rosa rossa sbocciata. Feci un primo piano all’ano e trasalii: per un risultato simile ci volevano anni di intensa sodomia. Ero eccitatissimo, allora la feci mettere a quattro zampe sul pavimento e iniziai a incularla fortissimo, chiedendole di abbaiare, di miagolare, di fare il verso della mucca e del maiale, e intanto che la inculavo la facevo camminare a quattro zampe per la casa. Quando ormai le avevo distrutto il culo e avevo dolore al cazzo, mi lasciai andare in un’abbondantissima sborrata, e lei, non appena sentì lo sperma nello sfintere, iniziò a contrarre e rilasciare i muscoli del retto, come stesse mungendo il cazzo, e le gambe iniziarono a tremarle come impazzite, e cacciò un urlo fortissimo, un ululato, che se non fossimo stati in una casa nel bosco avrebbe sicuramente messo in allarme i vicini. Poi crollò a terra esausta.


 


 


Siccome la mia fantasia era irrefrenabile e quella donna la stimolava all’infinito, alla sera girai un’altra scena: lei stava seduta in cucina, fumando e, uno dopo l’altro, trangugiava bicchierini di vodka. Nel frattempo fingeva di chiamare ipotetici amanti, implorandoli di venire a scoparla e a incularla. Alla fine tornava a casa inaspettatamente il marito (io nella scena), che trovandola ubriaca fradicia (per davvero), la maltrattava e la sodomizzava per punizione. Anche il giorno seguente, la Domenica, avemmo diversi rapporti sessuali, non girai però alcuna scena, e la sera ce ne tornammo ognuno al proprio ovile. Lei a Roma e io nella città emiliana in vi era la sede della mia ditta.


 


 


Qualche settimana dopo, dopo avere finito l’addestramento, venni mandato dalla mia ditta alla sede di Mosca. Nel primo paio di mesi uscii con qualche ragazza russa. Qualche vecchia conoscenza fatta anni prima in Egitto. Il sesso con loro, però, mi risultava essere sempre molto deludente e noioso perché, anche non volendolo, mi veniva da paragonarle a T.. Un’altra volta venne a cena da me un’altra mia ex, con il preciso scopo di fare sesso, e quasi me la buttò in faccia. Io però pensavo sempre a T. Lei, a letto, non aveva rivali. T. aveva qualcosa di speciale. Non riuscivo a capire cosa fosse esattamente, ma c’era qualcosa in lei di esageratamente erotico, sensuale, pornografico, osceno… Bastava che lei fosse a pochi metri da me che il mio pene si inturgidiva. Non so cosa fosse. Forse il suo corpo sprigionava ormoni particolari che predisponevano il mio organismo all’accoppiamento… ma non era solo quello, c’era anche il suo sguardo… Mi bastava guardarla in faccia per percepirne l’estrema lussuria, la depravazione, la perversione… Non avevo mai provato quelle sensazioni, prima di conoscere lei o, per lo meno, non così intensamente. Anche il suo abbigliamento era “distrattamente” erotico: quelle scarpe col tacco, quei collant a rete che metteva così spesso, quelle minigonne, che quando si chinava ti facevano vedere direttamente il culo, quei perizomi, che sempre più spesso “dimenticava” di indossare, quelle scollature… E poi, che dire del suo corpo? Sembrava un monumento vivente al culo femminile! Aveva gambe muscolose e ben tornite, e un culo scolpito da anni di spinning (ma abbondante), che invitava alla sodomia. Una vita minuscola, che si allargava fino al petto, con il quale pure la natura non era stata avara (aveva una quarta di seno). I capelli lunghi castano chiari e un viso, non perfetto, ma che sprizzava sensualità da tutti i pori.


 


 


Ufficialmente non stavamo insieme, ma di tanto in tanto mi sentivo con T. via chat, e dopo circa un paio di mesi che ero a Mosca decidemmo di vederci in video. Quella volta mi raccontò che si stava frequentando di nuovo col suo maestro di spinning (quello stesso, sposato, con cui si frequentava quando la conobbi). Io, spudoratamente, le chiesi se le piacesse fare sesso con lui. Lei mi disse che le piaceva, ma che lui aveva il cazzo piccolo - molto più piccolo del mio, disse – (il quale non era enorme). A rafforzare questa affermazione, mi raccontò che una delle prime volte che si era appartata con lui, dopo la fine della relazione con me, lei si era messa a pecorina e aveva inarcato la schiena (invitandolo tacitamente ad incularla). T. mi raccontò dettagliatamente (ma quanto era perversa?!) che il suo ano, per la posizione, si era aperto, mostrando a Giovanni un bel buco largo. E lui si era stupito e le aveva chiesto: “ma nel periodo in cui sei stata sulla nave con quel ragazzo, lo hai fatto molto da dietro?”. Anche se era in video (e nel 2008 la qualità dei collegamenti non era eccezionale) vidi chiaramente i suoi occhi brillare di lussuria e il suo sorriso disegnare una smorfia perversa sulla sua bocca, mentre mi raccontava quell’episodio. Visto che l’atmosfera si era riscaldata dopo quel racconto, le chiesi di tirarsi su la gonna e di farmi vedere se aveva le mutandine: notai aveva un micro-perizoma, trasparente sul lato anteriore. “Hai voglia di giocare?” le chiesi. “Certo, a te non resisto”, mi rispose. Allora le dissi di sfilarsi il perizoma e di infilarselo interamente nella fica. Lei eseguì senza batter ciglio. E io iniziai a masturbarmi. Poi le ordinai di sfilarsi lentamente il perizoma e di infilarselo tutto nel culo. Lei nuovamente eseguì, e iniziò a masturbarsi. Allora le ordinai di andare in bagno e tornare davanti alla webcam con dei barattoli di shampoo e bagnoschiuma per mostrarmeli. Lei eseguì e me li mostrò. Io ne scelsi uno cilindrico, di circa 5 cm di diametro, e le ordinai di infilarselo nella fica. Lei ovviamente eseguì. Allora le chiesi di mettersi a pecorina e, lentamente, di sfilarsi il perizoma dal culo. Lei eseguì nuovamente. Il perizoma era fradicio di umori corporei e doveva sicuramente puzzare di merda, o quantomeno di culo. A quel punto le dissi di infilarsi tutto il perizoma in bocca e di inserire nel culo un barattolo di bagnoschiuma cilindrico. Lei portò a termine la mansione. La feci stare una decina di minuti col perizoma in bocca, in modo che potesse succhiarne tutti gli umori, poi le dissi di toglierlo, avvicinare la faccia allo schermo, con la bocca aperta, in modo che mentre venivo avrei avuto la sensazione di sborrarle in bocca. Lei si avvicinò e, alla vista di quei getti bianchicci copiosi che fuoriuscivano dal mio cazzo, fece una faccia che era un misto di perversione e piacere, e mugolò rapita. Quando mi fui asciugato e le si fu sfilata quei barattoli dal culo e dalla figa, le chiesi: “vuoi venire a stare con me, qui a Mosca?”. “Sì, voglio venire”. Mi rispose, senza pensarci due volte.


 


 


T. iniziò a organizzarsi per il trasferimento, si licenziò dal lavoro come commessa all’aeroporto di Fiumicino (fu la prima cosa che fece), disse addio, o meglio, “arrivederci” ai suoi vari amanti (fu l’ultima cosa che fece). Nel frattempo, però, la situazione all’ufficio di Mosca per me era precipitata: ero l’unico italiano in un ufficio di russi e mi trovavo malissimo, con colleghi che mi facevano la guerra; coi capi in Italia c’era poca comunicazione; nessuno mi spiegava o mi diceva cosa dovevo fare; e, a poco meno di un anno dall’assunzione, iniziai a essere molto stressato e scontento della situazione lavorativa.


 


 


Arrivò il giorno dell’arrivo di T. Era l’inizio di agosto del 2008. La andai a prendere all’aeroporto, e ricordo ancora com’era vestita: aveva un paio di stivaletti da cowboy, una minigonna bianca di cotone, una camicetta nera a fiori rossi con una gran scollatura e un’abbronzatura dorata che rivelava il molto tempo passato al mare a prendere il sole. Arrivati a casa le palpai il sedere e le sollevai la gonna: aveva un perizoma bianco che non avevo mai visto, e che metteva in risalto il suo gran bel culo abbronzato. Nei giorni seguenti girammo numerosi filmini in casa. La filmavo mentre si dilatava l’ano con falli enormi e cunei di varie dimensioni. Le praticavo il fisting anale quotidianamente. Una sera addirittura, un po’ sbronzi, ci addormentammo entrambi e io dimenticai la mia mano intera nel suo culo. Ci svegliammo alla mattina che i rigagnoli degli umori giallastri dello sfintere che le erano colati fra le cosce e sul mio braccio, si erano risecchiti, e il suo muscolo anale si era come cementato attorno al mio polso. Sfilai il pugno lentamente e con la massima attenzione, ma le feci ugualmente male.


 


 


Una domenica facemmo un pranzo luculliano, con le migliori specialità comprate al vicino mercato (io cucinavo spesso per lei), bevemmo vino italiano, e poi, satolli, andammo in bagno a girare un filmino. Per prima cosa lei si mise a quattro zampe sul pavimento e si infilò un grosso fallo nel culo in profondità, poi se lo sfilò e, sorpresa, attaccato al fallo c’era un grosso pezzo di merda (quasi uno stronzo intero). Lei senza il minimo imbarazzo (perché la merda non era un tabù per lei) appiccicò il fallo con la ventosa sul pavimento di piastrelle (l’odore di merda si sparse per tutto il bagno), e si sdraiò nella vasca da bagno (mi pareva un invito a pisciarle e a cagarle addosso). Prima che mi avvicinassi mi disse però: “per favore, non in bocca, ho parlato di queste cose con una mia amica e lei è rimasta allibita, mi ha detto che sono pazza; non voglio più mangiare la merda o bere la pipì”. Io rimasi frastornato “cosa significa: ne ho parlato con una mia amica?? È andata a dire alla sua amica che mangia la merda?!” Ci misi una decina di secondi a riprendermi, poi, senza proferir parola mi avvicinai col cazzo in mano alla vasca da bagno e lei, per tutta risposta, con un gesto automatico, allungò la testa verso il mio cazzo come per bere il mio piscio. “Ma ci fa o ci è ‘sta tipa? Mi dice che non vuol bere il piscio e poi si allunga per berlo!?”. Con la mano le spostai la faccia: “se non vuoi bere, non berla, o no?” e le pisciai direttamente sul petto. Lei parve quasi dispiaciuta, comunque si massaggiò i seni e si stuzzicò i capezzoli bagnati di piscio. Poi salii in piedi sul bordo della vasca. Non andavo di corpo da un pio di giorni e avevo un gran mal di pancia. Mi chinai col sedere verso di lei, mi girai verso di lei (nel frattempo la videocamera era ben posizionata sul cavalletto e stava riprendendo tutto): “vado?” lei fece la solita smorfia perversa: “si vai”, e mi partì un forte getto di merda sciolta che, per la pressione, invece di arrivarle sui seni le arrivò sul collo, imbrattandole anche un po’ i capelli, se non fosse stato per qualche pezzetto solido, che veniva sparato di tanto in tanto, poteva sembrare una pisciata dal culo. La merda era però tantissima (come ho detto non cagavo da due giorni) e gliela scaricai tutta addosso. Lei era in visibilio, se la spalmava, si massaggiava con mani e braccia sulla pancia e sul petto, e iniziò a masturbarsi. Non appena scesi dalla vasca un odore nauseabondo, fortissimo, insopportabile si diffuse nel piccolo ambiente del bagno. Era diventato una camera a gas. E ancora una volta questa donna pareva non curarsene. Come se nulla fosse. Iniziai a tossire dal disgusto e mi vennero un paio di conati di vomito. Ma non vomitai. Questa volta però l’odore era davvero troppo forte. Lo avevo prodotto io, ma per me era troppo. Ancora una volta mi balzò alla mente un pensiero insopprimibile: “Come fa T. a resistere a questo odore?? A eccitarsi?” questa volta non glielo chiesi, ma interruppi la scena aprendo la doccia e spruzzandogliela addosso, e lavando via la merda dalla vasca.


 


 


Una sera le chiesi di vestirsi da vera troia esibizionista: oltre alle scarpe col tacco, alle calze a rete e a una minigonna inguinale, indossò un corpetto aderente in pelle nera, che più che un vestito sembrava un capo di biancheria intima sado-maso. Siccome non indossava gli slip, prima di uscire, si allargò bene “la porta sul retro” con un cuneo anale, per essere pronta a una possibile penetrazione improvvisata nel corso della serata. Prendendo la metro, girammo il primo dei filmini della serata: T. sedeva su una panchina nel vagone della metro frequentato da altri utenti, allargava le gambe mostrandomi la fica depilata (io sedevo sulla panchina di fronte con la videocamera), e si masturbava, eccitata dal rischio di essere vista. Arrivammo poi a una discoteca dove rimanemmo per un’oretta, per poi spostarci in un locale a fianco. L’ingresso era molto caro (sui 70€ a testa) e come scoprimmo, era un locale di spogliarello, frequentato da soli uomini. Entrati nel locale ci dirigemmo al bancone, dove ordinammo due cocktail, poi io mi spostai qualche metro più in là, mentre T. rimase sola al bancone. Seduti di fianco a me c’erano altri uomini, coi quali iniziai a chiacchierare: mi chiesero da dove venivo, cosa facessi a Mosca, ecc., mentre T., di certo scambiata per una prostituta in cerca di clienti, venne avvicinata da un uomo sulla cinquantina, che iniziò a conversare con lei. Il tizio le offrì da bere e cominciò a conversare in modo sempre più ravvicinato, le mise il braccio sulla spalla… A quel punto, bruciante di gelosia (ma col cazzo ben turgido) abbandonai la conversazione coi tipi che mi stavano intorno e andai da T., facendole cenno che dovevamo andarcene. Fuori dal locale T. mi confessò che il tipo le aveva offerto mille euro per passare la notte con lei. Il tipo ci aveva visto giusto: T. non aveva tabù, gli avrebbe fatto fare una nottata che non si sarebbe mai più scordato. Prendemmo un taxi e andammo verso la via Tverskaja: erano più o meno le tre del mattino, ma avevamo voglia di un sushi. Arrivati nei pressi di un ristorante giapponese, sulla Tverskaja, all’angolo con il Teatro dell’Arte, venimmo approcciati da un gruppo di uomini caucasici (o dell’Asia Centrale, non saprei). Erano molto attratti da T. e da come era vestita. Lei, come al solito, ai loro sguardi e ai loro commenti rispose con un sorriso equivoco, e loro ci circondarono e iniziarono a palparla. Uno di loro le prese la mano e iniziò a tirarla dalla sua parte. Ancora una volta, se non avessi avuto una presa forte, le avrebbero fatto una gran festa, ma io la tenni con forza e la tirai via da loro, correndo verso un bar. Quegli uomini ci seguirono, ma i baristi e i clienti, avendo visto la scena, non permisero loro di entrare, minacciando di chiamare la polizia. E così T. fu salva ancora una volta. Invece del sushi, mangiammo un kebab, e non appena gli energumeni se ne furono andati, ce ne tornammo verso casa. Prima di entrare nel palazzo, nell’aiuola antistante, mi sbottonai la patta e cacciai il cazzo in gola a T., che me lo succhiò con gratitudine, per averla salvata ancora una volta.


 


 


Dopo meno di un mese che T. sia era trasferita a Mosca, io mi licenziai dalla ditta per la quale lavoravo, e decisi di tornare in Italia. Potete immaginare il suo disappunto: aveva detto a tutti i suoi amici (in realtà non me ne aveva mai presentato nessuno) e alla sua famiglia, che si sarebbe trasferita in Russia per un lungo periodo, e ora le toccava tornare in Italia con le pive nel sacco. Ma, nonostante la sua contrarietà, non mancò di eccitare con una bella esibizione dal sedile posteriore il taxista che ci accompagnò in aeroporto e che la spiava dallo specchietto, mentre io “ignaro” stavo seduto nel sedile affianco al posto di guida: accavallava le gambe, se le accarezzava, lo guardava con quelle smorfie da troia attraverso lo specchietto, ecc. ecc.


 


 


Tornammo in Italia e più precisamente a Fregene, nella villa dei suoi. Io stavo attraversando un bruttissimo periodo e mi stavo ancora leccando le ferite del periodo lavorativo trascorso a Mosca. I suoi, all’inizio, non c’erano: si trovavano in Toscana nella loro casa sull’Appennino Tosco-Romagnolo. Nei circa quindici giorni trascorsi da lei, della sua cerchia, ebbi modo solo di conoscere sua sorella, che fra l’altro era in partenza per le vacanze. Di altre sue conoscenze non me ne presentò mai, e la cosa mi causava seri dubbi: non aveva amici? Oppure: aveva solo amici maschi e non me li voleva presentare? Forse si vergognava di me? Non ero all’altezza delle sue amicizie? Ma se fosse stato così, perché continuava a essere la mia fidanzata? Più probabilmente aveva avuto, o aveva a quell’epoca, altre tresche in paese, e non voleva sputtanarsi troppo. Comunque mi portò a mangiare in diversi ristoranti, e tornati a casa la sera, facevamo l’amore selvaggiamente. Di giorno preferiva non andare in spiaggia, ma prendere il sole (completamente nuda) su un lettino nel suo giardino (proprio sotto le finestre della villa dei suoi vicini). Gli ultimi giorni del nostro soggiorno a Fregene, i suoi genitori tornarono dalla Toscana, ed ebbi modo di vedere sua madre e suo padre. Lei però non volle che io dormissi nella loro casa, e insieme ci trasferimmo in un bungalow, in un camping a Ostia Lido. Il suo modo di abbigliarsi e i suoi sguardi lascivi attiravano l’attenzione dei maschi del camping, giovani e meno giovani, single e padri di famiglia. La sera giravamo filmini nel bungalow, e ogni giorno la inculavo per ore: quando stavo per venire mi fermavo, recuperavo le forze e ricominciavo a sodomizzarla. Una volta la portai in un cesso pubblico del camping (uno di quelli con la porta aperta nella parte inferiore, nei quali si vedono i piedi di chi sta dentro) la feci appoggiare alla parete, se sollevai il vestito e iniziai a incularla con tutte le forze che avevo. All’epoca ero un toro e ci mettevo un bel po’ a venire (anche perché lei mi manteneva sempre le palle vuote), così, dopo un quarto d’ora che la inculavo senza venire, le estrassi il cazzo dal culo, sentii un forte odore di merda e mi accorsi che il mio glande era ricoperto delle sue feci. Allora la presi con forza per i capelli, la girai e la feci inginocchiare davanti al mio cazzo, e lei, guardandomi dal basso, senza batter ciglio, aprì la bocca e si mise a succhiare con devozione il mio cazzo smerdato, fino a ripulirlo tutto. Una volta che ebbe finito, mi infilai il cazzo durissimo nelle mutande, mi abbottonai i pantaloni, e uscimmo dal bagno. Di fronte a noi c’erano cinque o sei persone (quasi tutti uomini) che (evidentemente per il nostro turpiloquio e i nostri gemiti) si erano soffermate davanti alla latrina. C’era anche una donna (probabilmente la moglie di uno di quegli uomini) che, tenendo le mani sui fianchi, ci osservava con uno sguardo particolarmente severo. Gli sguardi degli uomini invece erano tutti posati su T.: la scrutavano dalla teta ai piedi, e soprattutto si soffermavano sul viso: volevano vedere in faccia una troia di siffatta risma. A lei quegli sguardi non sfuggirono, anzi, ne assaporava il piacere (come ebbi modo di osservare dalla coda dell’occhio): accennò un sorriso e si fece sfuggire una delle sue smorfie perverse. Rientrati nel bungalow, le tastai la figa: era grondante di umori fin sulle gambe, allora la sbattei sul letto e la scopai più forte che potevo in posizione canonica, fino a venirle dentro e a sentirla godere di un orgasmo fortissimo che le fece tremare le gambe in modo incontrollato.


 


 


Il giorno dopo ci venne voglia di farlo in macchina, così partimmo alla ricerca di un posto appartato. Facemmo diversi chilometri, finché ci trovammo a Trigoria, e a quel punto T. mi indicò una struttura isolata che, a detta sua poteva andar bene. Eravamo precisamente nel centro sportivo di Trigoria, dove sia allenava la Lazio. Prima del centro sportivo, dal lato della strada (per altro piuttosto trafficata), c’era un ampio parcheggio. Noi parcheggiammo l’auto all’estremità del parcheggio, dal lato del centro sportivo, a una cinquantina di metri dalla strada. Lei aveva un paio di zoccoli con tacco altissimo di vernice rossa (da spogliarellista), un paio di calze autoreggenti a reta a maglia larga rosse, una minigonna di jeans, e una maglietta corta, aderente, che metteva in risalto il seno. Non appena scesi, nell’aiuola antistante, notai centinaia, anzi migliaia di preservativi usati: ce n’erano decine per metro quadro. Era sicuramente un luogo di prostituzione. La feci scendere dall’auto e la feci spogliare nuda (ad eccezione di autoreggenti e scarpe col tacco). Lei si chinò e si mise a spompinarmi. Io le feci diverse foto mentre era all’opera, in modo da inquadrare anche porzioni di terreno cosparse di profilattici usati. A separarci dalla strada trafficata a quell’ora (saranno state le quattro di un pomeriggio di fine agosto), c’era un parcheggio vuoto e la nostra sola auto messa di traverso (che, visto il luogo e la situazione) doveva apparire senz’altro sospetta. Dopo un bel pompino iniziale, quando il mio cazzo era duro al punto giusto, la feci mettere a pecorina sul sedile posteriore e iniziai (come al solito) a incularla. Vista la calura, tenevamo tutti i finestrini aperti, e chi passava sfrecciando sulla strada principale e si girava di lato per guardare verso il parcheggio, se avesse avuto una vista acuta, avrebbe visto la smorfia perversa di T., quasi affacciata al finestrino, che lo prendeva nel culo. Avevo paura che qualcuno chiamasse la polizia e lo dissi a T., e lei, da esperta chiavatrice in auto, prese la sua maglietta, tirò su il finestrino e incastrò il bordo della maglietta sul finestrino, in modo da creare una specie di tendina. Ora nessuno ci poteva vedere, ma tutti intuivano che in quell’auto c’era qualcuno che stava scopando. Finalmente venimmo entrambi (lei con un sonoro orgasmo anale, ma che ve lo dico a fare?), e ce ne andammo da quel postaccio. Nell’andar via però, ebbi come la sensazione che T. conoscesse quel posto, o per lo meno che ci fosse già stata…


 


 


Una delle cose che dovevamo decidere ora era se volevamo o meno continuare a stare insieme. Se sì, come avremmo fatto: saremmo stati ognuno nella propria città e ci saremmo visti di tanto in tanto? Oppure saremmo andati a vivere l’uno nella città dell’altra? Eravamo entrambi senza lavoro, quindi liberi come l’aria, ma io possedevo un appartamento nella mia amata città emiliana. Decidemmo così: avremmo convissuto nella mia città, ma lei sarebbe di tanto in tanto tornata a Roma per passare un po’ di tempo anche là.


 


 


Partii da Roma solo, mentre lei stette una settimana con i suoi genitori, e ai primi di settembre ci incontrammo alle Cinque Terre. Qui rimanemmo non molti giorni, ma fu come una specie di viaggio di nozze prima della convivenza. Tanto esibizionismo, ristoranti, ottimo vino, scopate in appartamento, filmini vari con vere e proprie sceneggiature, dove lei interpretava vari personaggi.


 


 


Finalmente ci trasferimmo in Emilia a metà settembre. Io trovai presto lavoro come export manager in una ditta della mia città. Il mio lavoro era più che altro in ufficio, con qualche viaggio qua e là. Lei nel primo periodo si mise soprattutto a visitare la città e a frequentare varie associazioni culturali. Ce ne fu una, il cui presidente, la incaricò di affittare a suo nome un appartamento, un bilocale, assicurandole che lui avrebbe poi pagato l’affitto. A me questa mossa parve molto strana e sospetta e le raccomandai di non farlo. E apparentemente lei seguì il mio consiglio. Dico apparentemente poiché, lavorando io dieci ore al giorno, chi cazzo lo sapeva cosa faceva lei tutto il giorno? Poi una sera si presentò a cena (io di giorno mangiavo in bar vicino alla ditta, che era una decina di chilometri fuori città, e la sera arrivavo a casa verso le 19:30 e non la trovavo mai a casa, e dovevo prepararmi la cena) verso le 20:30/21:00, con un giornale di annunci, e mi lesse un annuncio che, mi disse, forse faceva al caso suo. L’annuncio era, più o meno, così: “cercasi commessa per sexy shop di nuova apertura in città. La candidata deve essere un’esperta e appassionata di sexy toys, per poterli proporre e spiegare ai clienti”. “Che faccio, rispondo?” mi chiese. Io ebbi un’erezione istantanea, ma la mia apertura mentale non era tanto “ampia”, “No. Lascia stare” le dissi. Un’altra volta, dopo essere tornata per un weekend a Roma dai sui (disse), mi si presentò a casa vestita completamente da zoccola; scarpe col tacco, collant a rete aperti nel cavallo, minigonna inguinale e pellicciotto di volpe bianca con una cintura che le stringeva la vita. Dopo poco tempo che arrivò in casa iniziò a suonarle il telefono, Quando vide il numero sussultò. Fece una faccia strana, ma non rispose. Il telefono continuò a squillare diverse volte finché non bloccò il numero: “no, scusa, è un ragazzo marocchino che ho conosciuto in stazione: gli avevo dato il mio numero, ma non credevo che fosse così insistente.” Rimasi basito. Si rimise a cercare lavoro: alla fine trovò un posto in un relais con spa, alle porte della città, dove avrebbe servito le colazioni in camera ai clienti.


 


 


Io, dal canto mio, ero convinto che lei fosse veramente portata per il porno. Non avevo ancora pubblicato niente dei filmini girati, aspettavo di avere una buona quantità di ore girate, per poi dedicarmi al montaggio e trovare canali per fare soldi (soldi per tutti e due). In un paio di mesi, investii circa diecimila euro in lingerie sexy, scarpe, oggettistica varia, falli e vibratori di ogni tipo, vestiario fetish e attrezzatura sado-maso. In particolare mi rifornii di dilatatori anali, in un sexy shop online per gay.


 


 


Una sera le inserii un dilatatore anale, e lo aprii fino alla massima estensione, poi lo bloccai alla massima ampiezza e la feci stare con quel coso nel culo per circa due ore. Vedevo l’ano stirato al massimo (credo che mezzo centimetro in più glielo avrebbe lacerato). Potevo guardarle nel retto fino agli intestini. La sera dopo, con un sorrisetto, mi sussurrò: “lo sai che il mio ano è cambiato dopo il trattamento di ieri sera? Ora è più duro, più in fuori e più aperto.” Le facevo girare scene dove interpretava una escort, con parrucca rosso fuoco e abitini succinti, che faceva qualsiasi cosa per soddisfare il suo cliente (che nei nostri giochi ero io). La facevo vestire nei modi più estremi, con corpetti aderentissimi, calze a rete, minigonne e scarpe con tacchi altissimi, e poi la portavo nei parchi pubblici, di notte a esibirsi, magari sotto a un lampione, a infilarsi i pugni nel culo. La facevo camminare per il centro senza mutande, e la facevo chinare in avanti ad aggiustarsi il laccetto delle scarpe, e tutti quelli che le stavano dietro le guardavano il culo. La portavo nei posti più malfamati della citta, vestita da puttana, con stivali fin sopra il ginocchio, collant a rete neri aperti nel cavallo, minigonna cortissima (senza mutandine), col pellicciotto leopardato. La facevo battere per finta, e intanto la filmavo. Le facevo foto nuda, di notte, vicino ai cartelli col nome della nostra città, la portavo fuori nuda, coperta solo da un impermeabile di vernice nera, e un cuneo anale ficcato in culo, poi, nei luoghi più insoliti, glielo estraevo e la inculavo. In camera da letto, si esibiva cavalcando col culo falli di 25 cm e dal diametro di 6, 7, che si ficcava fino alle palle con foga, e poi mi mostrava il buco del culo mostruosamente aperto. Ecc., ecc.


 


 


Il suo lavoro di cameriera era però misterioso. A casa non raccontava niente. Ne io sapevo cosa facesse al pomeriggio. Una mattina, prima di andare al lavoro (andava molto presto al mattino), le scopai il culo e glielo riempii di sborra. Poi, senza neppure lavarmi per la fretta, andai al lavoro anch’io. La sera a cena lei mi raccontò (come se già non me lo facesse rizzare abbastanza) che la sborra le era colata per tutto il mattino fra le gambe. Così, non so perché, prestai attenzione alle sue gambe, e mi accorsi che andava al lavoro con collant da vera zoccola, aperti nel cavallo, e senza indossare gli slip. A quel punto le feci una scenata di gelosia. Poi finimmo a letto, e la inculai di nuovo (senza essermi prima lavato), e mi addormentai (di nuovo senza lavarmi). Dal giorno dopo, notai, lei iniziò ad andare al lavoro con collant “normali”, quantomeno non a rete o aperti nel cavallo. La sera seguente, quando tornai dal lavoro, ci baciammo e ci venne voglia di fare sesso. Le i mi strinse il cazzo e lo tirò fuori. Io ero imbarazzato perché puzzava terribilmente (era reduce da due giorni di inculate senza mai essere stato lavato). Lei, appena notò la cosa, mi disse guardandomi negli occhi e accennando un sorriso: “non ti sei nemmeno lavato, eh?” e me lo prese in bocca, per nulla schifata, e me lo succhiò e ripulì per bene. Quindi, dicevo, dopo le mie rimostranze aveva iniziato ad andare al lavoro con calze “normali”, e non ci feci più caso a com’era vestita. Un paio di settimane dopo, però, cercando qualcosa nella sua borsetta, mi accorsi che teneva, appunto, nella borsetta, i collant da zoccola, sicuramente indossati. Cioè T. partiva da casa con collant “normali” poi, non si sa dove, forse nel bagno del relais dove lavorava, si metteva i collant da zoccola, e se li ricambiava prima di tornare a casa. Quando scoprii la cosa, le feci un’altra scenata di gelosia. Alla sera però, immancabilmente facevamo sesso, e io, le venivo sempre nel culo. Iniziai però a notare una cosa, che prima non accadeva, ogni volta che la inculavo, mi sporcava l’uccello di merda. Cioè lei, diversamente da prima, non cagava prima di fare sesso. Io tiravo fuori l’uccello sporco di merda, e lei sistematicamente me lo succhiava e ripuliva, quasi lo facesse apposta. Mi disse però, che non voleva più fare giochi con la merda, cioè, non voleva più che le cagassi in faccia, o addosso, poiché la sua amica S. le aveva fatto capire che è sbagliato (questo fu il primo ”tabù” di T. da quando la conoscevo). Però, ripeto, non disdegnava, anzi, sembrava facesse apposta, a succhiarmi il cazzo sporco della merda del suo culo (ma chi la capisce T.?). A volte, quando la inculavo, sentivo la punta del glande affondare nella merda, e la cosa mi faceva un po’ innervosire, così, sfilavo l’uccello, le infilavo due dita in culo, e le estraevo un bel pezzo di merda: “Ecco! Mangia! Se è questo che vuoi!” e le mettevo il pezzo di merda in bocca. E lei masticava e deglutiva la sua merda. Praticamente mangiava la sua, ma non quella degli altri. La filmavo mentre si infilava oggetti vari nel culo: frutta, verdura, oggetti della casa… un giorno le infilai una bottiglia di vino di tipo bordolese nel culo per una decina di centimetri. La filmai e la fotografai nell’impresa. Un cambiamento che notai a partire dalla fine di dicembre, nel suo culo, fu che T. aveva perso il controllo pieno dello sfintere. Mi spiego meglio: dopo un’inculata, e ancor di più dopo una penetrazione anale più importante, perdeva le feci: se ad esempio si alzava per andare in bagno, trovavo dei pezzi di merda, anche del diametro di alcuni centimetri in giro per la casa, e lei non se ne accorgeva minimamente (ne glielo feci mai notare). Quando si alzava e poi tornava a letto, io facevo finta di andare in bagno, prendevo dei pezzi di carta igienica, e mi mettevo a raccogliere la merda che trovavo sul pavimento.


 


 


Si iscrisse in palestra. Così, presumo, la mattina lavorava nel relais e il pomeriggio lo passava in palestra. Iniziò a farsi una depilazione particolare: cioè era depilata integralmente, ma aveva trovato da qualche parte una lettera T. in plastica, e con essa si disegnava una lettera T. coi peli della fica, rasandosi attorno. Mi disse con soddisfazione e compiacimento che tutte le donne nello spogliatoio della palestra le guardavano la fica. Del lavoro al relais non diceva niente, ma dopo circa un paio di mesi saltò fuori che non la pagavano e che era tenuta ancora in nero, senza contratto. Io mi incazzai all’istante: “vuoi che faccia una telefonata al tizio?” le chiesi deciso. Ma lei subito si tirò indietro: “no, no, lascia stare. Con certa gente meglio non avere niente a che spartire” rispose con ostentata “signorilità”. Sta di fatto che da allora, apparentemente, non andò più a lavorare in quel relais. Ma io su queste cose non so molto: so solo quello che mi diceva lei. Lavorando dieci ore al giorno non so cosa facesse esattamente durante la giornata. Vennero le vacanze di natale e venne la fine dell’anno. Il 29 di dicembre del 2008 partimmo in macchina per dirigerci verso Praga, non senza prima aver comprato una ventina di grammi di marijuana, che avvolgemmo in una stagnola, infilammo in un preservativo, e T. si offrì di nascondere e portare con sé: vi state chiedendo dove? Ma nel culo ovviamente: le infilai l’involucro ben in profondità, in modo da non correre rischi. Avrebbe solo dovuto rimanere senza cagare fino a Praga. Arrivati in albergo cagò l’involucro sul pavimento del bagno, e grazie a lei ci fumammo un gran numero di canne. Nella città boema ci divertimmo parecchio, con le cose che più o meno facevamo sempre: esibizionismo, abbigliamento da troia, occhiate che mandava ai vari uomini che incontrava e che non mi sfuggivano quasi mai, visite a sexy shops, esibizionismo in albergo, filmini con fisting anali, ecc. ecc. Anche lì, come già avevamo fatto ad Amsterdam e a Mosca, andammo in un locale per soli uomini (lei ovviamente conciata di tutto punto), e la lasciai sola in balia di numerosi individui di sesso maschile che la mangiavano con gli occhi, la approcciavano e le pagavano da bere. Credo che questo tipo di situazioni fosse fra quelle che le piacevano di più: sola al centro delle attenzioni di uomini allupati. Alla fine della serata però, ce ne tornavamo immancabilmente in hotel. Dopo circa una settimana tornammo a casa.


 


 


Lei, all’inizio di gennaio, cambiò lavoro. Iniziò ad andare a casa delle persone per vendere contratti telefonici. E fu proprio tramite questo lavoro che, così mi disse, conobbe Giorgio, un faccendiere sui sessantacinque anni, che le propose di lavorare per lei come segretaria. Conoscevo quell’uomo tramite quello che mi raccontava lei, e non mi piaceva affatto: l’uomo chiarì subito che la posizione che offriva a T., così mi disse lei, “non era per donne con mariti gelosi”; bisognava accompagnarlo sovente a cene e a trasferte varie, lunghe anche diversi giorni. Lei avrebbe dovuto fare non solo da segretaria, ma anche da accompagnatrice. Feci una ricerca su internet e risultò che l’uomo, in passato, era stato condannato per bancarotta fraudolenta ed era citato in altre vicende di cronaca (sempre inerenti a truffe e fallimenti). Lo dissi a T., ma lei pareva ammaliata da quel ceffo, mi rassicurò e mi disse che sarebbe stata attenta. Dopo circa una settimana che lavorava per lui, dovette accompagnarlo ad una trasferta a Brescia, di ben tre giorni (Brescia sta a poco più di 100 km dalla mia città). Io intanto lavoravo dieci ore al giorno tornavo a casa la sera stanco, mi preparavo da mangiare e, prima di addormentarmi, mi facevo una sega pensando a T. Lei tronò da quella trasferta super entusiasta. Era proprio entrata nel ruolo “manageriale”! La settimana seguente, il venerdì sera, andò a cena col capo e (così disse) con alcuni clienti. La terza settimana al mercoledì tornai alle 19:30 dal lavoro e la sorpresi intenta a nascondere dei quadri affidatigli dal suo capo, che lei diceva fossero del pittore Morandi (mai io non ne volli mai saperne niente), nell’armadio dello studio. Io sclerai: “fai sparire subito questi quadri! Riportaglieli!” “Ma non posso! Gli ho promesso che li avrei tenuti!” si arrabbiò lei. “Allora tienili in macchina!” “Ma valgono decine di migliaia di euro”. Insisteva. “A maggior ragione falli sparire!” fui irremovibile. Il giorno dopo gli riportò i quadri. Ma questa situazione, e quel tizio, erano intollerabili. Capii che T. aveva un estremo bisogno di libertà, e decisi di allargare un po’ le maglie della nostra relazione, di cambiare qualche ingrediente del nostro rapporto: Di cederla apertamente ad altri uomini non me la sentivo, così mi decisi a pubblicare varie sue foto (dove la sua identità era comunque ben celata da parrucche e mascherine) su vari siti di incontri nella ricerca di uomini per praticare sesso virtuale. Pubblicando foto dove si infilava oggetti nel culo ricevetti centinaia di risposte, corredate di foto intere di uomini e dei loro cazzi. Un sabato le feci questa sorpresa: le feci vedere l’email dove questi suoi ammiratori avevano scritto e inviato le foto. Lei impiegò un paio d’ore per osservare divertita tutte le varie foto, soffermandosi soprattutto sui cazzi. Infine, decise di invitare tre uomini a un incontro in webcam per l’indomani pomeriggio, a turni di mezz’ora ciascuno. Praticamente lei si presentò con parrucca e mascherina, circondata da vari falli finti, e gli uomini le davano ordini; le dicevano con che fallo penetrarsi il culo e con che fallo penetrarsi la figa. Uno in particolare si divertiva a farle usare lo stesso fallo prima per il culo e poi per la figa, nel giro di poco tempo, comunque, venivano, e lei si metteva con la bocca aperta vicino alla webcam, simulando di farsi sborrare in bocca. Con primo T. si eccitò molto, col secondo un po’ meno, col terzo parve già annoiata.


 


 


Con l’inizio di febbraio 2009 successe che T. cominciò a non venire più a casa a cena, ma tornava sempre più tardi. Una volta mi disse che avevano fatto l’aperitivo in ufficio. Una volta che era stata nel bar a fare l’aperitivo con tutti i colleghi, e così via, di sera in sera. Praticamente tornava a casa non prima delle dieci, quando io ero già a letto. Mi accorsi però, conoscendola da tempo, che quasi tutte le sere, quando tornava, era ubriaca: quando mi alzavo per salutarla e lei era ancora in piedi, mi accorgevo che, nonostante si sforzasse per dissimulare, biascicava vistosamente le parole e a volte barcollava persino. Una volta che mi svegliai per andare in bagno, verso mezzanotte, la trovai in cucina che stava a malapena in piedi e, per non cadere, si reggeva al tavolo. “Ciao T.” le dissi. E lei biascicò un “Ciao”, con gli occhi semi chiusi, cercando di evitare il mio sguardo. Fece un movimento brusco per cercare di camminare dritta verso la camera da letto ed evitare il mio contatto, ma mise male il piede (naturalmente aveva i tacchi), prese una storta e, se non l’avessi sostenuta, sarebbe franata sul pavimento. L’accompagnai in bagno a pisciare, poi a letto e la spogliai.


 


 


Ormai era chiaro: la nostra relazione si stava sgretolando a velocità sostenuta. Decisi di tentare un’ultima carta: le proposi di passare una serata in un club privé. Un sabato di metà febbraio, la feci abbigliare in una mise da zoccola del quartiere, senza mutande, e la portai a mangiare in un ristorante a Lodi. Finita la cena, ce ne andammo insieme in club privé nelle vicinanze. All’inizio fu molto divertente, lei amava farsi guardare, io le sollevavo il vestitino trasparente, prima davanti, e facevo vedere a tutti la sua fica, e poi dietro, mostrando il suo bel culo. Lei a un certo punto era così entrata nella parte, che seduta su un divanetto a bordo pista, si mise a farmi una sega, e a incrociare gli sguardi di tutti gli uomini che si soffermavano sulla scena, sorridendo loro. Poi, andammo in una zona in cui c’erano diversi singoli, accavallò le gambe, mostro loro culo e figa, e li fece pure palpare il culo. Io, dovevo guidare e non potevo bere, ma continuavo a portarle dei cocktail, a un certo punto, non so cosa le prese: mi girai e lei non c’era più. Guardai a destra: non c’era. Guardai a sinistra: non era neppure lì. Iniziò a montarmi una vampata di gelosia: “dove cazzo è andata?” pensavo. “Starà facendo qualcosa con qualcuno?” iniziai a cercarla per tutto il locale, ma non la trovavo, infine, dopo circa una mezz’ora, la trovai in una sala dove era in corso una gang bang, che scrutava una donna prendere cinque o sei cazzi alla volta. Ma ero stato in quella sala già due o tre volte, e lei prima non c’era. “Dove cazzo sei stata?” Le chiesi incazzato. Lei, ubriaca, sclerò, e iniziò a urlare che ero troppo geloso e a fare una scenata. In macchina cercai più volte di chiederle dove era stata in quella mezz’ora abbondante, ma non mi diede nessuna risposta assennata.


 


 


Ormai avevo il cuore in pezzi e lo stomaco disturbato. Sapevo che così non potevamo continuare molto. Per tutta la terza settimana di febbraio lei continuò a tornare tardi, più o meno bevuta, quando io ero già a letto. Il venerdì però (non andando al lavoro il sabato mattina), decisi di aspettarla senza mettere il muso, facendo finta che nulla fosse, cercando di accoglierla nel modo più sereno possibile. Lei arrivò verso le dieci e trenta: era ubriaca, come al solito, cercava di dissimulare ma biascicava e, nonostante i suoi sforzi, non aveva un’andatura perfettamente dritta. Io l’accolsi con un sorriso, noncurante, iniziando a raccontare un aneddoto su una cosa che mi era accaduta quel giorno al lavoro. Lei cercò di dissimulare nonchalance biascicando qualcosa, ma sembrava avere fretta: senza neppure togliersi le scarpe col tacco si diresse rapidamente verso il bagno, cercando di tenere l’andatura dritta. Una volta entrata, chiuse la porta. Io feci finta di niente, ma la seguii e mi misi a origliare alla porta del bagno: si sedette direttamente sul water, fece una lunga pisciata, e poi si iniziarono a sentire delle scoregge e, insieme ad esse, un po’ di liquido che le fuoriusciva dal culo. Si alzò dal water – io intanto mi diressi verso la camera da letto – e venne in camera da letto per spogliarsi. Come avevo previsto, essendo un po’ sbronza, per spogliarsi si dovette sedere sul letto. Io intanto le parlavo e mi “divertivo” a sentire la sua voce da sbronza che cerca di dissimulare la sua ubriachezza. Si tolse le scarpe. Si sfilò non senza fatica una gonna aderente che le fasciava il culo e le arrivava al ginocchio, si tolse il maglione e la camicetta. Io intanto le parlavo per distrarla. Ma notavo tutto quello che faceva e come era vestita: alla fine era rimasta solo con un paio di collant, aperti nel cavallo e… come volevasi dimostrare: senza slip… Continuai a dissimulare: le misi le mani sui seni e le stuzzicai i capezzoli: “ho voglia di fare l’amore con te” le dissi, e la guardai dritta negli occhi. Lei reagì col suo solito sguardo lascivo e la sua solita smorfia perversa: si era eccitata, nonostante tutto. “sono in giro da stamattina, non ho neppure fatto la doccia” trascinò le parole con la bocca impastata. “Non fa niente. Mi piace il tuo odore”. La feci stendere sul letto e la baciai. Aveva un alito terribile: sicuramente un forte sentore di alcool, e forse anche un po’ di cazzo. Nel baciarla le annusai i capelli: puzzavano terribilmente di fumo. Giorgio fumava molto, questo lo sapevo, ma per avere un odore così bisognava che fosse stata in un ambiente chiuso, forse dentro un’auto con uno o più fumatori, o magari più probabilmente in un appartamento. La baciai sul collo: anche qui un puzzo terribile di fumo e di altro schifo: un fumatore incallito le aveva senz’altro baciato e leccato il collo. Scesi più giù e le osservai la figa: era aperta, aveva preso di recente un cazzo. Mi armai di tutto il fegato che avevo e iniziai a leccargliela: sentii un sapore insolito, non completamente il suo: la troia aveva scopato. Sicuramente aveva preso il cazzo in figa. Dopo avergliela leccata, le ficcai il cazzo in culo, alla missionaria, dopo un paio di minuti estrassi il cazzo e lo ritrovai sporco di sborra che non era mia: la gran puttana, appena rientrata, era corsa in bagno, aveva cagato gran parte della sborra, ma non tutta, e soprattutto, portando la gonna aderente al ginocchio, non era riuscita a fare il bidet. Non avevo bisogno di altre prove. Avevo lo stomaco in pezzi, ma nonostante ciò, in tre o quattro minuti riuscii lo stesso a sborrarle in culo, proprio dove un’ora o due prima aveva sborrato qualcun’altro. La troia andò di nuovo in bagno a ricagare dell’altra sborra, si tolse i collant aperti nel cavallo, si mise un pigiamone antistupro che la faceva sembrare innocente e, distesasi sul letto, sbronza com’era, si addormentò all’istante. A quel punto mi alzai, e andai a frugare nella sua borsetta, dove trovai non solo un perizoma (quello che si era tolto per farsi scopare, credo, dal suo capo sessantacinquenne), ma anche un paio di collant a rete, aperti nel cavallo.


 


 


Tenni il mio dolore per me, e non ne parlai con lei, anche perché, ne ero sicuro, avrebbe negato. La settimana seguente il copione fu lo stesso: io mi alzavo alle 7 del mattino, andavo presto al lavoro, pranzavo coi colleghi in una mensa o in un bar, tornavo al lavoro, facevo almeno un paio d’ore di straordinario (che non mi venivano riconosciute), verso le 19:30 arrivavo a casa (mia) e la mia ragazza non c’era, perché era in giro a sbevazzare e a farsi scopare da altri, e tornava praticamente quando stavo già dormendo. Fu così tutte le sere fino al venerdì, quando mi aspettavo, almeno quella sera in cui potevo fare tardi perché il giorno dopo non lavoravo, che sarebbe tornata a un orario decente. Ma così non fu. Esausto, verso le 22:30 le telefonai, per chiederle quando avrebbe avuto intenzione di tornare. Lei (non so esattamente se fu uno sbaglio o se lo fece apposta) invece di buttare giù, rispose alla chiamata, inserendo poi il telefono nella borsetta, o nella tasca del giubbotto. Io sentivo la voce di Giorgio che le diceva: “secondo me, è meglio se lo molli”, e lei rispondeva: “ma ci sono affezionata”, e lui replicava: “beh, se ti piace la merda…” Poi lui continuava: “T. che stai facendo adesso? Mangi? Cosa stai mangiando? Un cioccolatino?” Ho avuto l’impressione che fossero in macchina. Dopo quelle parole si iniziarono a sentire dei fruscii e dei rumori non ben identificati, come se il telefono fosse coperto da qualcosa, o fosse insieme ad altri oggetti che venivano mossi. Rimasi in ascolto per una mezz’oretta, poi mi stancai e riagganciai. Di parole non ne pronunciarono più. Dopo circa una mezz’ora da quando avevo riagganciato, T. si presentò a casa (intorno alle 23:30). Io, sofferente, arrabbiatissimo, ma soprattutto destabilizzato, le chiesi dove fosse stata, e lei mi rispose che era stata coi colleghi a fare un’apericena in un bar. Le chiesi perché non mi avesse risposto, e lei mi disse che aveva dimenticato il cellulare in macchina. Anche quella sera era un po’ bevuta e biascicava. Non mi trattenni più, le dissi che li avevo ascoltati attraverso il telefono, che non volevo si parlasse delle nostre cose intime con chicchessia. Che non sopportavo più quell’andazzo, ecc. ecc. ecc. Lei a un certo punto sbottò e mi urlò che Giorgio, lui si che sapeva come trattare le donne, non io. Mi colpì nel segno. Mi disse che il sesso anale con me non le era mai piaciuto, e che solo ora stava imparando ad apprezzarlo (non ci capivo più niente, non le era mai piaciuto??? E solo ora stava imparando ad apprezzarlo…??? Ma con chi lo apprezzava? Col sessantacinquenne Giorgio??) Come spesso mi accadeva con lei, ma mai come quella volta, mi trovai completamente spiazzato e destabilizzato. Stava cercando di instillarmi dei sensi di colpa? Se sì, in parte ci stava riuscendo. Totalmente confuso, e non completamente certo delle mie facoltà mentali, me ne andai in un’altra stanza, a raccogliere i cocci di me stesso. Dopo una mezz’oretta tornai nella camera da letto dove stava T. seduta sul letto, intenzionato a concludere la relazione senza colpì bassi o melodrammi. Le dissi; “Senti T., se non andiamo più d’accordo è meglio che la finiamo qui, e che ognuno vada per la propria strada”. T. aveva uno sguardo contrito, dispiaciuto. Io pure. Mi sedetti di fianco a lei. Ero molto dispiaciuto, anche perché avevo condiviso avventure inenarrabili con lei, sia lavorative che non, e avevo un enorme peso sullo stomaco. Lei mi guardò dritto negli occhi.  Mi sfilò la maglietta e cominciò a massaggiarmi i capezzoli, si tolse il perizoma e mi fece togliere le mutande. Allargò le gambe. Mi afferrò per le natiche e le tirò verso di lei. Quando il mio pene turgido le toccò l zona fra l’ano e la figa, lo prese con una mano e se lo ficcò nel culo (ancora una volta). Io ero svuotato, confuso, ferito – ma con lei il mio pene era sempre turgido – e non avevo molta energia nel montarla. Così, tenendomi per le natiche, portò le sue gambe all’indietro fino ad appoggiarle alle mie spalle, e iniziò a darmi degli strattoni con tutta la forza che aveva nelle braccia, per farsi inculare il più forte possibile e farmi venire là dove quella sera era già venuto qualcun altro. Nonostante puzzasse di fumo e di sesso consumato con altri uomini, per l’ennesima volta le venni nel culo.


 


 


Il sabato e la domenica li passammo tranquillamente in casa, leggendo e guardando dei film. Di fare l’amore con lei non mi sentivo. Ma in cuor mio, ancora speravo. Il lunedì però, la goccia fece traboccare il vaso. Tornato dal lavoro, non la trovai. Essendoci ormai abituato, cenai, lessi un po’, e me ne andai a letto. Verso le tre di notte mi svegliai per andare in bagno e mi accorsi che non era ancora tornata. Allora la chiamai più volte, ma lei non mi rispose. Alle sette del mattino mi svegliai per andare al lavoro, la chiamai di nuovo: nessuna risposta. Mi telefonò lei quando ero in pausa pranzo, verso le 13:00, cercando di spiegarmi come mai aveva passato la notte fuori. Io però non avevo voglia di rodermi il fegato, e rimandai la discussione alla sera. Arrivato per le 19:30 la trovai in casa. La salutai, e le dissi chiaramente: “secondo me, è meglio se torni a Roma”. Lei trasalì, e cercò di spiegarmi che Giorgio la stava manipolando e le faceva fare delle cose… e voleva da lei delle cose… “dove sei stata tutta notte?” La interruppi. Sono stata con Giorgio, mi ha portato prima all’American Bar, poi in altri locali aperti tutta la notte e mi impediva di tornare a casa”. “Ma se sei uscita con la tua macchina”. La interruppi “Si però lui è venuto in macchina con me e mi ha impedito di tornare a casa”. “Senti, T.” la interruppi di nuovo, “secondo me è meglio se torni un po’ dai tuoi. Bisogna che ci prendiamo una pausa”. Mi dispiaceva buttarla fuori di casa, ma ne andava della mia integrità mentale. Inoltre il mio rendimento lavorativo, a causa di tutti questi accadimenti, era precipitato, e volevo mantenere almeno il posto di lavoro. “Va bene” alla fine mi disse, “Domani vado”. La mattina di quel mercoledì, uno degli ultimi giorni di febbraio del 2009, T. caricò la macchina con le sue cose (devo dire che prese con sé gran parte dei completini di lingerie, delle scarpe – alcune che avevo acquistato in una trasferta lavorativa a Parigi – dei falli e degli strumenti di piacere che le avevo comprato – insomma non si fece mancar niente) e, in pausa pranzo, mi raggiunse in un bar vicino al mio posto di lavoro. Salii in macchina con lei, e la vidi in tutto il suo charme e il suo sex appeal. Era sensuale e raffinata. Ben truccata (con l’ombretto fucsia dello stesso colore del maglione). Ben vestita. E credo che si aspettasse, o sperasse, in un’altra possibilità. O quantomeno di farsi qualche settimana a Roma e poi tornare da me. Ma la nostra storia aveva superato il mio limite di sopportazione: le chiesi di restituirmi la chiave dell’appartamento. Lei spalancò gli occhi e trasalì, sono sicuro che non se lo aspettasse.


 


 


Il dolore non finì con la sua partenza, anzi, crebbe di giorno in giorno. Man mano che il tempo passava, mi venivano in mente tutte le volte che avevo sospettato di lei, di un suo tradimento. Trovavo molti dei suoi comportamenti criptici e inspiegabili. Mi chiedevo chi fosse quella donna in realtà. Quante volte e con quanti uomini mi avesse tradito. Mi venivano in mente anche tutti i suoi atteggiamenti di grande dolcezza nei miei confronti, e non riuscivo a trovare un punto di incontro fra le due immagini che avevo di lei, così lontane fra loro.


 


 


Col passare dei giorni però, alla malinconia dei momenti, del tempo, e delle incredibili avventure trascorsi insieme… A quel senso di insicurezza, di mancanza di fiducia e tradimento continuo… si sostituì una esorbitante, mostruosa, incontrollata voglia (anzi necessità) di fare sesso con lei: mi svegliavo al mattino col cazzo duro, dopo averla sognata… Proseguivo la giornata col cazzo sempre duro, letteralmente rivivendo a occhi aperti quei numerosissimi (e fuori dalle righe) momenti di piacere estremo con lei… e mi addormentavo, masturbandomi, immaginando altre situazioni e fantasie che avrei voluto realizzare con lei… Fina dal giorno della sua partenza continuammo a chiamarci: nelle chiamata eravamo entrambi contriti e dispiaciuti. Ci mancavamo l’un l’altra. Ad una settimana dalla sua partenza, le proposi di incontrarci da qualche parte per trascorrere un weekend insieme: “sai che quando sento la tua voce non so resistere”, accettò lei. Fu così che prendemmo un volo per Palermo (io dalla mia città, lei da Roma) incontrammo là. Fu un weekend come ai vecchi tempi: ristoranti, buon vino, tanto esibizionismo in giro e tanto sesso in albergo. Per citare una scena: facemmo una camminata in centro (lei indossava un vestitino viola con la gonna corta) e io, allungando la mano, la masturbai per tutta la città, mentre camminavamo. Nessuno parve accorgersene. Ricordo una scena, dove eravamo fermi a un semaforo pedonale, e intorno a noi pieno di gente: lei quasi ebbe un orgasmo in quel momento. In alcuni momenti, davanti a monumenti e attrazioni della città, si tirava su la gonna per qualche istante, e io pronto a scattare una foto…


 


 


Finito il weekend tutto tornò come prima. Io nella mia città e lei nella sua. Scoprii di aver sviluppato una vera e proprio dipendenza nei suoi confronti: ero dipendente dal sesso con lei. Ogni mia fantasia, ogni mia masturbazione, ogni mio sogno, ogni mia erezione, ogni mio orgasmo… erano focalizzati su di lei e su di lei soltanto. Al lavoro conobbi una stagista, la invitai a cena e la portai a letto: fu una completa delusione, quasi non mi tirava. Lo stesso accadde quando sedussi la donna delle pulizie del mio ufficio: ci feci sesso una sera, e ne ebbi abbastanza. C’era qualcosa in lei che mi dava un’eccitazione pazzesca: non ho mai capito cosa fosse. Forse il suo odore, o il suo sguardo, o la usa sensualità… o forse, più semplicemente, mi aveva dato tanto piacere sessuale, che quel piacere ormai aveva tracciato dei solchi nel mio cervello e installato delle abitudini così radicate in me che non potevo più farne a meno…


 


 


Continuammo a sentirci al telefono, un po’ più di rado. Una volta dovetti fare una trasferta lavorativa in Lettonia: d’accordo con lei acquistai il volo di ritorno su Roma. Quella volta passammo un weekend al lago di Bracciano: la vidi un po’ dimagrita e sensualissima. Ristoranti, buon vino, e poi tanto sesso in uno chalet in riva al lago. Il sabato sera dopo cena, rientrati in camera, lei si inginocchiò nuda su una poltrona, poi inarcò il culo (allenato da molto spinning) all’infuori, e mi chiese di incularla. Io la penetrai in profondità, e intanto la baciavo. “mi devi promettere una cosa” le dissi mentre la inculavo. “dimmi” mi, disse mentre ansimava “mi devi promettere che anche se non staremo più insieme, il culo me lo darai sempre, sempre!”, lei girò gli occhi all’insù dal piacere, mi baciò e disse “ma certo mio amore, ma certo, te lo darò sempre, sempre!”. La domenica mattina si fece inculare di nuovo. Questa volta mi ci mettemmo sul letto uno a fianco all’altro. Io stavo fermo, mentre lei, muovendo il culo avanti e indietro col mio uccello dentro, stringeva e rilasciava lo sfintere ritmicamente, come mi stesse facendo un pompino: quando si infilava il cazzo fino alle palle, stringeva, quando se lo sfilava un po’, rilasciava… Ebbi ancora una volta un orgasmo pazzesco. A mezzogiorno andammo a pranzare in un ristorante li vicino. Lei indossava quel maglione fucsia a collo altro che a me piaceva tanto, e aveva l’ombretto fucsia, dello stesso colore del maglione. Le dissi: “ora dobbiamo decidere che fare delle decine di ore di filmini porno che abbiamo girato. Io ti propongo questo: anche se non stiamo più insieme, possiamo comunque girare filmini di tanto in tanto. Quelli che abbiamo fatto nei due anni passati, li ho montati quasi tutti nelle ultime settimane. Possiamo pubblicarli e farli scaricare a pagamento”. Lei si fece seria, poi si intristì: “non lo so. Non lo so se è questo che voglio”. E le scese una lacrima. “Ma come? Mi ha sempre detto che li volevi pubblicare” Lei continuava a piangere “vabbè, pensaci nelle settimane a venire. Non fa niente”. Un pensiero mi sormontò: “per fortuna che non li ho mai pubblicati prima! Il mio sesto senso aveva ragione: questa è labile”. Ci salutammo, e tornammo ognuno nella propria città.


 


 


Ebbi ancora un’ultima occasione per vederla: di ritorno da una trasferta in Ungheria, prenotai il volo di ritorno su Roma, ma a ventiquattr’ore dal mio rientro, per telefono, lei mi disse che non era sicura di volermi vedere. Io le dissi che sarebbe stato meglio se me lo avesse comunicato prima, prima di prenotare il volo di ritorno. Lei rispose con un pianto telefonico. Al che presi l’aereo sconsolato e atterrai a Fiumicino. Arrivato in aeroporto, mi girai una volta a destra e una a sinistra, e non vedendo nessuno ad attendermi, presi immediatamente il treno shuttle per la stazione Termini, e da lì, con il “freccia rossa” me ne tornai nella mia città. La sera stessa lei mi telefonò, dicendosi molto dispiaciuta di non avermi incontrato, assicurandomi che mi aveva aspettato più di un’ora. Se fosse vero o meno, non l’ho mai saputo. Vero è però, che io cercai di farmene una ragione, e da allora, per più di quattordici anni, no la ho mai più rivista… ma dimenticarla… quello no. Nonostante molto tempo sia passato, e tante altre donne abbia avuto… ad oggi… combatto ancora con l’astinenza.