Quando Sophie entrò nel mio studio, Lara, la mia segretaria, la fece accomodare sulle poltroncine della sala d’aspetto. Portava con sé un grosso bustone colmo del materiale che avevo richiesto, e lo poggiò accanto al tavolino di marmo che aveva davanti. Si sedette silenziosa, col cellulare tra le mani e il baschetto alla francese di velluto inclinato sulla testa. L’aria quel giorno era più primaverile e così quel mattino aveva deciso d’indossare qualcosa di comodo e leggero, con una gonna al ginocchio e delle calze scure a fasciarle le cosce, con sopra un maglioncino di filo, non molto scollato, corto sull’addome, lasciando intravedere il piercing che portava all’ombelico.
Un paio di minuti dopo, Lara la chiamò e quella si avvicinò, malcelando l’ansia che provava in corpo.
- Buongiorno.
- Salve, signorina Rose. Il Dottor Scotto l’aspetta oltre la seconda porta a sinistra, nel corridoio. Ha tutto il materiale?
- Sì. Ho tutto qui. - disse, sollevando la busta.
- Bene. Le porto qualcosa? Un po’ di Masala Chai, o un Tè Matcha? Il Dottor Scotto ha detto che segue una dieta chetogenica e che potrebbe preferire una bevanda drenante senza zucchero.
Sophie inarcò le sopracciglia e sorrise.
- Ehm… no. No, no, va bene così… Quindi la seconda…
- La seconda porta. Sulla sinistra. C’è la targhetta.
- Grazie. - aveva risposto quella, portandosi poi davanti alla porta con su affisso il mio nome.
Bussò, poi aprì la porta.
- Permesso… - aveva detto, mentre il cuore l’esplodeva in petto. La luce del primo pomeriggio filtrava attraverso le tapparelle, donando al suo volto candido un colorito dorato.
Tuttavia, indossò una maschera di confusione, subito dopo, quando si rese conto che io non fossi lì. E non passò neppure un paio di secondi, prima che sentisse il cellulare che aveva tra le mani vibrare.
Vide il mio nome e spalancò gli occhi.
- Dario... – aveva risposto, titubante.
- Chiudi la porta. Stiamo per cominciare.
Quella si voltò, cercando invano di attirare lo sguardo di Lara, stendendo convinta il silenzio per qualche altro secondo.
- Dove sei?
- Devi raggiungermi in un altro posto.
- Oh. Avevo capito che avremmo fatto tutto qui, nel tuo studio.
- Stai tranquilla. Chiudi la porta.
Convinta da quella timida rassicurazione, Sophie obbedì, rimanendo in ascolto. La porta scattò debolmente dietro la sua spinta, lasciando la giovane donna davanti alla mia scrivania, con in mano ancora il suo bustone.
- Fatto...
- Non avere paura. Hai portato tutto ciò che ti ho chiesto?
- Sì. – rispose, guardando i lunghi pantaloni morbidi di ricambio che aveva scelto.
- Benissimo. Per il momento devi prepararti alla fase uno, che è quella che amo chiamare della compromissione. Io e te stiamo stabilendo un legame di fiducia e sto per chiederti di fare qualcosa di particolare.
- Cioè?
- Posa il materiale accanto alla porta e avvicinati alla mia scrivania. C’è uno scrigno.
Sophie poggiò delicatamente il bustone accanto al vaso della mia buganvillea e avanzò lenta verso il tavolo, con ancora il cellulare all’orecchio.
- Lo vedi?
- Sì. – annuì quella, come se avessi potuto vederla.
- Aprilo.
E quando lo fece, si trovò davanti tre plug anali di silicone nero, dalla base piatta, di tre dimensioni diverse.
- Sai cosa sono, questi oggetti?
- Li ho visti in un film una volta... ma...
- Non essere spaventata dal sesso anale, tesoro, e ascoltami. Li hai mai usati?
- No...
Guardava impaurita i tre oggetti davanti a lei, memore del fatto che, quando volle accontentare il suo ex fidanzato, l’unica volta in cui gli avesse concesse di farselo mettere al culo, provò un dolore immenso.
- Ti assicuro che non ti farà male.
- L'ultima volta è stata un po' traumatica...
- C’è un modo giusto e uno errato di fare questa cosa, non è una novità che le persone sbaglino, sperimentando. Adesso ti spiegherò il trucco per evitare il dolore e limitare il fastidio iniziale, che è naturale, considerato che le pareti dell’ano sono adatte all'espulsione, al contrario della vagina che si adatta anatomicamente.
Sophie sbuffò.
- Va bene...
- Utilizzeremo un lubrificante a base d’acqua. È proprio sulla scrivania. Dopodiché scegli il tuo plug…
Io, che ero seduto ai tavolini di un bar sul Naviglio Grande, la vedevo attraverso il mio cellulare, collegato alle telecamere del mio ufficio, mentre raggiungeva il tavolo. Sul suo volto corrucciato c’erano timore e imbarazzo.
- Sei sola, quindi non preoccuparti di nulla. Nessuno potrà vedere o sapere nulla, di ciò che stiamo facendo.
- Sono enormi…
- Ci serviranno ad amplificare le sensazioni. Il tuo corpo ha paura di ricevere piacere, e noi dobbiamo risvegliarlo. I plug sono un ottimo metodo, perché andranno a toccare una grande quantità di terminazioni nervose, di cui il tuo ano è ricco. Ho selezionato tre dimensioni piuttosto standard, col primo, che è il più piccolino, adatto per donne da un’anatomia più stretta e per quelle che comunque sono all’inizio. E così via. Certo, il più grande non è esagerato, puoi vederlo tu stessa ma…
- Credo che proverò il più piccolo.
E sorrisi, guardandola titubare. Afferrò quel plug tra le dita smaltate e si guardò attorno.
- E ora?
- Sei sola e nessuno entrerà. Abbassa i pantaloni e…
- Ho una gonna.
 
E lo sapevo. Ma non volevo che lei lo sapesse.
 
- Meglio. Abbassa le mutandine e applica una generosa quantità di lubrificante sull’ingresso anale.
Rimase a soppesare le mie parole e a fare il paio con gli oggetti che aveva davanti, prima di guardare verso la porta.
- Prenditi tutto il tempo che vuoi… - aggiunsi. Si avvicinò alla porta, e chiuse a chiave, per poi tornare al centro della stanza.
- Lo faccio ora?
- Certo.
- Ma tu dove sei?
Il suo volto ingenuo analizzava tutto intorno a lei, inconsapevole d’aver fissato l’occhio della mia telecamera di sicurezza più di una volta, nascosta tra le foglie della corona d’alloro appesa sopra l’attestato della mia abilitazione personale.
- Io ti sto aspettando in separata sede.
- Ecco, anche questa cosa, non ho capito perché non sei qui…
- Sophie… So bene cos’hai passato, ma ti assicuro che nessuno verrà mai a sapere del nostro piano terapeutico, né mi permetterei mai di andare a dire in giro cose sul tuo conto. Del resto abbiamo firmato un patto di riservatezza medico/paziente.
La vidi sospirare, poi portare le due ciocche che le nascondevano lo sguardo dietro le orecchie. Prese coraggio e sospirò, riempiendo i polmoni e poi svuotandoli.
- Ora lo faccio.
 
Fissavo il mio cellulare in maniera del tutto disinteressata, perché ero al centro di Milano e non volevo che qualcuno s'incuriosisse eccessivamente. Avrebbe visto Sophie Rose, la cosa avrebbe creato sensazionalismo, io avrei passato i successivi dieci anni in tribunale. Tuttavia non riuscivo a nascondere a me stesso una certa curiosità quando, pochi secondi dopo, la gonna e quelle piccole mutandine nere scivolarono giù, lungo i polpacci.
Guardavo quelle cosce toniche stringere e proteggerle la fica. Una striscia di peluria, rada ma ispida, cresceva sul suo monte di Venere come spighe scure di un campo di grano.
Fermò il cellulare tra la spalla e l’orecchio, prendendo poi il gel tra le mani.
- Quanto lubrificante devo usare?
- Una generosa quantità. L’ano non si autolubrifica, quindi dobbiamo dargli una mano.
- Ma farà male?
- No… - ridacchiai. - È a base d’acqua e servirà a far scivolare il plug all’interno in maniera più semplice.
- D’accordo...
E la vidi, col volto corrucciato, mentre lasciava cadere dal flacone una buona dose di gel sulle dita smaltate.
- Credo così vada bene.
- Ora applicala tra le natiche.
Guardò le dita e annuì, chinandosi sullo schienale della chaise-longue che avevo da poco fatto installare. Si piegò, mostrandomi le labbra  di quella fica stretta e il buco del culo, più scuro rispetto alla sua pelle candida.
Pensai che fosse meravigliosa.
La vidi allargare la natica sinistra e cominciare a massaggiarsi l’ano con le dita lubrificate. Anche la sua vagina si aprì, mostrandomi l’interno rosato delle sue parti proibite.
 
E oggi mentirei a me stesso, se non ammettessi che il cazzo nelle mutande mi si era indurito.
 
- Fatto. - disse poi, recuperando il cellulare e controllando che nulla colasse nell'interno coscia.
- Perfetto. Ora scegli il tuo plug, lubrificalo e infilalo nell’ano. Non fare le cose di corsa. Viviti quest’attimo come un’occasione di scoperta del tuo corpo e delle sensazioni che prova se stimolato.
- Ora. Va bene… - sospirò, portando una mano al fianco e poggiando il cellulare sulla scrivania. Fece esattamente come le avevo detto, quindi prese tra le dita l’oggetto che avevo selezionato per lei.
Vidi il lubrificante che scendere sul plug come fosse miele.
Prese a distribuire il gel in maniera minuziosa, e nella mia mente volli immaginare che al posto di quell'oggetto ci fosse il mio cazzo, a stare tra le sue mani delicate. Vedevo le dita muoversi tutto intorno alla mia cappella, percepivo il suo tocco delicato e il cazzo pulsarmi nei pantaloni.


Poi sbuffai: dovevo darmi un tono. Sophie era una cliente.


Ma vi giuro, paghereste tutti oro per vederla in quel momento, piegata in avanti, a dare a me e soltanto a me in regalo lo spettacolo del suo volto che si contriva, dei denti che si stringevano e dell’espressione di sollievo che aveva provato, una volta che il plug era finalmente entrato nel suo ano.
Fissavo ancora la striscia di peli pubici che le spuntava tra le cosce, e la vidi avvicinarsi al tavolo.
- Ora?
- Ora ricomponiti. Puoi usare gli asciugamani che sono sulla scrivania e lasciarli lì, mi occuperò personalmente di riporli al mio ritorno.
- Bene…
- Che cosa provi?
- Beh… - fece, allargando più e più volte le natiche, leggermente infastidita dal corpo estraneo. – Non è comodo, se è questo ciò che mi stai chiedendo…
- Ti sorprenderà renderti conto di quanto rapidamente il tuo corpo si abituerà al plug e di come reagirà, a ogni sua piccola sollecitazione… Ma sarai tu stessa a dirmelo. Ti aspetto al Nivel, sul Naviglio Grande.
- Cosa? – chiese poi quella, mentre sollevava le mutandine.
- Raggiungimi. Ovviamente a piedi, sei a cinque minuti di passeggio. Dopodiché discuteremo un po’ di ciò che andremo a fare. Ricomponiti, prendi lo scatolo coi plug e vieni qui. Ti aspetto.
Attaccai subito dopo, ma potei vedere il suo volto smarrito e serioso fissare il cofanetto che aveva davanti. Fissavo quelle labbra dolci e pronunciate e quel naso ben definito.
E quegli occhi, signori, quel paio d’occhi, color nocciola, perfettamente truccati, preoccupati ma al contempo eccitati da quella sfida.
Rialzò la gonna, prese lo scatolo e si lasciò il mio studio alle spalle, sbattendo la porta.
 
Mi raggiunse venti minuti dopo, camminando a piedi, lentamente, mentre il sole cominciava a tuffarsi oltre i profili delle case, donandoci un tramonto roseo e mite.
La vidi fermarsi davanti all’ingresso del locale, leggendo il nome sull’insegna e controllando poi sul cellulare di essere nel posto giusto.
E allora mi alzai in piedi, per farmi notare oltre le vetrate trasparenti che dividevano l’interno dal passeggio affollato. E mi raggiunse, qualche secondo dopo, sorridendo paonazza in volto e stringendomi la mano.
- Allora… - le dissi, sorridendo, nascondendo lo sguardo dietro a un paio di doppie Ray-Ban, regalo di mia sorella Erica per i miei trent’anni. – Innanzitutto, cosa bevi?
Portò gli occhi verso la borsetta che indossava e poggiò la scatola sul tavolo, ben chiusa, accanto al cellulare.
- Qualcosa di fresco. Un centrifugato o qualcosa del genere… ho caldo.
Ne ordinai due, poi mi accomodai, vedendola sussultare quando il plug andò a spostarsi, toccando le terminazioni nervose del suo ano.
Sorrisi, e lei mi vide, avvampando immediatamente.
- Oh cielo… te ne sei accorto...
- Soltanto perché lo so. Come ti senti?
- Beh… - rispose, portando gli occhi al cielo e inarcando le folte sopracciglia. – Strana.
- Descrivimi le tue sensazioni.
- Okay… - sospirò, annuendo. – Allora… inizialmente è stato difficile abituarsi… scendere le scale nel palazzo dello studio, poi… tremendo.
E poi sorrise, mostrando le fossette che naturali le si formavano accanto alla bocca.
- Spero poi la situazione sia migliorata. – le risposi subito, vedendola annuire.
- Sì. Insomma, camminando, muovendo il… il sedere, le cosce…. sentivo il… il plug… - disse poi, più a bassa voce. - … insomma, sì, lo sentivo nel…
- Ok, prosegui. – le dissi, come a gettarle una scialuppa di salvataggio, visto che aveva dimostrato di essere in imbarazzo a usare termini del genere in pubblico.
- Grazie… - sorrise ancora. – Dicevo, ogni movimento toccava… qualcosa, e ogni volta che succedeva sentivo delle… non so.
- Fitte?
- Sì.
- Dolore?
Mi guardò negli occhi, arrossendo nuovamente.
- No… non è dolore. È… piacevole. E a un certo punto non ti ricordi più di averlo e… senti solo quelle sensazioni.
- Quello è il tuo corpo che ti parla, Sophie. – dissi.
Arrivarono i nostri centrifugati e la vidi attaccare per prima il bicchiere.
- Io non credevo che fosse così…
- Su determinate situazioni vigono ancora dei tabù. Credo che siamo arrivati a un punto da poter accettare cose del genere… normalizzare il piacere…
- Non urlare. – mi ammonì, guardandosi attorno.
- … anale… - sussurrai poi, facendo altrettanto.
Bevve un altro sorso, portando la cannuccia alle labbra e giochicchiandoci.
 
Era incredibilmente, inconsapevolmente erotica.
 
- E ora? – disse poi, distogliendomi dai miei pensieri.
E allora poggiai la scarpa sul piede della sua sedia, catturando il suo sguardo, per poter vedere l’effetto che le faceva quella piccola sollecitazione. E la vidi inarcare leggermente le sopracciglia, non cosciente del fatto che stessi per cominciare a muovere in maniera impercettibile la gamba, ritmicamente.
Il plug anale avrebbe fatto il resto.
- Quello che stiamo cercando di fare è creare una consapevolezza del tuo corpo. Che rapporto avevi, con la masturbazione, prima di diventare anorgasmica?
Mossi leggermente il piede, vedendola sussultare.
- Io… diciamo che è sempre stata una cosa sporadica, per me… insomma, tanti impegni e cose da gestire e sempre molta stanchezza, delle volte dimenticavo di…
E battei nuovamente la scarpa sul piede della sua sedia. Sussultò di nuovo, fissandomi negli occhi.
- Scusami… dicevo… lasciavo indietro questa sensazione… ho sempre visto la masturbazione come un… un modo per sostituire il sesso. E non mi piaceva.
Ancora, la mia Paciotti la fece sussultare.
- Tutto bene? – chiesi.
- Sì… mi rispose, abbassando lo sguardo. – Sta cominciando a diventare un po’ più… intenso…
- Di che parli?
- Dell’amico di gomma che ho con me.
Inarcai le sopracciglia.
- Provi eccitamento?
- No…. Non direi… ma… sento quel… insomma, lo sento…
- Questo è ciò che volevo che tu capissi… il tuo corpo vive, a prescindere dalla tua mente, dalle tue paure, dai tuoi sentimenti. E te ne accorgi, ogni volta che tocco la tua sedia.
E ammetto di aver calcato un po’ la mano, dopo aver dato l’ennesimo calcio alla sua seduta, ma devo essere onesto: vederle schiudere lentamente le labbra e socchiudere gli occhi, in quel modo stupendo che hanno le donne mentre godono, perdendo la luce della ragione e lasciandoli vacui, riempiendo i polmoni, fermando poi il respiro, beh, fu inestimabile.
- Cazzo… - sussurrò.
Sorrisi.
- I plug sono tuoi, te li regalo. Puoi usarli come meglio credi. Ma la prossima volta che ci vedremo cominceremo con un processo di studio delle tue zone erogene, e gradirei che mi raggiungessi con indosso uno di questi giocattoli. Intesi?
La vidi annuire lentamente.
- Come va? – chiesi ancora.
- Bene… ma è strano.
- Ricordati, non abuserò di te in nessun modo. Stiamo scoprendo assieme ciò che al tuo corpo piace, fino a liberarlo dalle catene che la tua mente gli ha imposto.
La vidi annuire ancora, debolmente, fino a quando non riavvicinò il centrifugato alle labbra. Venne per me il momento di pagare e andare via.

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