- Certo. A tra poco, allora. Aspetto lei per ordinare qualcosa, non tardi.
Conclusi la chiamata, premendo il tasto sulla plancia di comando della mia Classe A. Tornai poi a guardare sulla strada, carezzando lo sterzo di quell’auto che adoravo.
L’ho comprata l’anno scorso, nuova, mille e nove, benzina, full optional. Carrozzeria nera e opaca, come la desideravo.
Ho dovuto pagare un supplemento per uscire dal concessionario con ciò che avevo chiesto, ma tant’era, quell’auto era la mia unica e io sono l’unico a cui poter concedere un vezzo, di tanto in tanto, giacché non sono sposato, né fidanzato, né lontanamente inquadrato in una relazione di coppia.
Al secondo paio di corna ho capito che avrei dovuto concentrare le mie energie e le mie risorse nel fare felice l’unica persona che non mi avrebbe mai tradito.
 
Cioè io.
 
E quindi a fine mese godo dei frutti del mio lavoro, e di una cospicua rendita mensile datami da alcuni appartamenti che i miei genitori, trapassando, hanno deciso di lasciarmi.
- Tre a te e tre a tua sorella. – aveva detto mio padre, mentre faceva testamento, stringendo quella Parker tra le dita ossute.
Alla fine sì, lavoro, ma non ne avrei bisogno, giacché con tre appartamenti nel centro di Milano potrei tranquillamente concedermi il lusso di oziare per tutta la vita.
Invece no.
Invece sono un sessuologo.
Cioè, una sorta.
Sono una sorta di sessuologo.
 
Diciamo che sono un sessuologo operativo.
 
Che significa?
 In maniera rapida che mi scopo i pazienti.
 Certo, guai a pensare che mi prenda gioco di loro... Non ho mai provato piacere nel vero senso della parola a infilare dita e cazzo in donne e uomini pieni di traumi psicologici, che somatizzano in quella che noi professionisti chiamiamo anorgasmia, ma che i comuni mortali vedono come una lunga serie di vergogna e frustrazione.
 
- Litigo con mia moglie ogni giorno. Dice che ho un’altra, che non mi piace più, perché finisco per farlo per ore e non riesco a venire...
 
Oppure.
 
- Mio marito ieri ha detto che sono frigida. Lui... lui s’impegna, tanto. Pene, lingua, dita, ovunque. Baci, carezze... Dottore, non c’è verso. Io non ho più orgasmi.
 
Parcheggiai l’auto nel garage dell’Hotel Continental, diedi una generosa mancia all’attempato cinquantenne in giacca e cravatta dallo sguardo gentile dietro il vetro della guardiola, e mi diressi nella hall.
Il concierge mi salutò, che ormai già mi conosceva, visto che tendevo a organizzare i miei incontri di lavoro nel bar del loro hotel. Lo trovavo raffinato ed elegante, e abbastanza silenzioso. Dava di me l’impressione che volevo dare, oltre a garantire al cliente una sorta di preambolo, un preliminare figurato al mero atto medico.
Cercate di capire.
Per me è lavoro, ma loro vengono letteralmente a farsi fottere.
Il minimo che possa fare è offrire loro un caffè, o almeno qualcosa di dolce, giacché la fattura arriverà salata e bella pesante.
Entrai nel bar poco dopo aver stretto meglio il nodo alla Marianella che mi stringeva al collo, levando gli occhiali da sole e guardandomi intorno: tutti colletti bianchi, gente che intratteneva discussioni d’affari e donne dalle lunghe gambe e scollature provocanti in cerca di qualcuno che affittasse i loro corpi tonici a caro prezzo.
Un paio di quei ricchi imprenditori erano addirittura stati miei clienti, qualche anno addietro, e mi fissavano con gli occhi spalancati gli occhi, perché un dito su per il culo li aveva fatti venire come una fontana. Avevano capito che quel singolo evento avrebbe fatto a cazzotti con quell’ideale machista e tossico che andavano mostrando sui social network come se avessero firmato un contratto col mondo.
Uno di loro aveva chiesto il bis.
 
Risposi di no; mica sono una puttana.
 
Quel giorno invece mi era andata di culo, perché non avrei avuto a che fare con un uomo ma con una donna, e non la moglie del ricco proprietario di qualche paio di Ferrari, o di una leonessa in carriera, ma di una ventiseienne che probabilmente fatturava più di tutti loro.
Youtuber, Tik-Toker, modella su Onlyfans.
Sophie Rose, si chiamava, ed era stata benedetta dalla genetica con due grandi seni e un aspetto da bambolina delicata, oltre che con un volto delicato e tondo. Aveva delle labbra perfettamente proporzionate, a cuore, rigonfie e rosee. Gli zigomi, alti e ben definiti, indurivano la linea del volto che finiva morbida sul mento, perfettamente proporzionato.
Quella donna era meravigliosa, e me ne resi conto qualche minuto dopo, quando arrivò stretta nel suo trench marrone, con un paio di grossi occhialoni da sole a coprirle il volto e l’aria più spaesata che una giovane donna avrebbe potuto avere. I capelli, castani, lunghi, lisci, erano stati acconciati da poco, che probabilmente era di ritorno da qualche shooting a cui stava lavorando, visto che anche il suo make-up, solitamente molto leggero, facendo di lei la perfetta ragazza acqua e sapone, era più carico, con toni caldi sulle guance e sulle labbra.
Rossetto rosso.
 
Era incredibile.
 
Alzai il braccio, lei mi vide e mi raggiunse.
- La signorina Rose? – domandai, porgendole la mano.
Quella la strinse e si limitò ad annuire, aprendo il trench e mostrando il fisico perfetto che nascondeva sotto a un vestito aderente e accollato, di filo bianco, che le si poggiava sui fianchi generosi e che stringeva sul petto.
- Salve. – aveva detto, titubante, guardandosi attorno, con la tipica paura di chi temeva di essere riconosciuta; col tempo ho imparato ad accettare questo tipo di paranoia dei miei pazienti. Anche lei, come molti di loro, decise di non levare gli occhiali da sole dal volto. Nascondeva quegli occhi dal taglio vagamente orientale dietro le Fendi che aveva poggiate sul piccolo naso perfetto, e guardava verso il basso, cercando di dissimulare qualsiasi cosa stesse facendo,
Forse credeva che avendo scelto io il luogo dell’incontro le persone mi conoscessero e sapessero quale fosse il mio mestiere; in qualche modo, le dava fastidio che le persone pensassero che avesse un problema.
 
Che strana società, è questa in cui viviamo.
 
- Buon pomeriggio, sei puntualissima. Accomodiamoci. – le dissi. – Cosa posso offrirti?
Poggiò il soprabito sulla sedia che avevamo accanto e si sedette, rimanendo seria in volto.
- Nulla, nulla, grazie. Sto seguendo una dieta chetogenica e l’alimentazione è un casino... – mi rispose, abbozzando un sorriso delicato. La sua voce era dolce e scandiva le parole lentamente.
Mi sedetti a mia volta e la vidi prendere il telefono dalla sua borsetta.
- Imposto soltanto la modalità aereo, altrimenti verremo costantemente interrotti. Questo è il mio orario di reperibilità e...
- Come i dottori... – ridacchiai.
- Non ha idea... – sorrise leggermente e inarcò il sopracciglio destro. – Da quando il mio agente mi ha convinto a buttarmi nella televisione non ho più un minuto libero.
- Ah. – risposi, mostrando piacevole stupore. – Che cosa farai?
Fece spallucce. – Sto facendo vari casting, ma per il momento sono stata scritturata come personaggio secondario in quattro puntate di una serie Netflix in produzione.
- Beh, non sono un tipo che passa tantissimo tempo davanti alla televisione, a essere onesti... però mi rendo conto che per la tua carriera sia un passo fondamentale.
Annuì, poi abbassò nuovamente il viso, malcelando quel forte imbarazzo, e quindi le venni incontro, prendendo le redini di quella conversazione.
- Allora... cominciamo?
Quella fece cenno di sì, portando un ciuffo di capelli dietro l’orecchio destro.
- Sembri nervosa. – osservai, non riuscendo a smettere di fissare quelle labbra perfette. La vidi avvampare rapidamente.
- Non è una... una cosa... sì, insomma, una cosa che si fa tutti i giorni...
- Il motivo per cui mi hai scritto ha molto a che fare con un fattore psicologico ed è importante che tu ti senta a tuo agio, in ognuna delle fasi del mio lavoro. Quindi mi presento: sono il dottor Dario Scotto e sono un sessuologo, e questo è ciò che sai. Ora sono qui in veste di professionista, ma come sai, farò un passo in più rispetto a quello che farebbe un normale dottore. Ecco perché siamo qui e non nel mio studio...
- Credevo che avremmo fatto tutto su di un lettino... – bofonchiò, guardandosi attorno. – Insomma, l’albergo a cinque stelle e… e tutte queste persone...
Gli occhi della donna si ancorarono sui volti delle escort sedute al bancone del bar, proprio alle nostre spalle, ma capii subito ciò che intendesse e allora fui io, a sorridere.
- Oggi io e te non faremo nulla, Sophie... è solo per bere qualcosa. In questo posto fanno un cappuccino delizioso, ecco perché ho voluto incontrarti qui. Nonostante le stanze siano bellissime non le vedremo assieme, né ho mai programmato qualcosa del genere, per risolvere il tuo problema.
Mi guardò, imbarazzata.
- Ah. Mi scusi...
- E dammi del tu. Se pensi al motivo per cui sei qui ci farà solo bene prendere un po’ di confidenza.
E a quelle parole parve sciogliersi un po’, perché annuì di nuovo e levò gli occhiali, mostrandomi delle meravigliose iridi scure. Le lunghe ciglia si baciavano ogni volta che batteva le palpebre.
- Hai ragione. Sono nervosa... ho un po’ di timore.
- Ed è più che giusto.
Un cameriere dai capelli biondi, corti e pettinati ordinatamente, si avvicinò con la sua divisa rossa e un tablet per le ordinazioni. Ci chiese cosa avremmo preso, e riuscii a convincerla a ordinare un tè verde, mentre io, schiavo della caffeina, mi limitai a un ottimo espresso.
Lo vedemmo andare via, mentre i miei occhi rimbalzavano tra le labbra gonfie e i suoi occhi da cerbiatta.
Accarezzai la linea del suo corpo giusto per un attimo, prima di sistemarmi meglio sulla sedia.
- Allora... – ruppi il silenzio, accavallando le gambe. Gli occhi della donna si poggiarono sulle mie Paciotti. – Ho letto più e più volte la mail che mi hai mandato, dove mi spiegavi delle tue difficoltà, e la prima cosa che voglio dirti è: brava. Non molti, quando riconoscono di avere un problema, hanno il coraggio di confrontarsi con un esperto. Determinate cose hanno degli aspetti psicofisici che spesso non vediamo, e l’occhio del professionista e la sua valutazione sono la chiave per la guarigione.
- Beh, lo spero... – sussurrò. – Questa situazione mi mette in profonda difficoltà.
- Come mai?
– Sai, il lavoro che faccio mi porta a contatto con molte persone che non hanno belle intenzioni... loro vedono una bella ragazza che si spoglia su internet e pensano che io sia una pornostar o qualcosa di simile e...
Sospirò. L’aria attorno a lei divenne pesante.
- Non sforzarti.
- No, tranquillo. Devo spiegare. Dicevo... Non do molto spazio all’amore, perché tendo a non fidarmi degli sconosciuti. Il fatto che io sia perennemente esposta dà di me l’idea di una zoccola ma non...
- Non è così... – la interruppi.
Quella annuì.
- No. Sono una ragazza normale... – sorrise, arrossendo nuovamente. - ... a cui piace uscire con gli amici per andare a mangiare sushi e che ama gli anime e i videogame.
- Hai scelto un lavoro particolare, però.
Abbassò lo sguardo verso il proprio seno. – Fanno tutto loro. La gente mi segue per loro. Ha mai visto qualche fotografia?
Feci cenno di no.
- Non sono molto aggiornato nel tuo settore...
- Beh, la gran parte degli uomini con cui ho a che fare lo è.
- Fai nudo?
- No. Cioè, non integrale. Ho posato nuda ma non ho mai pubblicato una fotografia in cui mi si vedevano vagina o capezzoli...
- Prosegui. – annuii.
- Dicevo, per via del mio lavoro tendo a cercare di avere a che fare con persone che conosco già, e che so che reazione hanno, quando sono con me. È molto difficile, però, che io riesca ad avere a che fare con un uomo, sotto l’aspetto relazionale. Sono stata con qualche influencer, ma il loro modo di vivere non mi è mai piaciuto: riflettori, articoli, copertine...
- Nella tua intimità vuoi pace.
- Sì! – esclamò, alzando leggermente la voce e spalancando gli occhi. – Io non ho alcuna voglia di farmi fotografare ogni volta che esco per andare a comprare il latte! Un paio di volte mi è stato detto che “secondo i loro agenti” avrei dovuto essere più supportiva per le loro carriere, e che per quello mi non andavo bene... e sono stata mollata.
- Wow. Mi spiace.
- Avevano bisogno di una fidanzata da copertina platinata. – aveva ribattuto, con sdegno.
- E tu lo saresti, credimi. Hai presenza.
- Ma non è ciò che sono. Non è ciò che voglio.
Alzò poi gli occhi al soffitto, sospirando e schiudendo le labbra.
- E cosa vuoi?
- Voglio un amore vero. Non voglio che il mio lavoro possa condizionare le scelte della persona che ho davanti, come non voglio che il suo lavoro possa condizionare le mie. Voglio un uomo vero, con una vita vera e… e delle buone intenzioni...
- E la tua anorgasmia come si colloca, in questa situazione?
- Sì… beh…
Mi vide battere gli occhi un paio di volte. Qualche secondo dopo il cameriere ci servì quanto avevamo ordinato, e andò via subito dopo, con la mia American Express appoggiata sul vassoio. Entrambe le nostre tazze emettevano un fumo denso e candido, dietro cui lei pareva nascondersi.
La vedevo rapprendere le labbra, mentre il vapore le raggiungeva il volto.
- Non è semplice... – aggiunse, mentre io mi limitai solo ad aggrottare la fronte.
- Non voglio minimamente metterti a disagio. È questo il motivo per cui siamo qui, volevo conoscerti e farmi conoscere.
- Sì, ho capito. Non mi sta mettendo a disagio.
- Stai. Non mi stai. Dammi del tu.
- Scusi.
- Sophie...
E allora sorrise.
- Scusa.
- Non preoccuparti.
- Io... – continuò poi, portando il cucchiaino verso la tazza e cominciando a girare lentamente il tè amaro. – Io conobbi Thomas l’anno scorso, durante un evento organizzato da un brand di make-up che mi sponsorizza da anni. Ero lì in veste di testimonial, mentre lui faceva parte della squadra di sicurezza. Era sempre alle mie spalle, dietro al mio stand, e durante qualche momento più tranquillo parlavamo. L’ho conosciuto ed era... era un ragazzo normale.
- Cosa intendi per “normale?”
- Non famoso. Guidava una Golf e aveva una casa in periferia. Cucinava, guardava le partite con gli amici e portava il suo cane a spasso. Insomma, cose normali ma che nel mio mondo sono letteralmente proibite... Cioè, io non potrei mai portare Muffin a spasso la sera...
Sorrisi.
- È il nome del tuo cane?
- Sì! – esclamò gioviale. Prese il cellulare e mi mostrò immediatamente una fotografia di un volpino dal folto pelo arancione, mentre io bevevo il mio caffè. – L’ho adottato tre anni fa e siamo inseparabili!
Mi limitai ad annuire, sorridendo educatamente, che preferivo animali meno invadenti, o che comunque non avrebbe finito per rovinare il divano nuovo che avevo nel salotto.
- Continua. – la esortai, vedendola annuire, mentre beveva il tè.
- Scusa, sì. Insomma, abbiamo parlato, abbiamo scoperto di avere delle cose in comune e, presa da quella strana energia che non provo spesso, decido di chiedergli di uscire.
- Tu? – spalancai gli occhi.
- Sì! – sorrise. – So che è non convenzionale però mi piaceva e…
- Hai fatto bene.
- Pensavo che fosse perfetto. Era intelligente, dolce... – diceva, alzando ancora gli occhi verso l’alto. – E non mentiva. Non mentiva mai. Era un libro aperto, e non aveva alcun problema con il mio lavoro. Credevo di averlo trovato, davvero... E poi...
- E poi?
- E poi, una sera, la terza volta che uscivamo assieme, salii da lui. Io avevo il ciclo, e onestamente non mi sentivo benissimo, e lo avevo anche avvisato, e a lui sembrò andar bene lo stesso.
 
Già avevo capito, dove Sophie sarebbe andata a parare.
 
- Ci ha provato con me... – aveva detto, svuotando gli occhi di qualsiasi emozione. Fissava un punto indefinito alla mia sinistra. – Io... io allora gli ho ripetuto che non... non ero... insomma, avevo le mie cose, e non avevo voglia che mi vedesse... oh, cielo... – continuò, alzando gli occhi al cielo.
Cominciò a piangere.
- E… e l-lui... n-non...
- Sophie. Fermati. Basta così.
- Mi ha strappato i vestiti da dosso... m-mi... m-mi ha... mi ha bloccata e...
Una grossa lacrima, nera di mascara le attraversò il viso. Nascose lo sguardo spostando il volto verso sinistra, e forse io avrei dovuto abbassare gli occhi, o mostrarmi quanto meno sorpreso, sconvolto dalla cosa.
 
Ma la verità era che quelle situazioni, per me, erano all’ordine del giorno.
 
- Ho capito. Non voglio che tu riviva quei momenti, se non sei pronta.
- Scusami... i-io.... sono stata una stupida! – aveva esclamato, urtando la tazzina e lasciando che il tè si riversasse sul piano. Una goccia bollente finì per sporcarmi i pantaloni.
- Oh! Perdonami, Dario!
- Tranquilla. – le dissi, serafico, mentre lei si alzava, ancora in lacrime, con le labbra schiuse e tremanti.
– Sono un disastro!
- Ti ho detto di stare calma, non è successo nulla. È un pantalone. M’importa più che tu stia bene.
Si era avvicinata a me, cercando nella sua borsa un fazzoletto, che mi aveva passato celermente.
- Mi spiace molto. Io non so cosa...
- Sei scossa. È del tutto normale che tu possa avere una reazione del genere…
Si voltò, mostrandomi la linea snella del suo corpo curvare vertiginosamente in corrispondenza di quel culo iperallenato. Tornò poi al suo posto.
- È stato terribile.
E io rappresi le labbra, cercando di mostrarle quanta più empatia possibile.
- Ti è successa una cosa che non meritavi.
- Io... – fece, mentre un’altra grande lacrima le correva lungo la guancia, andando a tuffarsi oltre il mento, finendo nelle morbidezze del suo petto.
- Non c’è bisogno che continui. – le dissi. – Questa cosa ti ha ferita e ho capito che è sia la causa del tuo disagio...
- Per me è stato orribile... Pensavo che fosse una brava persona e invece...
- Capisco perché tu sia così scettica, sul nostro incontro.
Si limitò ad annuire, allontanando il tè e continuando a piangere.
- Io vorrei tornare a… a stare bene, almeno con me stessa. Almeno da sola.
- Certo. E io ti aiuterò.
Mi guardò, con quegli occhi da cerbiatta, e annuì.
- Grazie.
Sorrisi.
- Di nulla.
- Puoi dirmi cosa faremo?
- Ebbene... – feci, mentre il cameriere riportava la mia carta di credito. Sophie lo guardava, sperando che io non parlassi in sua presenza, e infatti mi zittii immediatamente, ringraziandolo e attendendo che ci lasciasse nella nostra privacy. - Dicevo... quest’incontro è stato un modo per far sciogliere quella barriera di gelo che normalmente due sconosciuti ereggono in una situazione intima senza che ci sia la dovuta conoscenza. Un’altra alternativa sarebbe stato l’alcool ma... – e poi sorrisi. - ... ma probabilmente sarei stato poco professionale.
Suscitai il sorriso anche in lei, mentre asciugava ancora le lacrime.
- C’incontreremo venerdì prossimo presso il mio studio e dovrai venire pronta e attrezzata con una serie di oggetti che potresti già avere o che dovrai procurarti.
- Sono dei sextoys? – mi chiese, candidamente.
- Non tutti. Ma ci serviranno per rendere la seduta comoda e rilassante. Oltre a venire incontro ai tuoi gusti percettivi, e quindi parlo di sapori e odori che sceglierai in base alle tue preferenze, che io non posso conoscere, questa cosa ti permetterà anche di metabolizzare meglio la situazione. Ti inoltrerò via mail il materiale che ci serve. Ho bisogno, inoltre, di una lista di eventuali intolleranze e allergie, oltre a quella eventuale delle tue preferenze sessuali. Tutto chiaro, fin qui?
Quella annuì.
- Il mio compito sarà quello di risvegliare il tuo corpo e portarti all’orgasmo.
- Va bene... – annuiva ancora Sophie. – Quindi la seduta durerà il tempo necessario a farmi venire.
Guardai in alto e le dissi di no.
- Non proprio. Dobbiamo fare in modo che tu riesca a raggiungere l’orgasmo con regolarità, inizialmente col mio aiuto, ma anche da sola. Devo avvertirti che esploreremo tutti gli aspetti della tua fisicità, per poter stimolare correttamente ognuna delle tue zone erogene. Resta inteso che non ti farò del male, non sarai esposta a minzioni né a nessun altro prodotto del corpo umano. La riservatezza è massima, e nessuno saprà che hai fatto uso dei miei servizi, motivo per cui... – dissi, cacciando dalla tasca interna della mia giacca un foglio di carta. -... firmeremo questo accordo di riservatezza, che porterà entrambi davanti a un giudice nel caso dovessi avere evidenza del fatto che parte della tua esperienza riabilitativa venga condivisa con terze parti.
Poggiai una penna sul tavolo, subito dopo, stando attento a non immergerla nella grande macchia di tè che quella aveva creato.
Lei mi guardava confusa, con le sopracciglia inarcate e le labbra pronunciate.
- Duplice copia. – aggiunsi, mostrandole gli accordi sul tavolo. – Puoi tenere la tua copia e io farò lo stesso con la mia.
- Va... va bene.
E lì sorrisi.
- Sei spaventata?
Fece subito cenno di no con la testa.
- No. No, sei un professionista e devo... devo ammettere che mi hai messo sicurezza. È che... – prese poi gli accordi tra le mani. – Questi documenti io...
- Immagino tu condivida certe cose con un legale...
- Esatto.
- Puoi tranquillamente sottoporglielo, per attestare la valenza di ciò che c’è scritto, nonostante sia un regolare accordo di riservatezza. Attenderò la mia copia firmata per raccomandata entro venerdì. Ti contatterà la mia segretaria al numero che mi hai lasciato, per confermare l’appuntamento.
E mi alzai in piedi, richiudendo il bottone centrale della giacca. Lei mi guardò immobile, mentre riponevo la penna nel taschino interno. Le offrii poi la mano, attendendo che me la stringesse.
- Ti aspetto.
Si alzò e colmò la stretta con la sua mano delicata, poi sorrise dolcemente, con ancora i segni del pianto sul volto.
- Grazie.