E' un pochino lungo ma dovevo sfogarmi, se non vi piacciono i racconti lunghi, andate oltre.
BUONA LETTURA!


 


Le foglie scricchiolavano ad ogni passo.


Ad ogni passo scricchiolavano le certezze di una vita.


La mia.


Mi chiamo Elena, ho quarantasette anni e vivo sola.


Il mio ex marito vive con nostro figlio. Abbiamo mantenuto un discreto rapporto.


Entrambi viviamo le nostre esistenze, alla luce del fatto che da quattro anni, non dobbiamo chiedere permesso a nessuno per fare ciò che ci pare.


Era da tanto che non funzionava.


Avere un figlio in giovane età, può sembrare limitante in relazione allo stile di vita odierno.


Alberto all'epoca si prese le sue responsabilità e a ventun anni io, ventisette lui, avemmo Tommaso.


I problemi sorgono quando subentra l'idea che probabilmente guardare altri uomini, avesse un significato ben preciso.


Ho tradito mio marito? Si. Sono stata tradita? Ovviamente.


Riuscii con immani sforzi a laurearmi. Anni e anni di routine lavorativa, passione ginnica, avevano attenuato le mie smanie di una vita sentimentale più appagante. Fino all'età di quarantadue anni quando conobbi Giacomo, con cui ebbi una sbandata di oltre un anno la quale mi fece definitivamente comprendere, che fosse arrivato il momento di interrompere il mio legame con Alberto.


Da allora non pratico vita monastica, tutt'altro. Ma lo faccio con la consapevolezza e la libertà del mio bagaglio di esperienze. Mi piace il mio lavoro, mi fa spesso viaggiare.


Le visite ai clienti, in determinati periodi dell'anno hanno cadenza mensile, quindi la prendo come una boccata d'aria fresca. Cerco in tutti i modi di tenermi in forma e a quanto pare ci riesco.


Il ronzio dei calabroni attorno al fiore mi rassicura.


Sono apprezzata da una bella fascia d'età e credo che ogni donna dovrebbe provare questa bella sensazione, un fremito che alleggerisce la vita, quasi illudendoti che il tempo non passi...


Il suono del campanello parve irrompere da uno stereo a tutto volume. Sussultai.


Il rossetto mi cadde nel lavabo. Lo specchio ruffiano offrì le sue lusinghe. Ero pronta.


Come d'accordo non risposi e nel giro di dieci minuti, lo raggiunsi in auto.


Era una serata fresca, gradevole.


L'aria tersa preserale, accarezzava solitarie nubi d'acciaio e le prime pennellate rosa e aragosta, striavano gran parte della cupola azzurra. Respirai più volte a fondo quella freschezza serica.


Percorsi il vialetto del condominio con un contegno eccessivo.


Allo stesso tempo, i tacchi sul marmo risuonavano d'un richiamo rigorosamente femmineo.


Austero e lascivo come il dominio sessuale.


Sarà forse il mio lavoro che mi tiene la mente aperta, o la vita sociale che conduco, ma


con Tommaso ho un rapporto speciale, capirete quanto se finirete di leggere.


Lui è un tipo maturo e frizzante, si parla di tutto e ci facciamo spesso scherzetti, come degli adolescenti burloni. Faccio di tutto per non invecchiare l'anima, la mente e il corpo.


In quel momento, volevo che anche mio figlio apprezzasse gli sforzi di una donna per rimanere giovane e attraente. Lo ammetto, sono un pochetto narcisista.


Distolse lo sguardo dallo smartphone e puntò gli occhi verso me.


Il finestrino scese con movimento deciso e uniforme, dissolvendo quell'alone dal viso del “mio ragazzo”.


Tutto tornò immobile nell'auto. Un sorriso deciso, stupendo e solare, si fece largo dietro la barba nera di un paio di settimane.


Stesa. Aveva già vinto.


Scusate ma, ogni scarrafone......


“Tommy”


“Ci conosciamo?” Disse.


Risposi con una piccola risata.


“Lo prendo per un no, però se vuole possiamo rimediare”. Disse. 
Decisi di stare al gioco.


“Sembrava stesse aspettando qualcuno...”


“Mia madre, ma mi ha appena telefonato. Farà tardi al lavoro. Pazienza!”


“Ah, esce spesso con sua madre?”


“Non come vorremmo. Sa vivo con mio padre e il lavoro, la ragazza e tutto il resto, insomma...”


“Capisco. La ragazza... Venerdì... Bella macchina... Bel vestito... Preferisce la mamma?”


“Non conosce mia madre!”


“Lei non è di queste parti, non l'ho mai vista prima”


“Quaranta chilometri. Per fortuna tre quarti di superstrada, a parte oggi: lavori in corso ”


“Mi spiace!”


“E di cosa? E' di un'eleganza accecante, è permesso chiederle se è sola?”


“Aspettavo mio figlio. Ma mi ha appena telefonato e sembra che farà tardi al lavoro”.


Sorrisi all'unisono, gioia bilaterale, emozioni varie.


Misi la gamba destra davanti alla sinistra, incrociandole. Inarcai la schiena, guardando un punto indefinito nel cielo.


“Sembra destino. Lei ci crede?”


Il vento mosse gli alberi del vialetto, una folata improvvisa.


Il brivido corse lungo la schiena.


Chissà perché, mi convinsi che non era dovuto al freddo.


“Al destino?”


“Mm...”


Scrollai le spalle.


“Dipende da quanto alcool decidi di mettere in corpo”.


“Oh, non ho intenzione di farla ubriacare. O forse si. Dipende dal sapore”.


“Mi sta invitando”?


“Che fa ancora lì”?


Esplosi in una risata, da lui seguita, mentre il vetro saliva come a chiudere il siparietto.


Salii nel suv e la gonna salì oltre il dovuto rivelando il pizzo nero.


In quel frangente, pensai che il saluto dell'autoreggente fosse esagerato per uscire a cena con un figlio.


Tommy riportò lo sguardo sui miei occhi, troppo tardi. I miei stavano già aspettando.


Lasciai correre: viva gli uomini!


Si avvicinò e mi baciò sulla guancia. Mi sciolsi e per quanto possibile in un auto, mi lanciai verso di lui, abbracciandolo calorosamente.


“Come stai amore?”


“Bene grazie. Dio mamma sei uno schianto, tu sicuramente stai bene” ridendo.


“Esagerato!”


“Stai scherzando? E se ero il tuo uomo come ti vestivi?”


“Tu sei il mio uomo. E non è che debba presentarmi meno curata se esco con mio figlio”.


“Sono onorato, nemmeno Deborah mi dice queste cose. Davvero mamma, credimi sei bellissima”.


Ero burro fuso. Lo guardai, orgogliosa, il cuore a mille. Quelle erano leccornie letterarie per una donna di quarantasette anni, che non disdegna sentire complimenti. Il silenzioso abitacolo enfatizzava quelle parole asciugandole dai disturbi e la sua voce, così calda, le appoggiava dolcemente sull'amigdala.


“Ehm.. Dove mi porta bell'uomo?” Tornando al giochino di pochi minuti prima.


“Ho prenotato Dal Marchese, cara”


Strabuzzai gli occhi.


“E se ero la tua donna dove mi portavi?”


“Che fa, ora mi dà del tu?”


“Touché!”


Il tepore e l'interno ipertecnologico dell'auto, fecero da teatrino alle nostre battute.


Parlammo di noi e del lavoro per gli oltre quindici chilometri che ci attendevano.


Il ristorante sorgeva su una collina, la veduta era fantastica. Colli e alberi e casolari, a perdita d'occhio. Qua e là, spioventi di tegole rossastre, immersi in mille tonalità di verde.


Una campagna quasi mai piatta, morbida e ondulata, con timide colline ammantate di querce, lecci e faggi.


Il cielo aveva superato l'acme dei toni caldi, ma ancora una fascia rosa e indaco rischiarava l'orizzonte, le nubi, ora più simili a variopinti cirri in caduta libera, spalmavano ulteriore poesia sul paesaggio sottostante.


Il locale era un antico casale, ristrutturato con stile, immerso in un contesto unico.


Non mi stupirei di trovarne la foto in un puzzle della Ravensburger.


“Aspetti, cara”


Sorrisi seguendolo con lo sguardo, mentre faceva il giro dell'auto per aprirmi la portiera.


Scesi con garbo, respirando di nuovo la pungente freschezza di quella sera.


Mi porse il braccio, infilai il mio, incerta nei miei tacchi. Le piastrelle di cemento all'ingresso del parcheggio, cessarono lo strazio di camminare nella ghiaia con le decolleté da undici centimetri e mezzo. Certo il plateau da due è una manna, ma come si diceva da bambine: “se bella vuoi apparire, un pochino devi soffrire!”


Entrammo ancora in quella posizione.


Il maitre ci accolse con un compassato sorriso e con gentilezza studiata, prese le nostre giacche.


Il mio tubino verde giada era moderatamente corto, come si addice a una donna della mia età.


Le spalle facevano leggero capolino e la schiena era coperta da solo tulle.


Quando diedi la giacca al maitre stavo per pentirmene ma l'ambiente risultò piacevolmente caldo.


“Quanto sei bella stasera!” mi disse avvicinandosi all'orecchio.


Toccandomi il lobo dell'orecchio, gli sorrisi con malizia.


Notai alcuni commensali farmi i raggi X di sottecchi, poi farli a mio figlio.


Sorrisi interiormente. E con gran piacere, quando notai che alcune erano donne.


Il nostro tavolo era un pochino appartato. Qua e là vi erano dei muretti di riporto in finta pietra, per un effetto defilato garantito. Le sedie in stile, con i loro schienali altissimi, rendevano il tutto ancor più intimo.


Arretrò la sedia per agevolarmi la seduta. I nostri sorrisi s'incrociavano di continuo.


“Ma davvero?” dissi sottovoce.


“E' di suo gradimento, signora?”


“Lei è pazzo!”


“Può darsi. Non è che il suo abito aiuti a rinsavire. E le calze con la riga nera, girano sadicamente il coltello nella piaga...”


“Non le sfugge nulla”, dissi schioccando con enfasi la lingua.


“Cotanta beltade, ignorar non posso, madre mia”.


“Che fa, mi sta adulando?”


“Perdoni la mia componente selvaggia, talvolta indomita e sfacciata, fino ad essere impertinente come ora”. Le mani al petto e il viso chino.


Accavallai le gambe e poggiai i gomiti sul tavolo.


Per nulla la mondo avrei fermato quella spassosa farsa.


“Sia impertinente. Sia audace. Sia pazzo, mio caro e la prego: continui questo gioco”.


Gli feci l'occhiolino.


Mio figlio annui e mi stampò un'occhiata birichina. Non proprio di quelle che si lasciano a una madre, ma fu ben accetta.


Ci sono eventi che iniziano in sordina e conducono in posti sconosciuti.


La tentazione puttana non chiede permesso e talvolta esula dal legame sanguigno, pungendo dove sembrerebbe poco opportuno.


L'eccitazione è un brivido sottopelle.


Gradito, impudente.


Ne percepii l'imprudenza, quando sotto le mutandine sentii qualcosa.


Nei secondi che sostenevano i nostri sguardi, la rugiada irrigidì il mio corpo.


Era freddo, era caldo. Era un torrente, era una goccia. Centomila perché.


Ero sua madre, era mio figlio.


Era l'ineludibile parvenza che insolite sensazioni ci univano, quella sera.


Al secondo bicchiere di Nero d'Avola notai delle sfumature nei contorni delle cose.


Sembra sempre poco vino, ma il calice è enorme e dentro è tutt'altro che poco.


Mangiammo con gusto, sebbene nel rispetto dell'etichetta, le porzioni erano misurate.


Tuttavia lo chef sapeva il fatto suo, e le stelle Michelin, non mentivano.


“Tutto bene, cara?”


“Non mi desti troppo da tal torpore, sì piacevolmente inaspettato e ben accetto”


“Oh, la sto annoiando?”


“Tutt'altro. Però questo siero d'uva è un bastardo”.


“Può contare su di me signora, sempre che le sia gradito”.


“Non ricordo piacere sì intenso. Il vorticar d'emozioni mi rende vulnerabile”.


“Cosa la turba, madame?”


“Il piacere” risposi quasi pentendomene, gli occhi abbassati a cercare un appiglio sulla tovaglia. Avevo paura di aver gettato un sasso nello stagno.


Il timore che le sesse potessero riportarmi a fare la classica mamma, mi faceva paura.


Così come indulgere troppo in atteggiamenti o parole, vagamente sensuali.


“Come vorrei credere d'esserne la causa!”


Il mio sguardo di madre fiera, fu eloquente e lui credo comprese.


Non avevo le scarpe giuste per quel terreno. Tommaso è oramai un uomo di ventisei anni e io mi ero vestita come invitata ad un galà per sexy first lady.


E ora me ne stavo lì, felicissima di condividere una cena con mio figlio, ma totalmente impreparata alle goccioline che uscivano dal mio corpo. 
Più giocavamo a quel gioco, più mi ammantavo in quella piacevole nuvola.


Il vino chiamava vino, nei suoi profumi inebrianti di bacca rossa, matura e succosa.


Decisi di non dare troppo peso a certe cose e continuai a lasciarmi andare.


E gocciolare.


“Ha notato che libidine i dolci?”


Libidine era la parola esatta e per un momento temetti di averlo detto a voce alta.


Sbattei nervosamente le palpebre per allontanare quel pensiero.


“Chissà... Questa sfera allo zenzero affogata nella crema catalana.”


“Decisa, forte...”


Le bollicine presero sotto braccio il vino e iniziarono a ballare dentro la mia testa.


Optai per l'ultimo sorso, allorché la vista sembrava rincorrere i movimenti dello sguardo.


“E' ancora valida l'offerta?” Chiesi ridendo oltremodo.


“Quale offerta?”


“Di contare su di lei. Questi trampoli non vanno tanto d'accordo con l'alcool e io non voglio fare assolutamente la figura della scema!”


Ridemmo sommessamente.


“Conti su di me”


Da bravo gentleman, mio figlio pagò la cena.


Non so ancora descrivere lo sforzo che feci per stare al suo passo, senza rotolare come una mela caduta dall'albero.


Fuori era decisamente un'altra temperatura. La sferzata di vento, fu uno schiaffo in faccia.


“Si copra cara, sembra improvvisamente calato l'autunno”


“Siamo in autunno”


“Vero, ma pur sempre il due di ottobre, a me sembra freddino. Pensare che ieri c'erano 20 gradi”


“Brrr... Si. Non mi dà il braccio?”


“Sono il suo bastone”


“Mm, si si”


“Prego?”


“Niente”


Maledetto vino, ridendo dentro di me quando un lampo rischiarò improvvisamente il cielo.


“Oddio, ma non era bel tempo?”


“Non so mamma, sembrerebbe ci abbia ripensato”


“Uffa...”
“E va bene dai”


“No. Uffa perché mi è piaciuto parlare in quel modo, è stato simpatico”


“Me lo dicono in tante signora!”


Risi di gusto, per la battuta. L'acool nel sangue poteva liberare i suoi effetti.


“Allora vuol dire che le fa ridere, tutto sto pezzo d'omo e poi ridono?”


“Intende provare tal solletico, signora?”


“Il vino direbbe si, ma io devo stare attenta...”


“In vino veritas!”


Risi piegandomi in due e inciampai.


Due braccia forti mi sostennero, due braccia dentro le quali mi lasciai stringere con smisurato piacere. Non ricordo per quanti secondi mi godetti quel contatto, ricordo le gocce d'acqua fredda che ci sorpresero, proprio mentre stavano entrando in macchina.


“E' sicuro di poter guidare?” dissi guardandolo, la testa appoggiata al sedile.


“La porterò a casa sana e salva, si fidi”.


“Mi piace...”


La pioggia tamburellava sul tetto dell'automobile, accompagnandoci fin sotto il garage di casa mia.


Ero stordita.


Pensò lui ad aprire la porta di casa. Entrammo e ci sedemmo in sala.


“Tutto bene, signora?”


“Si se lei sta qui con me”.


“Che dice, preparo un caffè?”


“Buona idea, anche se temo per il sonno”


Poco dopo Tommaso apparve con la caffettiera fumante in mano. Versò in due tazze capienti il liquido nero e lo vidi trafficare fra i liquori.


“Io lo sporco un pochino, lei che dice?”


“Dico che mi va bene tutto”. Guardandolo amorevolmente. 
“Mi perdoni, cara” e si accucciò togliendomi le scarpe, portandole verso la porta di casa dove aveva lasciato le sue.


“Oh Dio grazie, grazie davvero”


Un rapido massaggio a piedi e polpacci, prima di passarmi la tazza fumante di caffè e Borghetti.


Si sedette accanto a me.


“Spero sia stata bene, certo tra tempo e vino tornare a casa era l'opzione più raccomandabile”.


“Sa, dovremmo farlo più spesso”.


“Bere?”


“Anche” risposi ridendo.


“Allora ricordiamoci di farlo sempre di venerdì”.


“Certo non penserà che voglia toglierle il sabato con la sua amata”.


“Per come vanno ultimamente le cose, sicuramente non ci perderei. Se poi s'agghinda in tal modo il guadagno è ulteriore. Sa, ho notato certi sguardi dei commensali su di lei”.


“E che guadavano, mio acuto osservatore?”


“Credo lei lo sappia. Ma non costa fatica dire che guardavano un donna elegante, colta, in forma e decisamente sexy”.


“Addirittura. Ehm ehm, lei è un discreto seduttore, ma le rammento che ci siamo incontrati stasera. Non vado a letto con gli sconosciuti.”


“Donna ricca di virtù! A proposito di letto, le dispiacerebbe lasciarmi il divano per qualche minuto? Giusto il tempo di rilassarmi, non oserei mai occupare il suo talamo, signora”.


“Il mio letto ha spazio per due, se promette di coccolarmi senza farsi traviare da pensieri lubrichi!


In fin dei conti data la mia età, potrei benissimo essere sua madre”.


“Seducente e peccaminoso oltremodo. Cara, temo d'essere indegno di pensare la sua carne oltre tale blandizia! Quanto alla sua età, lei è uno scrigno di bellezza inaudita”.


“E come madre non son degna d'essere considerata?”


“Credo che i più avveduti sognino di averla come madre. Avessi io quel privilegio, forse sarei il figlio più fortunato del mondo”.


“Forse?”


“Dovrà pur concedermi che seppur immenso, l'amor platonico alla mia età potrebbe generare tensioni nervose!”


“Ti adoro, giovane ingenuo!” dissi sentendo la mia guancia rigarsi di sale.


Mi alzai di scatto andando in bagno. Appoggiata al lavabo feci uscire altre due o tre lacrime.


Via il trucco, via i vestiti, mi rassettai e in camicia da notte. Tornai in sala.


Mio figlio sul divano, in mutande e maglietta, stava mettendosi una coperta sopra.


“Non esiste”.


“Cosa?”


Tolsi la coperta e lo portai a forza in camera.


“Forza, stupido!”


“Ma mamma, ammetto che stasera sembra più freddo, ma io dormo così ancora”.


“Ah, ora sono diventata mamma!” canzonandolo.


“Ha ragione signora, ma mamma non vuol dire vecchia babbiona”.


Ci adagiammo sul letto, per l'occasione mettemmo una coperta in più.


Parlammo del più e del meno mentre la stanza ancora girava nella mia testa.


Mi accostai a mio figlio. Lui si girò verso di me e mi abbracciò.


Stavamo per addormentarci quando il primo tuono scosse la casa.


Mi girai verso la finestra, fuori diluviava e dalle tapparelle i lampi aumentavano di intensità e numero. Tirammo su bene le coperte, mi rannicchiai e Tommaso mi cinse a sé.


Non mi allontani da quell'abbraccio, anzi lo agevolai.


Spostai il bacino verso lui, così, come per istinto. Da dietro l'inequivocabile forma del suo uccello si era scontrata col mio fondoschiena. Deglutii, colta da un caleidoscopio di sensazioni.


Lui, finora immobile, si mosse di quei centimetri necessari a confermare il contatto.


Non sapevo come muovermi, non sapevo cosa fosse giusto provare. Non sapevo.


Fu lui a sapere.


Seppe stringermi maggiormente a sé.


Seppe appoggiare il suo mento vicino alla mia testa.


Ma non seppe contenere l'afflusso sanguigno al suo pene.


E io chiusi gli occhi.


Lasciai che qualunque cosa dovesse succedere, succedesse. Non chiedetemi il perché.


Mossi con la massima cautela il mio bacino verso quel “coso duro”, il quale sembrava reclamare sempre più la sua scena.


Lui imitò i miei timidissimi movimenti, con altrettanta cautela.


Il mio respiro si fece pesante. Dovetti aprire la bocca per agevolarlo.


Alle mie spalle sentivo crescere, la sfrontatezza, l'irruenza del giovane ragazzo che avevo dietro.


Sentivo il suo naso frugare tra i miei capelli lisci.


Mi strinse ancor di più.


Semmai avessi avuto qualche stupido dubbio, ora ne ero certa: quel palo era per me.


Mio Dio! Come ne sarei uscita non lo so, però fui pervasa da una sensazione piacevolissima.


Iniziammo in sincronia un movimento lento ma deciso.


Lui strisciava sul mio culo, io strusciavo sul suo uccello.


La lentezza fu presto sostituita da movimenti più decisi.


Io avevo iniziato ad ansimare. Il suo respiro andava sempre più verso i possenti rantoli di un toro.


Lo sentii togliere il braccio dal mio corpo. L'intento era chiaro, ma feci appena in tempo a realizzarlo che il suo membro fu libero dagli slip.


Volevo dirgli di fermarsi, di fermarci a quello che stavamo facendo, senza andare oltre.


Poteva essere ancora un gioco, senza peccato.


Ma il peccato è una calamita.


Tutto ciò che riuscii a dire furono dei lamenti, semplici vocali allungate fra i denti.


Improvvisamente mi assestò colpi decisi con l'uccello, sembrava suonasse un tamburo.


Percepivo appieno la sua erezione, dietro di me c'era un grosso cazzo che bussava alle porte.


Non connettevo più e lui lo sapeva, e sapeva dove toccarmi, dove baciarmi.


Da quel momento non eravamo più solo madre e figlio, ora stavamo per entrare nei territori inesplorati.


Mi abbassò le mutandine, lo aiutai.


Ero letteralmente un fiume in piena.


Poi d'un tratto lo sentii.


Dapprima entrare educatamente, come a chiedere permesso.


Non so come descrivere quella sensazione, che soffuse nel mio corpo una luce calda.


Ogni singola cellula di me, godeva di quel gesto.


Ero in un bozzolo di calore quando il tronco si fece strada.


Con la mia figa zuppa, non faticò tanto, mi riempì fino allo stomaco.


Oddio! Oltretutto, il mio amante proibito era piuttosto equino da quelle parti.


Il ritmo partì.


Come un ottovolante, prese il via e mi portò lontano.


Viaggiavo immersa in luci di mille colori e profumi e suoni mai uditi.


Se quello era il mondo nuovo, non il buio mi accolse, ma una galassia accecante.


Il mio amore prese a stantuffarmi come un demonio.


Stesa su un fianco, la sua mano fra i miei capelli ben salda a tirar la testa verso lui.


Il braccio destro a sollevare la mia gamba e giù a riempirmi di quel meraviglioso palo di carne.


“Ti piace?”


“Si”


“Non ti sento mamma, ti piace?”


“Siiiii” quasi lo gridai, fregandomene di vivere in un condominio.


“Allora continuo?”


“Oh si, ti prego, non smettere, oddio”


“Sei stupenda”.


Mentre mi diceva così, il suo cazzo deve essermi arrivato in qualche punto collegato a filo diretto con il cervello, perché non trattenni l'orgasmo che stava arrivando.


Lui mi tappo la bocca, come sapesse che stessi per urlare.


E urlai, urlai a squarciagola nella sua mano, mentre mi scopava come un ossesso.


Ero preda di quel cazzone e dell'uomo che mi sconquassava tutta.


Squirtai come raramente mi capita.


Sudavo e godevo. Dimenavo la testa mentre urlavo del secondo orgasmo.


Ero totalmente svuotata. Non avevo idea che mio figlio fosse uno stallone del genere.


Di solito una madre non pensa suo figlio in tal modo.


Ero venuta due volte e lui continuava a scoparmi.


Sembravo una bambola di pezza con le estremità che andavano ovunque fosse possibile.


Poi lo sentii arrivare.


Fu come un treno merci dentro di me.


Mi girò, prona.


Ricominciò a scoparmi da matto.


Non chiedetemi come sia possibile, ma fui scossa da l'ennesimo orgasmo distruttore.


Tommaso mi prese per i polsi, mentre infilava il suo cazzo a più non posso.


Ero scossa continuamente da brividi di profondo piacere.


Poi mi lasciò cadere sul letto, la testa sul cuscino.


Lo sentii pulsare, la parte più vitale di lui entrava in me.


Senza preavviso mi inondò del suo sperma.


Avevo la sensazione che ogni goccia di seme viaggiasse incanalata dentro di me, alla spasmodica ricerca di un approdo.


Venne copiosamente, come un possente animale che si libera di un fardello.


Fui piacevolmente riempita da quella sborra calda.


Si lasciò cadere sopra di me, l'uccello ancora dentro.


Mi riempi di piccoli baci sul collo e sulle spalle.


Vi giuro non ricordo un sesso così appagante, frugale se volete, pochi minuti ma intensissimi.


I baci ora erano arrivati sulle guance.


Lo feci. Mi girai e le nostre bocche s'incontrarono.


Scivolò di fronte e ci baciammo per un tempo indefinito.


Forse era il bisogno di sapere che in quella nuova forma di amore tra noi, eravamo complici.


Ci guardammo e riattaccammo le bocche fino a quando, di punto in bianco scoppiammo a ridere di cuore.


“E che cazzo ma', ti rendi conto: abbiamo scopato!”


Lo guardai per capire dove fosse l'errore. Non riuscivo a trovarne, quindi continuai a fissarlo.


“Non dici nulla?” fece, vedendomi pensierosa.


Per tutta risposta gli diedi un altro bacio in bocca.


“E' stato magnifico, amore”.


“Basta che non te ne penti. Sono tuo figlio”.


“Questo lo so, sono tua madre”.


Mi prese il viso tra le mani e mi baciò a lungo.


Mi andava, lo feci. Staccatami dalle sue labbra, scesi fino a trovare quel bel cazzo.


Mio Dio, la gioventù: gli tornò duro solo toccandoglielo. Ne risi compiaciuta.


Non mi persi in filosofie, l'incesto lo avevamo già oltrepassato.


Lo presi in bocca. Assaporai quel bastone con tutta me stessa, il gusto, il suo odore, erano già in ogni parte di me.


Glielo dovevo. Credo, senza tante ciarle, di aver fatto uno dei pompini più belli della mia vita.


Può far ridere ma ero impegnata per dargli il massimo del piacere.


Chiedo scusa ai lettori, ma mi sentivo di dirlo.


Succhiargli il cazzo era una droga di cui non riuscivo a liberarmi.


Mi sono sentita troia, amata e pervertita. Ho ancora in mente i suoi gemiti quando gli presi le palle e cominciai a ciucciargliele.


Belle strizzate e gonfie tra l'indice e il pollice.


Lui ansimava e si dimenava e io con voracità, succhiavo quelle polpettone.


Doveva piacergli perché il palo svettava quasi a farmi ombra!


Glielo segai con la mano libera, mentre le palle oramai rosso intenso, me le leccavo e ciucciavo di gusto, come una bimba col gelato preferito.


Dio come ci si trasforma!


Non che fino al giorno prima fossi stata una suora di clausura, però mai avrei pensato di fare a mio figlio, quello stavo facendo.


“Mammaaaaa” proruppe mentre ero intenta a godermi i suoi genitali.


Mollai quelle grosse palle e ripresi il pompino. La sua mano a tenermi la testa con dolcezza.


Giusto in tempo: una valanga di sborra mi arrivò dritta in gola.


Ovviamente non riuscii a deglutirla tutta, già non era semplice mettersi in bocca quell'arnese.


Parte di quegli schizzi uscì, colando dal mento.


Rimasi lì a pulire mio figlio con la lingua, come mamma gatta con il suo cucciolo.


Tornai accanto a Tommy. Era ancora perso nel piacere.


Mi guardò.


I nostri occhi erano così vicini, i nostri sguardi così in sintonia.


Avvicinò l'indice della mano destra, lo fece scorrere ai lati delle mie labbra e sul mio mento, per poi mettermelo in bocca.


C'era del nettare colato.


Lo accolsi voluttuosa, gli occhi chiusi per assaporare meglio l'essenza di mio figlio.


Sentii poi il suo dito frugare nella mia figa ancora umida.


Poi il dito tornò nella mia bocca, subito seguito dalle sue labbra nelle mie.


Intrecciammo a lungo le nostre lingue e i nostri umori. Con tutto l'amore di cui eravamo capaci.


Il sesso è vita, mistero, follia.


In quei momenti eravamo l'incarnazione perfetta di questa amorosa triade.


“Mamma...”


“Si?”


“E' stato travolgente”.


Sorrisi amorevolmente a mio figlio.


“Credi sia pazzo se vorrei non fosse solo per stanotte?”


Deglutii.


“Tu sei sanissimo, forse io sono la scema”.


“Mettiamola così: sono cazzi nostri e lo saranno finché ci andrà”.


Lo abbracciai forte, ricambiata.


“Ti amo figlio mio, perdonami se ti...”


“Perdonarti di cosa? Io ci sono per te. Ora anche così, se e quando vorrai”.


“E quando ti stancherai, come mi considererai? Lo sai cosa abbiamo fatto, su Tommy!”


“Certo che lo so. Per quanto mi riguarda sei sempre mia madre. Pensi potrò stancarmi di mia madre? Abbiamo fatto sesso e sai che ti dico? Spero lo rifaremo migliaia di volte”.


Disse prendendomi un seno e titillando il capezzolo.


“Siamo due matti”, risposi ridendo.


Rimanemmo in silenzio, mano nella mano.


“Se mai fosse possibile, ti voglio ancora più bene mamma”.


Lacrimuccia.


 

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Categorie: Incesti
Tag: Incesto