0. Presentazione della storia 


Buongiorno, ed eccomi di nuovo qua, dopo un po’ di tempo, con un altro racconto.


Questa volta la storia prende spunto da avvenimenti realmente accaduti a chi scrive, poi corredati da "licenza poetica", ed è un pò complessa, forse perché mi coinvolge e trattandosi dell'incontro con una () o sarebbe meglio dire “la”) prostituta "di casa". 
Ovviamente, non si tratta di una cugina “vera”, come l'ho descritta, ma è ugualmente una persona a cui sono molto affezionato.


Lo ribadisco: non è una storia totalmente reale e non è un racconto completamente inventato, ma rappresenta la speranza che la "favola" per una volta possa prendere il sopravvento sulla realtà.


Certo che se sono qui è perché considero sesso a pagamento, sesso di gruppo, gangbang e quant'altro come esperienze a cui non mi sottraggo, ma a volte la vita ti obbliga a fare i conti con te stesso e a rivedere certe convinzioni. 


Buona lettura, e accetto commenti costruttivi...


1. Introduzione. 


Era una giornata di inizio autunno quando, verso mezzogiorno, in una clinica romana, avvenne qualcosa che avrebbe segnato per sempre la vita di due indifese creaturine. 
La sala parto era un via vai di medici e paramedici, indaffarati attorno a due donne in travaglio, due cognate che si apprestavano a dare alla luce i loro bambini... 
Ed ecco che, finalmente, il primo – un maschietto – si annunciò rumorosamente con un pianto disperato. Venne attentamente ripulito, e poi deposto tra le braccia della mamma: 
- "Signora, auguri... E' un bel maschietto! Chissà a quante ragazzine farà perdere la testa...". 
Giusto il tempo di far abituare la puerpera a quella nuova situazione che il piccolo fu condotto nel nido, e – poiché un pò sottopeso – messo in una incubatrice. 
L'altra donna, intanto, una colombiana, stava ritardando, ma non passò neanche un quarto d'ora che una vocina stridula e tutta risentita attirò l'attenzione dei presenti. Una bellissima femminuccia era arrivata ad allietare un'altra famiglia... 
Anche per lei, l'infermiera di turno volle rallegrarsi con la donna che aveva appena partorito:
- "È una signorinella... Le darà grandi soddisfazioni...". 
Ma la donna, che evidentemente si augurava con tutte le sue forze che fosse un maschio anche il suo , si lasciò sfuggire un poco elegante: 
- "Sì, proprio una soddisfazione... Cominciamo bene!". 
Ad ogni modo, anche per la piccola – prematura – si rese necessaria una terapia in incubatrice... Ma non ce n'erano più disponibili... E allora, cosa fare?
Fu la caposala ad avere l'idea che avrebbe risolto il "problema". Allungò lo sguardo verso le madri, e quindi disse agli altri inservienti del reparto: 
- "Beh, visto che i bimbi sono cuginetti, potremo metterli insieme! Che c'è di male?". 
E così fu fatto, e quando i due giovani papà furono ammessi per la prima volta a vedere la loro prole, si trovarono sulle prime spiazzati ma compiaciuti di trovarli assieme... 
Inoltre, il maschietto giaceva a pancia in giù e la femminuccia gli era sopra, aggrappata con un ginocchio sollevato... 
Sembravano veramente due gemelli, tanto che erano diventati l'attrazione principale per tutto il personale della clinica, il quale nel tempo libero si accompagnava lì dicendo: 
- "Andiamo a vedere i gemellini...". 


Passarono alcuni mesi, e i bimbi parvero trovare comoda e "naturale" quella posizione. 
Intanto, i genitori li avevano registrati all'anagrafe, e quelle creature presero rispettivamente i nomi di Blanca e Claudio...


2. Prime esperienze. 


Questo fu il "fortunato" esordio su questo mondo per me e mia cugina Blanca.
Fu la prima creatura che vidi quando aprii gli occhi, e da quel momento non ci lasciammo mai più, almeno finché la nostra volontà non si andò ad infrangere – ripetutamente – contro le scelte di chi non sapeva che il nostro destino ci stava portando a grandi passi l'uno verso l'altro... 


Usciti dall'ospedale, infatti, non ci  allontanammo di molto, poiché mio padre – "che era insegnante e ingegnere – aveva costruito un villino bifamiliare su due piani per la sua famiglia e per quella del fratello. 
Io, andai a vivere con i miei genitori al piano di sopra, mentre Blanca si ritrovò al pianterreno con i suoi. 
Ogni giorno, le nostre mamme si ritrovavano in casa dell'una o dell'altra a parlare del più e del meno, e noi eravamo sempre con loro. 
Non avendo ancora altri fratelli, cominciammo a giocare insieme, e in breve tempo diventammo inseparabili: ogni volta che la mia famiglia cercava me, mi trovava con lei e viceversa... 


Tutto andò avanti in questo modo fino al nostro sesto compleanno, che come i precedenti festeggiammo insieme, e che segnò il nostro ingresso nella scuola dell'obbligo. 
Inoltre, a quell'epoca le nostre genitrici erano entrambe nuovamente in dolce attesa, e potevano dedicarci sempre meno tempo. 
Ma a noi poco importava quella ovvia mancanza di attenzioni, o forse non ce ne rendevamo conto fino in fondo, poiché eravamo sempre più visceralmente legati, al punto che il sopraggiungere delle vacanze estive – con la momentanea separazione delle famiglie per lidi diversi – fu da noi vissuta come una tragedia di immani proporzioni.
Una volta, Blanca arrivò a dirmi:
- "Credo che non potrò sopravvivere... Addio Claudio... Se non ci vediamo più, non guardare le altre femmine!". 


Ad ogni modo, abitando praticamente insieme, fummo iscritti nello stesso Istituto scolastico.
Ci ritrovammo nella medesima classe, e – forse per compiacere i nostri genitori – la maestra ci assegnò lo stesso banco. 
Ricordo ancora come ci tenevamo per mano per tutto il tempo, e ciò destò l'attenzione dell'insegnante che ne parlò alle nostre famiglie, le quali però non diedero peso alla cosa pensando che il fatto fosse dovuto a una carenza di affetto.
In realtà, proprio in quei momenti, stava nascendo qualcosa di straordinario, di grandioso, che con innocenza noi non esitavamo a mostrare sfacciatamente agli altri bambini. 
E anche a scuola venimmo additati da tutti – forse come presa in giro, o forse in tono commiseratorio – come "i gemelli", fatto che noi tenevamo a puntualizzare ad ogni circostanza. 
Dicevamo, come una cantilena, a giustificare ogni comportamento: 
- Noi-siamo-gemelliiiii". 


Avevamo sei anni, dunque, ma facevamo ancora il bagno insieme, soprattutto quando ci trovavamo a casa di mia zia, la quale – essendo di più larghe vedute rispetto a mia madre – ci diceva che non c'era nulla di male e di cui vergognarsi a vedere "come siamo fatti". 
Giravamo nudi per casa, e cominciavamo a toccarci a vicenda nelle parti intime scoprendo le diversità dei nostri corpi: lei chiamava il mio pisellino "dan-dan", e io la sua fichetta "patatina". 
Ma tutto finiva sempre con una gran risata... 
Anno dopo anno, i nostri fisici cambiarono, ma non cambiò quell'attrazione – anche fisica – che provavamo l'uno per l'altra, anzi quel sentimento cresceva ogni giorno di più. 


Dalle scuole elementari passammo alle scuole medie, e lì dovemmo affrontare per la prima volta il "mondo avverso": il primo giorno, furono sorteggiate le classi, e noi due ci ritrovammo in sezioni differenti... 
Ci guardammo atterriti, e ci abbracciammo per impedire a chiunque di dividerci, e infine scoppiammo a piangere. 
Poi, serio, le dissi sottovoce in un orecchio: 
- "Non ti preoccupare, dovranno ammazzarci per separarci... E io non ti mollo! Dammi la mano e stringi forte...". 
Per i primi tempi non ci fu niente da fare, fummo separati e il nostro profitto scolastico divenne un disastro, tanto che mio zio – più accondiscendente di mio padre – capì la situazione e pregò la preside di trovarci un posto nella stessa classe... 


A casa, però, le cose precipitarono improvvisamente: mia sorella e suo fratello, che ormai avevano circa sette anni, si fecero prendere dalla gelosia e fecero di tutto per mettersi contro, volevano a tutti i costi la nostra attenzione e coinvolsero i genitori. 
Risultato: io e la mia "gemella", ormai tredicenni, ci sentimmo "minacciati", e ci legammo ancora di più... escludendo, involontariamente, loro dalla nostra infinita tenera storia. 


Piano piano, le nostre giovani vite stavano giungendo al culmine della carriera scolastica... Le scuole superiori. 
Mi iscrissero a una scuola tipicamente maschile, dove su duemila ragazzi c'erano solo quattro femmine. E una di queste era Blanca... 
Sì, perché a 14 anni mia cugina non avrebbe accettato per nessuna ragione di spezzare quel "patto d'acciaio" che anch'io consideravo imprescindibile. 


Insomma, ancora una volta ci ritrovammo fianco a fianco, a scuola e a casa, ma mentre tra le mura domestiche nessuno insidiava più il nostro essere una cosa sola, a scuola Blanca era diventata una preda ambita da molti. 
Così, accadde che mentre lei non se ne curava, io fui costretto – per la prima volta in vita mia – a "marcare il territorio"... Financo ad alzare le mani. 
Non so sé da "femmina navigata" mi lasciò fare per constatare quanto l'amavo (lo sapeva, ma come ogni donna le piaceva sentirselo dire...), ad ogni modo il mio "avversario" ebbe la peggio. 
Lo aggredii, prima soltanto verbalmente: 
- "Se sei così stupido che ancora non l'hai capito, devi lasciar perdere la mia gemella; se hai certi pruriti, cercatene un'altra... Blanca non è roba per te...".
Ma quello, ignorando il rischio che stava correndo, insisteva... E replicò: 
- "Che ti credi, guarda che ce l'ha come tutte le altre... E poi le piace il calippo!". 
E tutti gli altri compagni scoppiarono a ridere... 
A quel punto non ci vidi più, e dalla rabbia stavo quasi per sentirmi male; quel maleducato stava mettendo in dubbio l'onore di mia cugina, e questo non potevo permetterlo.
Gli sferrai un cazzotto proprio a metà naso, rompendogli il setto nasale e facendogli uscire una gran quantità di sangue. 
Infine lo guardai mentre piagnucolava impaurito e gli urlai: 
- "Stai lontano da Blanca o te ne pentirai!". 
E mia cugina, ripreso coraggio, intervenne in prima persona, confermando a  muso duro quanto già io avevo messo in chiaro: 
- "Non provarci mai più... Noi siamo gemelli, e voi mocciosi non avete nessuna speranza...". 
Restai a bocca aperta e non riuscii a dire altro, ma mi sentii davvero orgoglioso di essere suo... Soltanto suo!


3. Il "battesimo dei Tati". 


Prima di andare avanti, c'è una cosa che voglio dirvi per spiegare bene a che punto era arrivato il nostro "folle" legane... 
Fin dai primi anni di vita, non si sa bene perché, a Blanca venne affibbiato dal padre un nomignolo  che poco aveva a che vedere con il suo vero e bellissimo nome, un nomignolo breve, conciso e quasi "neutro". 
Zio, cominciò infatti a chiamarla "Tati", e anch'io – per non essere da meno – presi a usarlo, anche perché effettivamente risultava più confidenziale, sia in casa che fuori, soprattutto quando volevo marcare con "gli altri" questa intimità senza però dare spiegazioni... 
Ebbene, Blanca restò "Tati" fino al giorno d'oggi, quando – ormai grande – solo io continuo a chiamarla in questo modo. 


Detto ciò, a quei tempi, un giorno che stavamo scherzando tra di noi, a un certo punto la mia gemella si rabbuiò in volto e mi chiese: 
- "Ma, se io sono Tati... Tu chi sei?". 
Non mi ero mai posto, prima, questo "problema", anche perché tutti mi avevano fino ad allora chiamato con il mio nome di battesimo per intero...
Avevo le sue mani strette sul mio petto quando sentii uno strano calore emanare da lei, e istintivamente mi venne di fissarla negli occhi come facevamo sempre nei momenti in cui necessitavamo di quello scambio di energia che proveniva dal di dentro.
Furono pochi istanti, ma a me parvero  un tempo infinito... E alla fine Blanca, con fare ieratico di una sacerdotessa, mi mise le mani sulla testa e proclamò solennemente: 
- "Va bene... Te lo do io un nome: ti  chiamerai Tato!". 
Ci abbracciammo di nuovo, poiché sentimmo che questi nuovi nomi ci avrebbero proiettato in una dimensione al di sopra e al di fuori del tempo, in una dimensione tutta nostra. 


Ma proprio in quel frangente così solenne sopraggiunse Maria Grazia, un'altra cugina con cui ci stavamo affezionando, sebbene a un livello inferiore rispetto al nostro pathos. 
Rimase in silenzio a guardarci, battendo nervosamente a terra il piede destro, fino a quando non riuscì più a trattenersi ed esplose in una ingenua domanda:
- "E io? Come mi chiamo?". 
Di scatto, ci voltammo nella direzione da cui proveniva quella vocina e la vedemmo a braccia conserte che attendeva una parola da noi... 
Allora, sciogliemmo l'abbraccio in cui eravamo ancora avviluppati per formare una sorta di catena con la nuova arrivata, mentre Blanca la "battezzo'": 
- "Sarai Tata! D'ora in poi, noi tre saremo i Tati!". 


Ho raccontato questo aneddoto, perché più avanti questa cugina, più piccola di noi, sarebbe divenuta l'unica depositaria – insieme a me – di una notizia incredibile.


4. Giochi "preliminari". 


Nei capitoli precedenti ho accennato come io e Tati stavamo crescendo senza il benché minimo senso della vergogna e del pudore, e così all'età di quasi 15 anni accadde ciò che prima o poi accade sempre tra un uomo e una donna...


Eravamo a casa degli zii, in una afosa giornata estiva. Avevamo giocato in giardino, quando a un certo punto arrivò la zia che ci disse: 
- "Forza, andate a lavarvi... Fatevi il bagno, che sembrate dei maiali...". 
Quel momento era sempre stato per noi fonte di giochi e – come ho già detto – di continue scoperte. 
I nostri corpi cominciavano a prendere quelle sembianze che presto ci avrebbero permesso di  spiccare il volo verso emozioni a noi ancora sconosciute.
Il mio membro si mostrava in tiro sempre più spesso, mentre Tati stava sviluppando due tette deliziose e sulla sua bella fichetta ancora vergine stava prendendo corpo una peluria che attirava la mia attenzione. Lei, sarebbe stata – da allora in avanti – il mio cliché di femmina perfetta... 


Purtroppo, però, con il crescere si era manifestata in me una forma non troppo severa di fimosi, e – visto che ci dicevamo tutto – Blanca ovviamente lo sapeva.
Allora, non c'era internet, e quindi non potevamo documentarci bene sul da farsi. I nostri familiari cominciavano a parlare di circoncisione, ma capitava  spesso che la mia "gemella" (a cui mi appoggiavo) si facesse valere: 
- "A me piace tantissimo così! Guai a chi lo tocca!". 


Una ragazzina che parlava di cose così "scabrose" e troppo più grandi di lei, faceva sorridere, ma insomma quel giorno seguimmo il suggerimento di zia.
Tati riempì la vasca da bagno, e in un  baleno ci spogliammo. Ci immergemmo entrambi, uno da un capo e l'altra dall'altro, in un tepore fantastico, e quel calduccio fece crescere la mia virilità, che emerse dal pelo dell'acqua come un periscopio di carne.
Peccato che il glande restò prigioniero e tutto ricoperto dalla pelle che lo strozzava letteralmente... Per la prima volta, davanti a Blanca estasiata, mi vergognai come un ladro, e cercai di coprirmi con le mani, mentre lei sghignazzava con quel risolino che mi ammaliava: 
- "Ma che fai, ti vergogni di me? Lascialo stare... Piuttosto, non credi che sia arrivato il momento di risolvere il problema?", mi disse... 


La guardai, e la sensazione di imbarazzo si trasformò presto in estrema fiducia, ed ebbi chiara l'impressione che sul mio basso ventre – nascosto da una coltre di sapone – si fosse posato qualcosa che mi dava un insolito piacere... 
La lasciai fare, finché non vidi la punta delle dita dei suoi piedini emergere dalla schiuma. 
Capii che mi stava massaggiando lo scroto, giocherellava con i testicoli, fino a che si gonfiarono tanto che  iniziò a farmi male tutto... 
Poi mi disse: 
- "Sai, ho deciso di prendermi cura di lui... Meglio io che quei macellai che ti vogliono fare la circoncisione, non ti pare?". 
E detto questo abbrancò l'asta con le sue estremità e cominciò a scoprire lentamente il glande.
Era bravissima, e – grazie anche all'effetto lubrificante del sapone – inizialmente non sentii alcun dolore, ma poi – quando la pelle giunse al punto più largo della cappella che si era ingrossata incredibilmente – si "incastrò". 
La Tati non demorse, e continuò a tirare verso il basso facendo molta attenzione... La pelle, infatti, era tesa allo spasimo, io strinsi i denti per non dirle che mi stava facendo male, e poi giunti a quel punto volevo risolvere una volta per tutte la questione...
Quando finalmente il prepuzio scavallò la corona del glande provai come una sensazione di qualcosa che tirava, e Blanca – con i piedi sempre ben serrati attorno all'asta – mi disse: 
- "Non muoverti, aspettiamo un poco che si abitua...". 
E così facemmo; poi, riprese a muoversi scorrendo verso l'alto, forzando di nuovo il "blocco" fino a ricoprire completamente, questa volta, la cappella...
Sapeva bene quale sarebbe stata la mia risposta, ma volle sentirmelo dire... Quindi, mi chiese: 
- "Ti ho fatto male?". 
Non era sadismo, ma ci conoscevamo alla perfezione tanto che sapevo che la mia "sentenza" sarebbe stata per lei una sensazione mentale difficile da descrivere... 
Perciò, risposi:
- “Fa un male cane, ma di te mi fido... Assolutamente!". 
Visibilmente soddisfatta, non replicò, ma riprese il suo lavoro... 
Tornò a scendere lentamente, e stavolta la pelle sembrò più elastica, tanto da superare l'ostacolo abbastanza agilmente. 
Continuò a tirare verso il basso, fino a scoprire la carne viva e a mettere in evidenza il frenulo che sembrava lì lì per cedere. 
E infatti le urlai, spaventato: 
- "Tati, così lo rompi... Per carità!". 
Si fermò, un pò spaventata anche lei, ma siccome non volevo crearle un trauma (lo aveva fatto per me, ed era la prima volta che "giocava" con un cazzo) e le ero assolutamente riconoscente, le presi le mani e la tirai a me. 
Lei flettè le ginocchia portando le gambe attorno ai miei fianchi, e solo allora le sussurrai:
- "Gemellina, non so come hai fatto ma sei stata bravissima...".
Ora toccava a me fare qualcosa per lei... 
Affondai il mio pollice sott'acqua alla ricerca della sua primizia, e quando  individuai la fessurina sentii Blanca che spontaneamente mi allargò le cosce...
Presi a spingere leggermente, ma avvertii una resistenza che – nella mia inesperienza – non mi aspettavo... La guardai negli occhi in modo interrogativo, come a domandare spiegazioni, e lei con estrema semplicità mi spiegò: 
- "Noi femminucce siamo fatte così... Sono ancora vergine... Ma non temere, quando sarà il momento sarai tu a entrarci per primo... Ci apparteniamo, ricordi?". 
E, come avevamo fatto tante altre volte, ci "accontentammo" di giocare come bimbi curiosi. 
Ma ormai eravamo pronti al grande passo...


5. Da fanciulli a uomo e donna. 


Ancora una volta, Blanca ed io ci eravamo aiutati in una cosa così importante, ma il "bello" doveva ancora venire... E arrivò dopo qualche mese. 


Era il giorno del nostro quindicesimo compleanno, il solito bagno insieme alla mia gemella dalla zia, quando stavamo finendo di asciugarci ed eravamo faccia a faccia. 
Il mio membro – ormai libero da quella "gabbia" fisica e mentale – rimaneva stranamente in tiro, tosto, e puntava deciso e "minaccioso" verso la Tati.
D'altra parte, quel giorno anche lei provava un particolare desiderio che la faceva bagnare tra le gambe, e così decise di rompere gli indugi... 


Mentre io ero seduto sul water e sopra pensiero, lei si voltò verso il lavandino dandomi le spalle. 
Poi mi disse: 
- "Tato, ecco il mio regalo di compleanno...".
Subito mi rattristai, poiché non avevo pensato a ricambiare, e glielo confessai candidamente: 
- "Oh Blanca, ma io non ti ho fatto niente...". 
Mi guardò ammiccante e mi rispose: 
- "Dici?".
Poi, divaricò di molto le gambe, reclinò il busto in avanti e poggiò i gomiti sulla ceramica in modo da spingere il culo in fuori e trovarsi praticamente a novanta gradi con gli arti inferiori. 
Fino a quel momento, il nostro sentire era stato quasi solo un fatto di testa e di cuore, ma non potei non restare imbambolato di fronte alla sua straripante bellezza, che avevo a pochi centimetri dai miei occhi e che stava fiorendo di giorno in giorno. 
A un certo punto, fu la sua voce a riscuotermi da quel torpore... Guardai nello specchio, e incrociai i suoi magnifici occhioni languidi e impazienti: 
- "Tato, è questo il regalo di compleanno che ci facciamo... Il grande momento è arrivato... Su, ho tanta voglia di te, facciamolo e non pensiamoci più!".
Anch'io la "volevo", non mi importava nient'altro, volevo donarle quella scintilla di me stesso che sarebbe esplosa dentro di lei, ma a quella sua richiesta fui colto dalla paura. Paura dell'ignoto o forse di deluderla... 
Ma Tati, come in ogni altra circostanza, "sentì" la ragione del mio timore, e mi rassicurò: 
- "Tranquillo Cla, è la prima volta anche per me; se non andrà bene oggi, abbiamo tutta la vita davanti...". 
Si aprì più che poté le natiche per mostrarmi la "via", e attese... 
Ma io tornai ad essere titubante. Blanca era già qualche anno che aveva le mestruazioni, e capii lucidamente che rischiavamo grosso... Le dissi: 
- "E se succede qualcosa? Non abbiamo il preservativo e tu non prendi la pillola... Non posso prometterti di riuscire a controllarmi...". 
Tati era eccitatissima, e non voleva rinunciare a quella "prima volta", ormai si era preparata mentalmente ed era al settimo cielo, percui ribattè stizzita: 
- "Tato, smettila con queste pippe mentali... Ci dicono sempre che non siamo normali... Ebbene, dimostriamolo! Noi-non-siamo-normali! Rinunceresti per così poco a ciò che abbiamo aspettato così tanto? Vedrai, sarà il destino a decidere per noi...".


Ormai non c'erano più scuse... Puntai deciso tra le sue labbra tenere, e spinsi... 
Una prima botta, e poi una seconda che mi parvero inutili... O io ero imbranato, o la sua fisiologia mi respingeva. L'imene pareva essere una resistentissima lastra d'acciaio... 
La strinsi per i fianchi (fu allora che cominciai ad apprezzare la prelibatezza conturbante di quel suo particolare anatomico) e ripetei il movimento, finché non feci breccia ed entrai... Finalmente! Fu così naturale, così bello, ma allo stesso tempo fu una cosa difficile da descrivere con le parole. 
Mollai la presa sui lombi di Tati per prenderla sotto i seni – come se dovessi sostenerli – e le bisbigliai all'orecchio: 
- "Ce l'abbiamo fatta, Blanca... Questa giornata resterà scolpita nella nostra mente per sempre... Sei stata fantastica, non lo dimenticherò mai...". 
Sentii anche, per la prima volta, i muscoli della sua vagina contrarsi e  quasi "stritolarmi", e di li a poco le venni dentro, sebbene mi fossi ripromesso di concentrarmi per non farlo... 
Non ce la feci ad uscire in tempo, o piuttosto fu lei ad impedirmelo, e le instillai nel ventre fino all'ultima goccia del mio piacere...
Pure Blanca era tremendamente infoiata, tanto che gridò con tutto il fiato che aveva in gola: 
- "Siiiiii... Sei mioooo... Sei tutto mioooo!".


Siccome erano già passate almeno due ore da quando ci eravamo chiusi in bagno per lavarci, la zia – sentendo mia cugina urlare a quel modo e profferire quelle parole – corse verso di noi, apri la porta e ci trovò con Blanca alla pecorina ed io ancora dentro di lei...
Sconvolta dalla scena, inferocita, si bloccò sull'uscio, e solo quando si riprese ci latrò dietro in spagnolo, la sua lingua madre: 
- "Santo Dios, ¿estás loco? Blanca, eres una puta... Sin pastilla y sin condón...".
Invece che cercare una scusa plausibile, io – che avevo sentito oltraggiare ancora una volta la mia gemella in quel modo – mi scagliai  nudo con veemenza contro di lei e le "sputai" contro tutto d'un fiato:
- "Abbiamo fatto la cosa più bella e naturale... Se abbiamo sbagliato, devi prendertela con tutti e due... Non  toccarla e non chiamarla in quel modo!". 
Per la prima volta in vita sua, Blanca – che era sempre sollecita a difendere le nostre comuni ragioni – ammutolì. La madre si era spinta troppo oltre ad indagare nella nostra intimità, in quel "castello dorato" nel quale non sarebbe dovuto entrare  nessuno... O forse era anche un pò di vergogna, poiché quella donna aveva curiosato nella nostra sessualità che proprio in quegli istanti era sbocciata...
Comunque sia, alla fine ritrovò il coraggio e disse anche lei la sua: 
- "Te molesta porque nunca has podido separarnos y ahora estamos creciendo... Bueno, mira... Podría estar embarazada, y eso espero, al menos te resignarás... Tú He estado celoso de Tato desde el primer momento, pero ten cuidado...".


La sfidò con uno sguardo di fuoco, e poi ci stringemmo nell'ennesimo abbraccio da togliere il fiato; un abbraccio sfacciato come noi, e forte come se volessimo impedirle di strapparci l'uno all'altra...


6. La prima separazione non si scorda mai. 


Mia zia, indispettita, si voltò e uscì dal bagno sbattendo la porta tanto forte che tremarono gli stipiti. 
Nel mentre che stavamo ancora incerti sul da farsi, sentii come un solletico sul braccio, e girandomi dovetti constatare che era tutto bagnato... Blanca era in un mare di lacrime, e contagiò anche me.
Muto, sprofondai nei suoi occhi che erano la via diretta per la sua anima, ed ogni suo pensiero mi fu chiaro...
Con un filo di voce, tornò a parlare in spagnolo (così come faceva quando si arrabbiava con sua madre ma anche quando era  particolarmente spaventata):
- "No la conoces lo suficiente... Me temo, Tato, ella también es capaz de arrastrar a mi padre a su estúpida venganza... Prométeme que pase lo que pase, siempre seremos un solo corazón...".
Io, avevo imparato da lei un poco di quella lingua, e tentai di calmarla:
- "Ascoltami, zio non dirà mai nulla ai miei, perciò di questa storia lo sa solo lei... E finché ci sono io non ti succederà niente di male... Gemelli siamo e gemelli resteremo per sempre!".
Purtroppo, le mie speranze si rivelarono completamente sbagliate e ben presto la situazione precipitò...


All'epoca, io e Tati frequentavamo insieme il primo anno delle superiori, e ogni mattina io passavo da lei e insieme ci avviavamo verso scuola. Ebbene, la mattina dopo il "fattaccio", mi recai ad aspettarla al portone, ma lì trovai la megera (zia) che – senza tanti complimenti – mi allontanò dicendomi:
- "Vai, stamattina Blanca non viene,  non si sente bene...". 
Non era mai successo prima che me lo dicesse in quel modo tanto aspro; non solo: stavo per precipitarmi su per le scale fino alla sua stanza per sincerarmi di persona dello stato di salute della mia gemella, quando lei mi sbarrò la strada. 
Ero profondamente deluso, amareggiato, e fino impaurito: erano rare, infatti, le occasioni in cui io e lei non eravamo insieme, e anche gli insegnanti – che quella mattina notarono la "novità" – me ne chiesero la ragione... 
Per me, fu come rigirare il coltello nella dolorosissima piaga, fatto sta che ero distratto e non riuscii a seguire le lezioni, non vedendo l'ora di tornare a casa per avere notizie da lei stessa...


Ma quando tornai da scuola e giunsi sulla soglia, sua madre – senza il minimo tatto, anzi con uno sguardo da resa dei conti, come aveva ben previsto Tati – mi diede la brutta notizia:
- "Blanca è partita, l’abbiamo messa in collegio... Così non avrà distrazioni... Sarà meglio per te che pensi solo alla scuola...".
Se mi avesse sferrato un cazzotto alla bocca dello stomaco mi avrebbe fatto meno male. 
- "Ecco" – mi dissi –, "quella che stava male era solo una scusa, non voleva che la vedessi andar via!".
La odiai con tutte le mie forze, e con le gambe molli tornai a casa in lacrime, riferendo tutto quello che era successo ai miei familiari.
Non riuscii a mettere nulla sotto i denti, e vomitavo di continuo dal nervoso.
Era la prima volta in 15 anni di vita che non l'avevo con me, e lì capii davvero cosa significava quella parola con cui ci chiamavano da sempre: gemelli... Era come se mi avessero amputato un braccio, o una gamba, come se mi avessero privato dell'ossigeno...
Mi ammalai, e alla fine mio padre – che era apparentemente burbero ma buono come il fratello – andò a parlare con lo zio.


Da lui seppi che Blanca era stata messa in un collegio di suore nei pressi di Viterbo, e che anche lei era caduta in una depressione terribile. Da allora piano piano mi ripresi, con l’obiettivo preciso di organizzarmi per andare a riprendermela... 
La mia seconda passione (dopo lei, ovviamente) era la bicicletta, e una mattina marinai la scuola, di buon'ora inforcai il mio mezzo e cominciai a pedalare a più non posso verso il mio "sole". 
Nonostante la distanza, non sentivo la stanchezza, perché la mia ricompensa più grande si avvicinava... 


Una volta giunto sul posto, mi resi conto che avevo un'altro problema: come potevo "presentarmi", un ragazzino, un perfetto sconosciuto, e domandare di lei?
Nel mentre che cercavo di escogitare uno stratagemma, vidi che il portone dell'istituto si aprì e da esso uscì una lunga fila di bambine e bambini vocianti che si tenevano per mano, guidati da una monaca con un grande cappello. 
Non impiegai molto a riconoscere la mia dolce metà – sebbene fosse "mascherata" sotto una buffa divisa –, la quale quando mi vide si divincolò dalla compagna di fila e senza farsi accorgere mi corse incontro. Urlò, sorpresa:
- "Tatoooo! Tu non sei normale...".
Alludeva a quello che ci dicevano sempre i grandi, ma io badavo solo ai suoi grandi occhi, alla sua vocina e al suo sorriso che mi erano mancati così tanto.
Come sempre accadeva, ci capimmo con il solo sguardo e senza dover aprire bocca...
Dopo quasi due mesi di lontananza, capimmo che non era cambiato niente, e che volevamo una sola cosa.
Così Blanca mi prese per mano e ce ne ritornammo verso il collegio... 
Mi fidavo assolutamente di lei, ma non riuscii a trattenermi dall'esclamare: 
- "Sei matta? Vuoi andare in collegio?". 
Ma lei mi disse:
- "Tranquillo, e lascia fare a me...".
Entrammo per una finestrella priva di grate che veniva sempre lasciata aperta, e da lì mi condusse su per delle scale dinanzi a una porta chiusa. Mi guardò, sorniona, girò la maniglia ed entrammo in una stanza buia.
Non si vedeva nulla, sopratutto quando lei chiuse la porta a chiave.
Quando però, finalmente, accese la luce tutto mi fu chiaro. Con una dolcezza che non ricordavo, mi domandò:
- "Hai capito adesso?".
Avevo capito, eccome, ma replicai:
- "E se ci scoprono?".


Ma avevamo troppa voglia l'uno dell'altra per preoccuparcene, e cominciammo a spogliarci...
Mi parve ancora più bella del solito, e quando fu completamente nuda presi a sfiorare quel corpo di giovane femmina dalla testa ai piedi.
Sotto le mie mani tremanti, scorrevano le carni di quella creatura con cui ero nato, e una solitaria lacrima d’emozione rigò il mio viso. 
Tati fece la stessa cosa con me, e si fermò sul pene, ricordando quella sera in cui mi aveva sciolto dai miei "impedimenti"... 
Ci strusciammo l'uno sull'altra, compulsivanente, scambiandoci un calore familiare, e infine Blanca mi esortò: 
- "Su, non perdiamo tempo... Stavolta sarà tutto più facile...". 
Poi, come se avesse l'impressione che io dubitassi di lei, si affrettò a rassicurarmi: 
- "Guarda che non mi ha toccata nessuno dei ragazzini che sono qui... Mi sono conservata apposta per questo momento".
Oh, misericordia!, quell'idea non mi aveva nemmeno sfiorato... Crollai in  ginocchio dinanzi a lei, le baciai con sacralità la patatina, e feci di tutto per farle capire che le volevo bene come il giorno che siamo venuti al mondo:
- "Tati, lo so che sei pura come un giglio, non c'era bisogno che me lo dicessi... Lo sento, siamo gemelli o no?".
Superato questo imbarazzo, mi rialzai e fu lei questa volta a sedersi sul copriwarter, allargò le gambe mostrandomi la prima peluria che le stava crescendo sul monte di venere, e vergognandosi un po' mi disse:
- "La prossima volta cercherò un rasoio per depilarmi... Sai, qui non lo fa nessuna... E poi è stato tutto così inaspettato...".
Era fantastica che al solo guardarla il mio membro si drizzò con prepotenza. La presi per il busto, e le dichiarai:
- "Quanto mi sei mancata! Sai, tua madre, quando sei partita mi costrinse ad andare a scuola lo stesso... Non è stata colpa mia se non ho cercato di fare qualcosa...".
E lei:
- "Lo so, la conosco bene, e conosco bene anche te... Ma adesso sbrighiamoci, tra poco torneranno tutte dalla passeggiata e mi cercheranno... Sai, sono già la pecora nera del collegio... Ahahah...".
Così, piegai le ginocchia, e senza più esitare la penetrai a pelle. Niente preservativo e niente pillola, ma poco importava tanta era la voglia di possederci.
Non appena fui dentro, la sentii strettissima, e le parole che mi aveva detto poco prima sulla fedeltà nei miei confronti mi parvero assolutamente superflue...


A quei tempi ci piaceva farlo con estrema lentezza, percorrendo tutta la sua cavità dall'ingresso al collo dell'utero. 
Non ricordo più nemmeno quante volte affondai nella mia gemella, ma ricordo invece molto bene quello che accadde dopo...
Blanca, infatti, inaspettatamente, si tirò indietro sfilandomelo dal suo ventre.
Provai una delusione cocente per questa sua scelta che valutai come la "fine dei giochi", ma lei mi indicò palesemente il suo buchino più stretto, e con gli occhi sbarrati dalla libidine più estrema mi spronò:
- "Cla, visto che c'è ancora un pò di tempo, dobbiamo fare anche questo passo...".
Ci mancò poco che mi prendesse un colpo... Fino ad allora per me scopare voleva dire solamente la penetrazione per via vaginale, e le urlai quasi inorridito:
- "Oh no, Tati, no... così ti faccio male, non chiedermelo ti prego!!".
Ma lei fu irremovibile, e mi rispose con risolutezza:
- "Se ti rifiuti, vuol dire che in fondo non siamo proprio gemelli... Devi conoscere tutto di me... Non si può farne a meno...".


A quelle parole crollarono tutte le mie resistenze, e mi decisi ad assecondarla fino alla fine.
Ascoltai bene le sue "istruzioni", e bagnai il suo stretto sfintere con tanta saliva; le venne da ridere, perché quei massaggi le facevano il solletico, mentre io ci presi confidenza e piano piano misi dentro prima uno e poi due dita, indice e medio.
Mi guidò:
- "Adesso fermati un pò, così si allarga bene... Dopo di che, comincia a farle girare come se dovessi avvitare qualcosa...".
Obbedii diligentemente, e mi resi conto che aveva proprio ragione. La stretta iniziale aveva ceduto, e le dita si potevano muovere abbastanza comodamente.
Intanto, il tempo passava, e dovevamo deciderci... Così Blanca ordinò il passo successivo:
- "Bene... Sei stato bravissimo... Ora, però, togli le dita e inculami davvero... Senza paura, piano, ma stai tranquillo, vedrai che sarà ancora più bello che davanti... Siamo due porcelli, ma a noi ci piace, vero?".
Titubante nonostante i suoi consigli, appoggiai la cappella a quel forellino che mi pareva restringersi, e feci un pò di forza.
Contrariamente alle mie aspettative, mi accolse senza troppa fatica, esattamente come mi aveva accolto la sua padrona quando ci eravamo ritrovati, e cioè con piena disponibilità e pronto a darmi tutto il meglio di sé...
Mi inserii un altro poco, finché non giunsi alla corona del glande, e li tutto si bloccò. Tentai di proseguire, ma la mia fimosi cominciava a farsi sentire di nuovo, e il filetto stirato allo spasimo mi faceva male...
Non volevo deludere Tati, e quindi – ignorando le fitte di dolore – ripresi a spingere finché, giunto alla massima dilatazione, lei non emise un urlo:
- "Ahiiiiii... Bruciaaaa...".


Erano tre ore che stavamo chiusi in quella stanza, e all'improvviso la porta si aprì. 
Nella foga del momento, forse Blanca non aveva dato le mandate di chiave, e davanti a noi si materializzò una suora monumentale che – vedendo la scena – si portò una mano alla bocca dallo sgomento.
Intanto, anche questa volta io ero ancora dentro, con il mio membro nel suo ano fino alle palle, mentre lei – beffandosi di quella presenza indiscreta – si toccava freneticamente il clitoride per godere meglio.
La reverenda madre, era stata messa sulle nostre tracce dalla spiata di un ragazzino che aveva provato un approccio "sentimentale" nei confronti di mia cugina ma da cui era stato drasticamente respinto...
Ci guardò, prima l'uno e poi l'altra, e infine si lasciò andare:
- "Oh, Maria Santissima... Sorelle, presto, correte... Madre Superiora!".
E si segnò ripetutamente con il segno della croce, come fosse in presenza del Maligno...
In un attimo, attorno a noi si ritrovò riunito tutto il collegio.
Blanca, si faceva gioco di quei falsi perbenisti dei professori, che in fondo avrebbero voluto con molto piacere unirsi a noi e che guardavano con cupidigia il suo bellissimo corpo, ed io – non riuscendo più a trattenermi – le sborrai nel retto...
Tutto era finito, o forse stava solo per cominciare...


Infatti, mentre io – ripresa la bici – stavo tornando mestamente a casa, la direttrice chiamò Tati e le disse:
- "Ma ti rendi conto? Sei lo scandalo della scuola... Farò chiamare tuo padre, insieme a quell'altro delinquente del tuo amico...".
Ma Blanca, risentita, non si lasciò per niente intimidire da quella prospettiva, e prontamente tenne botta:
- "Intanto non é un amico ma è il mio gemello, ma questo lei non lo può capire... E poi non è un delinquente, perché non abbiamo fatto nulla di male a nessuno... Noi siamo una cosa sola, e ne lei ne nessuno potrà mai farci nulla! Ci amiamo, tutto qua...".
Così, qualche giorno più tardi io, lo zio, la zia e Tati ci ritrovammo nell'ufficio della Madre Superiora. La quale esordì:
- "Caro brigadiere (zio infatti era nell'arma dei carabinieri), mi ha portato un diavolo in collegio, un diavolo! Pensi che l'ho sorpresa a fornicare con quell'altro demonio laggiù... E anche contro natura!".
A quel punto, Blanca si voltò verso di me (che ero alle sue spalle) e mi fece un sorrisino, strizzandomi l'occhio, come a indicarmi che tutto procedeva secondo il suo piano...
Quando poi finalmente la monaca ebbe terminato il suo sproloquio, fu la volta della zia a parlare:
- "Madre, io non so che dire, questi sono due pazzi... Posso solo domandare scusa a tutti... Lui (e indicò a me) è il meno colpevole, si fa sempre trascinare da questa – mi scusi la parola – puttanella da strada...".
Lo zio, a sua volta, attese con pazienza lo sfogo della moglie, e cercò come sempre di limitare i danni a nostro favore:
- "Vede, Reverenda Madre, sono ragazzi... Suvvia, che sarà mai stato... Saranno stati in preda a una tempesta ormonale... E' l'opera della natura, altro che diavolo: maschio e femmina li creò, ricorda?".
E concluse con una frase che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato:
- "Non mi dica che lei non l'ha mai fatto...".
Era palese che quella era una frase studiata, tanto che poi guardò la figlia scambiando con lei un'occhiata di complicità. 
A quel punto la religiosa, che aveva cercato di ottenere dallo zio una punizione esemplare per entrambi in cambio della permanenza di Blanca in collegio, balzò in piedi e in modo perentorio sentenziò:
- "Bene... Se è così, la ragazza non può più restare con noi... È fuori, riportatevela a casa!".
Era esattamente ciò che volevamo più di ogni altra cosa; certamente lo volevamo io e Tati, ma forse anche lo zio che – fin dall'inizio di quella assurda vicenda – non avrebbe voluto separarci.


Erano stati solo pochi giorni di lontananza, ma per noi si era trattato della più grande "tragedia" della nostra ancor breve vita...
L'unica ad averci perso la faccia era stata la zia, incapace di provare amore e compassione per la figlia e incapace di voler rimediare a un suo errore...


7. Ritorno a scuola.


Finalmente potevamo riprendere la nostra vita di sempre, a scuola ma soprattutto fuori, in casa, nella sua cameretta che era diventata la nostra stanza "a luci risse", la nostra alcova  dove – cosa importantissima – sua madre non metteva più piede...
Ma il "pericolo" era sempre in agguato, perché sarebbe bastato che mio padre fosse venuto a sapere di quell'increscioso "incidente", che la nostra ritrovata armonia sarebbe andata in mille pezzi.


In mezzo ai nostri compagni di classe, mostravamo una maturità che loro non avevano ancora, eravamo diventati una coppia a tutti gli effetti, ci tenevamo per mano, pomiciavamo tranquillamente durante la ricreazione, fin tanto che – nell'anno che ci avrebbe portati all'esame di stato – ci trovammo a fronteggiare un'altro episodio che non avevamo calcolato...


Avevamo 19 anni, e Tati stava sviluppando alla grande, trasformandosi in una splendida farfalla: biondina con occhi color nocciola, non molto alta (1 metro e 65 cm. come me), fianchi abbondanti, un culone che ormai da un pezzo non passava inosservato, pancino leggermente accennato e due cosce da sballo che sopratutto d'estate si lasciavano ammirare da tutti, facendo letteralmente esplodere i miei ormoni e la mia gelosia di gemello...
Per di più, ai "piani alti" aveva delle tette incredibili, una quinta più o meno che nessun reggiseno riusciva a contenere adeguatamente, delle areole infinite e capezzoli che spingevano prepotenti su ogni tessuto che indossava...


Ebbene, con un fisico così, non passava giorno che qualche compagno, con una scusa qualsiasi, le si strusciasse addosso, cosicché io dovetti trasformarmi nella sua "guardia del corpo" personale per impedire certe sconcerie.


Una volta, però, uno di questi "galletti" si fece più ardimentoso del solito, e – mentre io ero stato appositamente distratto da un suo "compare" – le si avvicinò e le disse:
- "Ehi, bambola, non credi che è arrivato il momento di collaudare quei galleggianti?".
Tati non aveva certo bisogno di essere difesa e non le mancava la risposta pronta, e infatti gli rispose:
- "Tranquillo, che ho il mio collaudatore... Non mi serve uno alle prime armi che non mi saprebbe neanche far godere... Pensa a studiare che forse ti riesce meglio!".
Ma quello non si diede per vinto e tornò alla carica:
- "Non sai che ti perdi, troietta...".
Purtroppo per lui, io ero a breve distanza e avevo sentito tutto, tanto che in un passo gli fui alle spalle e lo afferrai alla stessa maniera in cui un puparo afferra una marionetta:
- "Tu, piuttosto, stai tranquillo che non ti perderai proprio nulla", gli urlai inferocito.
Aveva dato della troia alla mia gemella, nessuno se lo era mai permesso e quella bravata non potevo assolutamente lasciarla impunita.
Alzai il ginocchio e lo colpii proprio in mezzo alle gambe lasciandolo senza respiro. Non gli diedi tempo di  riprendersi e continuai a colpirlo all'impazzata, sulla mascella, il mento, l'orecchio, finché non giunse un insegnante a dividerci e mi cacciò dalla classe.
Stavolta, era il turno di Blanca correre in mio aiuto. E, una volta tornata la calma, si avvicinò alla cattedra e spiegò al professore:
- "Non è giusto, Prof, mio cugino mi ha solo difeso, ha difeso il mio onore che lui aveva infangato: mi ha chiamata troia!".
Ma quello non volle sentire ragione... Tati allora se ne tornò al suo posto sibilando tra i denti:
- "Mierda, te he visto babear en mis pechos cuando estoy cerca de ti...".


Fui sospeso per una settimana, io avevo sbagliato, ma ad essere "punita" fu ingiustamente anche lei...
Non una punizione qualunque, ma una brutta vendetta di mia zia che non aspettava che l'occasione per saldare definitivamente il conto con entrambi. Una vendetta dal sapore di medioevo, ma che sarebbe stata molto peggiore di quella dell'altra volta...


8. Questo matrimonio s'ha da fare. 


Era già da tempo che la zia stava meditando sul futuro di Blanca e andava dicendo (tra il serio e il faceto) che era ormai in età da marito.
- "Ma un marito serio, con la testa sulle spalle, non uno scavezzacollo come te", mi diceva sempre quando capitava il discorso...
Tati, ovviamente, non vedeva che me, come io non vedevo che lei, e le rispondeva sprezzante:
- "Nacimos juntos, y juntos será nuestro futuro... ¡Así que resígnate, mamá!".


Un brutto giorno, però, con uno squallido stratagemma – molto peggiore di quello di quando la spedì in collegio – le fece credere che sarebbero andate a trovare una parente in Colombia...
La zia prese Blanca, fece le sue valigie e con l'auto la condusse in aeroporto, ma anziché dirigersi verso i voli internazionali uscirono a prendere il volo per Verona. E lì la mia gemella capi immediatamente: sua madre l'aveva tradita, un'altra volta...
Non sapeva che cosa l'avrebbe aspettata, ma le venne un atroce sospetto, come un sesto senso. Così, puntò i piedi e piangendo le disse:
- "Basta de esta farsa... quiero saber a dónde vamos...".
Allora la madre, continuando a strattonarla per un braccio, non poté fare altro che confessarle la verità:
- "Una vez te dije que estabas en edad de casarte... Bueno, ha llegado el momento. Vamos a conocerlo. La ceremonia ya está programada para mañana. No, no digas nada, tu prima lo superará...".


E infatti, proprio in quei momenti, io sentii dentro di me una "voce", la solita voce pressante che mi diceva di cercarla, lei che era la mia perfetta metà.
Sentii che dovevo fare presto, prima che fosse stato troppo tardi... Lasciai perdere ogni cosa e mi ci buttai a capofitto, bussai alla sua porta fino a spellarmi le nocche delle dita, ma non trovai nessuno: zio era al lavoro, mentre quella strega mi stava "rubando" la mia gemella per la seconda volta in pochi anni...


Blanca, intanto, come una bimba riottosa, si mise a scalciare, buttandosi a terra; urlava così forte che per poco non attirò l'attenzione della Polizia aeroportuale. Scampato il pericolo, la zia la schiaffeggiò ripetutamente e le intimò:
- "No seas tonto, ten cuidado que si lo vuelas todo te arrepentirás...".
La mia gemella parve rassegnarsi, ma era solo una tregua momentanea...


Il viaggio fu tranquillo, e una volta sbarcate trovarono ad attenderle un uomo che pareva un gigante.
Più si avvicinavano, e più Tati aveva il cuore in gola che le batteva all'impazzata... Pensò, tra sé:
- "Dio mio quant'è brutto! Questo è un vero incubo... Non può essere vero... Ditemi che sto sognando... Diciannove anni con Tato e ora? È lui il mio destino, non questo...".
Giunte dinanzi a lui, l'uomo salutò la zia cercando di sembrare un essere civile, e questa ricambiò unendo la sua mano con la mano di Blanca, la quale stava per avere un crollo emotivo.
Anche di questo stato io ne ebbi una chiarissima percezione, come in telepatia, e svenni improvvisamente, proprio nell'istante in cui a Verona la mia gemella stava subendo la stessa sorte...


Firmino – questo era il nome del futuro sposo – soccorse prontamente la ragazza, e propose alla zia di portarla nella sua casa per farla riposare e riprendere i sensi. Quando si riebbe, Blanca si trovò davanti agli occhi ancora ciò che non avrebbe voluto vedere: quel maschio di quasi un metro e novanta per 100 kg di muscoli plasmati dal suo duro lavoro di camionista, pelato ma coperto di peli ispidi e ricci su tutto il corpo...
Al suo confronto, Tati sembrava  un fringuello appena uscito dall'uovo; era ancora scossa quando inaspettatamente quella montagna umana parlò:
- "Devi stare tranquilla, mia cara, perché d'ora in poi io mi prenderò cura di te...".
Detta così, più che una promessa rassicurante sembrava una minaccia da cui era impossibile sfuggire...


Tutto era pronto, e al momento stabilito un prete compiacente celebrò il rito senza fare tante storie. Mentre suo marito stava pronunciando la fatidica frase, lei rivedeva tutta la sua vita passarle davanti, e "vedeva" me, il suo gemello, che la cercava... Per poco non urlò, allungando le mani verso un fantasma inconsistente:
- "Tato, sono qui... Vieni a prenderni...".
Finita la cerimonia, la zia pareva soddisfatta, soprattutto perché aveva "sistemato" il suo "problema" che si trascinava da quasi vent'anni...
I novelli sposi accompagnarono in giornata la neo suocera all'aeroporto, perché aveva fretta di fare rientro a Roma, ma prima di lasciarsi Blanca sputò un'ultima stilla di veleno contro sua madre:
- "Lo pagarás, si yo tuviera que esperar mil años... Resígnate, esto es una farsa, quiero a Cláudio, y lo hice a toda costa... Él no se resignará, como lo hizo cuando tú me envió a un internado... Ellos nacen con él y con él dejaremos este mundo juntos...".


9. L'anello debole della catena. 


Intanto i giorni passavano, e con i giorni i mesi, e lo struggimento non ci dava tregua, ci stava consumando,  portandoci dritti verso un sicuro esaurimento nervoso. 
Ma quell'anno portò con sé un'altra prima volta: quella del primo compleanno – il ventesimo – "festeggiato" senza l'altra metà accanto, e tutto questo grazie alla perfidia di quella madre-matrigna.
A ciò si aggiunse anche quello speciale "sentire", percui io non riuscivo più a far nulla senza percepire palpabile la sua infelicità: era come se la vedevo, e ogni notte mi veniva in sogno con i nostri momenti più spensierati...
A un certo punto non ce la feci più e decisi di "attaccare" l'anello più debole della catena: lo zio.


Inizialmente cercò di sviare il discorso, ma poi anche lui ebbe un crollo emotivo e mi parlò con il cuore in mano:
- "Claudio, ascolta, Blanca mi manca anche a me moltissimo... La zia è ormai fuori controllo, sembra impazzita, vediamo di aiutarla noi due... Ma dobbiamo andarci piano, perché uno sbaglio potrebbe essere fatale per tutti. Ora ti dico una cosa, ma nessuno deve sapere che te l'ho detta: la tua gemella è a Verona, dove quella pazza l'ha fatta sposare, ma contro la sua volontà, quindi credo che il matrimonio potrebbe tranquillamente essere annullato... Ad ogni modo, sarà più facile per te ritrovarla... Vai e fammi sapere".
Restai attonito per quella notizia così terribile. Non potevo crederci, le nostre speranze di una vita insieme erano andate in pezzi... Replicai:
- "Ma come ha potuto fare una cosa tanto cattiva? È un mostro... E adesso, cosa posso fare io?".


Lo zio non mi disse più nulla, ma mi fornì l'indirizzo, ed io non persi tempo e decisi di scriverle immediatamente...
Anche quello era un rischio: E se la lettera fosse finita nelle mani del marito? Ma dovevo farlo, ora o mai più... Non potevo vivere il resto della mia vita nel rimpianto di non aver lottato per riprendermela. In una parola, non volevo vivere senza di lei... Presi carta e penna e buttai giù ciò che mi diceva il mio cuore:
- "Cara gemella, vita mia, sangue del mio sangue, come vedi anche questa volta tua madre non è riuscita a strapparci dai nostri cuori come avrebbe voluto. Siamo nati in un solo respiro, e senza di te mi manca l’unico motivo per andare avanti... Non ti chiedo come stai perché già lo so, e perché anch'io sto allo stesso modo. Per la seconda volta in pochi anni ci ha separati fisicamente, e non nascondiamoci che stavolta sarà dura, molto dura tornare insieme... Ho saputo di quello che ti è successo solo pochi minuti fa da zio, al quale manchi quanto manchi a me. Ma è possibile che ci capiti tutto questo? Spero solo che tuo marito almeno ti rispetti come meriti, ma ciò non cambia per me le cose. Ci dobbiamo vedere, a tutti i costi, fammi sapere come è meglio, ed io ti raggiungerò anche in capo al mondo. Stanne certa, il tuo Tato non ti abbandonerà mai".


E dopo circa una settimana ricevetti la sua risposta... Trepidante, mi chiusi nella mia cameretta e cominciai a leggere:
- "Tato mio, è difficile mettere insieme le parole senza piangere, ma voglio innanzitutto dirti grazie. Ero certa che prima o poi saresti venuto a cercarmi, e non voglio mentirti; perciò, ti dico che questa tua "presenza" mi fa sentire meno sola. In questi primi tempi, Firmino – mio marito, pensa che nome ridicolo – mi ha costretta a quelli che lui chiama "doveri coniugali". Mi ha fatto fare di tutto, ma senza quella dolcezza che c'era tra di noi... Questo macigno, mio caro gemello, lo dovremo portare da soli: non dire niente a mio padre, che se lo sapesse ne morirebbe dal dolore. Insomma, se questo è l'inizio, credo che non potrò resistere per molto... Ma ora veniamo al lato positivo; non so se te lo hanno detto, mio marito fa il camionista, e in questo periodo sta lontano da casa dal venerdì al martedì successivo... Anch'io credo che dobbiamo vederci, toccarci, respirarci... Devi venire SUBITO da me, e quando ciò avverrà sarai per tutti (come poi è) "solo" – che Dio, che ci ha fatto nascere insieme, ci perdoni – mio cugino. Sento un immenso bisogno di te... Pensa: potremo stare insieme per tutto il fine settimana! Ti aspetto con ansia e ti abbraccio, tua Tati per sempre".


10. Viaggio dentro noi stessi.


Lessi quelle parole con affanno, e quando raggiunsi l'ultima parola avevo anch’io gli occhi annebbiati dalle lacrime. 
Non potevo crederci, la "mia" Tati nelle mani di uno che la stava trattando per il suo sollazzo personale, mentre io ne avevo sempre fatto la mia regina e tremavo persino a toccarla quando "facevamo coccole"...
Parlai, la sera stessa, sotto il vincolo del segreto, a mio padre e mia madre, e gli comunicai che presto sarei partito per Verona, e nel frattempo lavorai come commesso in un supermercato di zona per guadagnarmi i soldi necessari.
Qualche giorno prima della partenza, le scrissi un telegramma:
- "Ci vediamo Venerdì. Aspettami in stazione alle 15,00".


E finalmente giunse il "gran giorno". Di buon mattino, salii in treno. Fuori dal finestrino, scorrevano città, paesi e campagne, ma dentro di me sentivo il cuore scoppiarmi di gioia. Una gioia che cresceva con l'avvicinarsi della meta...
Non dovetti attendere di scendere dal treno per cercare Blanca, poichè i nostri sguardi si appuntarono l'uno nell'altro, come frecce, già mentre il treno ancora non si era fermato: io affacciato al finestrino, e lei immobile sul marciapiedi.
Mi feci largo a gomitate fino alla porta del vagone, mi precipitai giù, e finalmente ci abbracciammo. Un abbraccio che mi sembrò eterno, mentre le nostre mani volteggiavano impazzite sul viso dell'altro, a sincerarsi che non si fosse fantasmi ma che eravamo davvero noi due in carne ed ossa...
Tutto intorno, il caos dei viaggiatori in arrivo e in partenza per noi era inesistente, ovattato, come chiuso in un acquario.
Poi cominciammo a baciarci, e al diavolo quel cornuto del marito e il rischio di essere scoperti: d'altronde, era stata la zia a volerlo, e Firmino non poteva comprare con i suoi soldi la felicità di una creatura che voleva invece me. Quella felicità che, invece, traboccava infinita dai nostri cuori...
Ci ritrovammo mani nelle mani, e solo allora Blanca mi disse:
- "È stato terribile, Claudio, credimi... L'altra nostra separazione è stato un gioco, solo un brutto gioco al confronto... Quel tradimento improvviso... E tu, che non sapevo come fartelo sapere... Ma ora non pensiamoci più, andiamo a casa che ti devo dire molte altre cose...".
Non ci togliemmo gli occhi di dosso per tutto il tragitto, e quando giungemmo alla villetta dove abitava aggiunse:
- "Lo vedi? Qui tutto mi ricorda il villino dei nostri anni più belli... Come potevo dimenticarti?".
Ed io: 
- "Neanch'io, nemmeno per un momento, ti ho dimenticata Tati; ho vissuto, sebbene da lontano, ogni tua angustia, ogni tuo passo nel buio del cuore... Ed eccoci qui, più forti di tutto e di tutti... Perchè NOI SIAMO GEMELLI...". 
Blanca mi sistemò nella stanza degli ospiti, dove c'era solo un lettino singolo, ma a me andava benissimo così... Per lei e con lei avrei giaciuto pure su un letto di chiodi! 
Mi sedetti sul materasso, mentre lei mi si accovacciò davanti, stringendo con entrambe le mani la mia gamba sinistra come fosse una bambola nelle mani di una bimba spaventata.
Eravamo di nuovo "i gemellini" che 20 anni prima erano venuti al mondo insieme e che avevano lottato contro il mondo intero... Perché, ora, non avremmo dovuto farcela?
Parlammo per ore, fino a quando non sopraggiunge la sera.
Stanchi, ma sopratutto stressati psicologicamente da quella giornata che era stata tanto impegnativa, decidemmo di andare a dormire. 
Blanca mi salutò dandomi un bacio sulla guancia, e si chiuse la porta alle sue spalle. 
Ma quella notte non riuscii a chiudere occhio, mi girai e rigirai sotto le lenzuola, e alla fine – solo verso mattina – crollai dal sonno...
Nel grande lettone matrimoniale, nella stanza accanto, anche Tati aveva vegliato, e come se si rivolgesse direttamente a me, pensò:
- "Sarebbe meraviglioso se mi possedessi come l'ultima volta... Ti voglio... Tutto per me!".


Fu allora che si decise. Scese dal letto, e indossando una vestaglietta trasparente, scalza per non fare rumore, aprì la porta dove stavo riposando...
Quatta quatta si accostò al letto con sotto solo un paio di slip, sollevò il lenzuolo, e vide che stavo nella mia posizione preferita, a pancia sotto. 
Lasciò cadere la vestaglia e mi si adagiò sopra, sollevando la gamba destra sui miei fianchi fino ad assumere la "posa dell'incubatrice"...
Ansimava leggermente per il timore che mi svegliassi, e infatti – sentendo uno strano calore e un peso insolito gravare sulle mie spalle – aprii gli occhi.
Non mi ci volle molto a capire di cosa si trattava, ma non volendo rompere quell'incantesimo feci finta di dormire.
Era eccitata, e i suoi capezzoli che strisciavano sulla mia schiena mi scatenarono un brivido, e d'istinto sussurrai:
- "Tati, non sei cambiata per niente, peccato che tuo marito...".
Dopo di che restai muto, ma sentii come una sorta di solletico sull'occhio destro... Erano le sue labbra carnose che si erano accostate, e che –  rispondendo al mio disappunto – mi dissero:
- "Mio marito, non c'è... Ci siamo solo io e te, con la nostra voglia... Su, fammi sentire quanto mi vuoi...".
Finito che ebbe di parlare, sollevò il busto e scorse lungo le mie gambe. Durante tutto quel movimento, percepii un brivido: la sua fica rilasciava sui miei polpacci come una lunga scia di umori...
Blanca era davvero eccitata, e allora mi voltai e mi ritrovai davanti agli occhi uno spettacolo che mi fece impazzire: la mia gemella con le mani poggiate sulle cosce, ansimava sempre più forte, e le sue tettone si sollevavano e si abbassavano ritmicamente, mentre quel movimento metteva in bella vista sui  suoi fianchi delle meravigliose maniglie dell'amore che non potei trattenermi dall’afferrare con bramosia.
Ero in uno stato di quasi ipnosi erotica quando la sua voce mi fece ritornare in  me:
- "Beh, cosa aspetti? Sei venuto fino a qui solo per guardarmi? Il tuo amico giù in basso non è mica d'accordo!".
Abbassai lo sguardo, e notai che effettivamente il cazzo stava spingendo con insistenza da sotto il tessuto delle mutande; e Tati – dopo aver emesso un profondo respiro dalle narici come un toro nell’arena pronto per la corrida – riprese:
- "Uffa, devo fare tutto io...".
In realtà, era quello che le piaceva fare: afferrò il mio slip e con fare volitivo me lo strappò di dosso. Fece un fischio alla pecorara, e poi continuò:
- "Caspita che bello!, Tato io non resisto, l’ho aspettato per troppo tempo, e ora mi sento impazzire...".
Mi salì sopra e le sue grandi labbra si aprirono per andare ad avvolgere l’asta del mio cazzo. Poi se lo fece entrare in profondità e prese a cavalcarmi con veemenza.
Era un diavolo di femmina che mi faceva stare bene, e quando meno me lo sarei aspettato compì per me  l'ennesimo gioco di prestigio...
Si massaggiò furiosamente il clitoride, e dopo un pò lasciò partire uno schizzo impetuoso che mi finì dritto in faccia.
Era la prima volta che squirtava, ed aveva un sapore magnifico.
Con il respiro corto mi disse sorridendo:
- "Me lo ha insegnato mio marito... L'unica cosa buona che ha fatto...".
Spossata, si lasciò cadere di spalle e ci ritrovammo compenetrati l’uno nell’altra nella tipica posizione della farfalla; allora, la presi da sotto le ginocchia e cominciai a scoparla in quel modo, finché sentii sopraggiungere anche il mio orgasmo. Le urlai:
- "Blanca, fammi uscire, vengooo...".
Ma lei non ne volle sapere, e stringendo i muscoli pelvici mi bloccò così e mi disse:
- "Sei matto? Voglio tutto di te dentro... Al diavolo quello che succederà! Non lo dimenticare mai: noi ci apparteniamo fin dal primo istante, alla faccia di mia madre e di Firmino...".
Sborrai anche l'anima, tanto era grande anche il mio desiderio di lei, mentre le prime luci dell'alba ci colsero in uno stato d’animo di pace assoluta.
Ci sdraiammo l'uno accanto all'altra, con le mie mani che le massaggiavano lentamente la pancia, le tette e la micetta... Volevo che i miei sensi se la imprimessero bene nella memoria, in modo da poter resistere almeno un'altra intera settimana lontani...


Il giorno dopo, Blanca ripeté lo stesso "rituale" notturno, ma stavolta mi feci trovare sveglio.
La aspettavo con ansia, e non appena arrivò mi si accucciò ai piedi del letto e mi pregò:
- "Inculami, stanotte...".
Era la prima volta che usava quella parola così cruda, ma in quel suono ritrovammo tutta l’intimità di quando mi fece entrare dietro la prima volta.
Il mio membro "rispose" lui a quella richiesta, andò in alzabandiera, ed io la possedetti per via rettale.
Piangendo, mi confessò:
- "Sai, Firmino mi ha rotto il culo, te ne sarai accorto... Glielo concedo raramente, ma lui è una bestia feroce... Tu, invece, mi piace come mi prendi...".
Fu in quel momento che mi dissi che dovevo portarla via da lì assolutamente…
Intanto, feci del mio meglio, e godemmo entrambi.
Ormai rilassati, mi ricordò di quando lo facemmo per la prima volta in collegio... Scoppiò a ridere in maniera convulsa, e poi me ne spiegò la ragione:
- "Pensavo a quando mi hai inculata e la suora ci ha sorpresi con il tuo coso mezzo dentro e mezzo fuori dal mio culo... Da morire...".


I giorni successivi furono – se possibile – ancora più intensi, ma ben presto la nostra "vacanza" giunse al termine.
Passammo da uno stato di grazia estremo ad uno di infinita depressione, che culminò nel momento in cui il treno lasciò la stazione di Verona e io vidi la sua figura che si allontanava e farsi sempre più piccola.
Sapevamo che dopo pochi giorni sarei tornato, ma ogni volta vivevamo uno strazio indicibile. Ci stringevamo quasi a toglierci il respiro, ci scambiavamo teneri baci, e io cercavo di consolarla prospettandole un futuro diverso:
- "Coraggio Tati, vedrai che presto  troveremo una soluzione; io non ti lascio sola, non ti lascerò mai più; e il cornuto e la megera non potranno farci nulla...".
Ma lei era un fiume di lacrime:
- "Oh Tato, portami via con te, se resto qui un altro solo minuto morirò di crepacuore... E tu non vuoi questo, vero?".
Con lei, in quei momenti, pareva che avessi chiaro cosa fare, ma purtroppo non era così, e di lì a poco accadde un fatto che avrebbe sconvolto ancora di più le nostre già fragili vite...


11. Verso l'ignoto. 


Quei fine settimana bollenti divennero – per circa tre anni – una costante che ci aiutava a tirare avanti. Ma, paradossalmente, ogni volta che eravamo costretti a lasciarci per riprendere le nostre vite senza senso di tutti i giorni, stavamo sempre peggio. Era come se non eravamo più noi stessi, eravamo svuotati, senz'anima e senza forze, dei fantasmi che si trascinavano da un giorno al successivo, senza un perché e senza dove…
Eravamo sì felici di incontrarci, ma già nel momento in cui arrivavo da lei all’orizzonte aleggiava il velo malinconico della ripartenza.


Finchè, una di quelle volte che ci stavamo preparando per "fare cose", ecco che il fato ci diede una mano, ed accadde ciò che avrebbe "liberato" la mia gemella, riportando (anche se solo temporaneamente) un pò di serenità dopo tutto quel patimento.
Come sempre, Blanca era venuta a prendermi alla stazione – bella e raggiante come il sole – ma  sapevamo in partenza che quel weekend avremmo avuto a disposizione solo due giorni d’amore e di sesso, perché Firmino sarebbe rientrato prima del previsto. 
A un certo punto, la sentii imprecare:
- "Nooooo... Non è possibile, sono proprio una stupida, sono finiti i preservativi!!!".
Corsi immediatamente da lei che mi ripetè:
- "Tato non ci sono più preservativi... La scatola è vuota... E qui non ci sono farmacie aperte a quest'ora... E io sono nel periodo peggiore, accidenti...".
Da quando, a 15 anni, avevamo cominciato a scoparci, sentivamo in quel gesto qualcosa di irrinunciabile. Figurarsi in quei giorni in cui avevamo bisogno più che mai di sentirci davvero "carne della nostra carne"...
Cercai perciò di riflettere e le proposi:
- "Beh, Tati, dobbiamo fare molta attenzione... Pensa se dovessi rimanere incinta, succederebbe un casino... Facciamo che per stavolta giochiamo a fare petting e a leccarci... Lo so, non è la stessa cosa, ma dobbiamo usare la testa...".
Ma Blanca rifiutò nettamente quella alternativa:
- "Tato, noi siamo gemelli, non lo dimenticare... E io non ce la faccio... Ti voglio sentire tutto fino al cervello, voglio sentire ogni vibrazione, ogni pulsazione... Tu no? Non abbandonarmi pure tu...".
Fu allora che capii quanto ero stato stupido, l’avevo offesa, e mi affrettai a correggere il tiro:
- "Io non potrei mai voltarti le spalle, di questo devi starne certa... Sarebbe come rinunciare a vivere... Ma allora, come facciamo?".
Provammo entrambi a cercare la soluzione più giusta, e alla fine lei tagliò corto:
- "Basta, lo facciamo con ancora più forza... E se fosse il destino che ci sta indicando la strada per liberarmi?".


E così, demmo libero sfogo ai nostri impulsi più intimi.
Io, in verità, non aspettavo altro, il sangue mi salì alla testa, ci spogliammo completamente l'un l'altra nel soggiorno, e come ogni volta iniziai a baciarla e a leccarla dappertutto come fanno i cani.
Lei ormai era una femmina fatta, uno schianto, e avevo voglia che ogni centimetro della sua pelle fosse ricoperto dalla mia saliva, e che le mie papille gustative mi facessero apprezzare come sempre tutto il suo sapore: il sudore delle sue ascelle, quello acre ma inebriante della sua passerina e persino del suo ano mi faceva sentire che lei era in piena ovulazione!
Leccai attentamente il rosone chiaro e stretto – nonostante la brutalità di Firmino – dello sfintere; poi risalii con avidità a cogliere le sue tette tra le mie mani, e che ogni volta mi sembravano sempre più grosse, fantastiche, e le mordicchiai i capezzoli.
In certi momenti non riuscivo a comportarmi con equilibrio, e affondavo troppo i denti, e lei mi diceva:
- "Ahi, Tato, così mi fai male...".
Lasciai la presa e scesi di nuovo tra le sue gambe, spalancandole, di modo che potessi "mangiarmela" tutta e "accarezzarla" con la lingua.
Blanca guaiva quasi dal piacere, e fuori di testa tornò a parlarmi in spagnolo:
- "No te detengas, por favor, ya falta poco... Efectivamente, dámelo, lo quiero...".
E, detto fatto, mi abbrancò – senza guardare – il cazzo per l'asta. Mi tirò su piano piano verso la sua bocca, lo baciò sulla punta del prepuzio, fece scendere la pelle fino a sotto la corona del glande, e cominciò a succhiarlo in apnea come un ghiacciolo...
Ogni tanto se lo usciva per respirare e dirmi:
- "Sei buono, non mi stancherò mai di averti così...".
Mi fece di tutto, e poi – quando la voglia stava per travolgerla – se lo avvicinò alla fessura delle grandi labbra... Mi bisbigliò, sempre sottovoce, come era solita fare in quei frangenti così intensi:
- "Ci siamo, Tato, stiamo rischiando tanto ma sono pazza di gioia... Entra, sono pronta ad accoglierti... Fino alla fine".
Feci un respiro profondo... Ero conscio che poteva accadere qualcosa di immensamente "pericoloso", ma lo volevo anch’io.
Eravamo nella più tradizionale posizione alla missionaria, e con le mie mani sui suoi fianchi infilai la punta fino a farla sparire completamente.
Poi mi fermai, la guardai, e lei mi sorprese con un gesto inaspettato: unendo le sue caviglie dietro ai miei lombi, mi strinse come in una morsa, facendomi scendere nel suo ventre fino a che i testicoli non sbatterono con violenza contro la sua fessura.
Aveva un volto raggiante, mi mise le mani sul petto e sorrise:
- "Adesso tocca a te, mio torello... e non ti fermare fino a che non avrai compiuto tutto il tuo dovere di maschio!".
Non so cosa mi prese, ma persi ogni reticenza e iniziai a spingere con tutta la forza di cui i miei reni erano capaci.
Il frenulo strofinava sulle pareti della vagina, e ad ogni affondo lo stimolo cresceva sempre più. Il mio basso ventre cominciava a contrarsi pericolosamente, e così tentai un estremo tentativo di farla ragionare:
- "Tati, lasciami uscire, manca poco... Non facciamo questa pazzia!".
Ma lei, infoiata, anziché mollare la presa strinse ancora di più i muscoli...
Lo fece per un riflesso incondizionato, forse non era più lucida come avrebbe dovuto essere, ma sta di fatto che le scaricai dentro tutta la mia virilità repressa di una lunga settimana...
Quasi contemporaneamente, pure lei ebbe un orgasmo, incredibile e potente...


Quando ci riprendemmo da quella bellissima cavalcata, realizzammo cosa avevamo fatto. La baciai come forse non avevo fatto mai, e poi le dissi:
- "Blanca, abbiamo fatto un casino...".
Si guardò, e mentre la mia sborra ancora colava fuori da lei, con lo sguardo perso nel vuoto mi rispose:
- "Credo che non abbiamo mai fatto l'amore con tanto amore... Abbiamo fatto la cosa più bella e più giusta... Ora lasciamo fare alla natura il suo corso...".


Restammo così ancora un poco, e quando mi resi conto che stavo per perdere il treno ci rivestimmo in fretta e furia e andammo in stazione.
Quando infine ci lasciammo, Blanca  mi strinse le sue braccia dietro al collo e non riuscì a tenersi tutta per se qual’era la sua speranza: 
- "Però, sarebbe bello un bimbo tutto nostro, eh?!".
Non risposi nulla, ma quel silenzio era più eloquente di mille parole...


Passarono alcune settimane in cui stranamente la mia gemella non si fece viva, e quando le scrivevo per chiederle un appuntamento per vederci, non rispondeva. Poi, improvvisamente, la "bomba"...


12. Gioia e disperazione. 


Fino a quel momento, ero stato quasi sempre io a scrivere a lei, per evitare che le sue lettere potessero essere intercettate da sua madre, la quale non sapeva che – grazie allo zio – avevamo ripreso a frequentarci come e meglio di prima.
Perciò, quando mi giunsero i suoi fogli, ne fui felice: finalmente Blanca mi dava sue notizie.
Iniziai subito la lettura:
- "Caro gemello, ho solo te al mondo di veramente importante e quindi scusami se ancora una volta scarico sulle tue spalle il peso di cui è gravato il mio cuore... Ricordi quando facemmo l'amore io e te, l'ultima volta? Bene, credevamo di essere soli ma in realtà non lo eravamo. Non so come, ma quel cornuto di Firmino doveva aver intuito qualcosa, e aveva fatto installare in tutte le stanze (questo me lo ha detto lui) delle telecamere. Insomma, tutte le nostre scopate se le è viste e riviste... È furioso non tanto perché lo abbiamo fatto – in casa sua e in sua assenza – ma perché ha saputo da me che facciamo l’amore insieme praticamente da sempre. Ha capito che ormai è lui ad essere di troppo, e ha chiesto la separazione... In una parola, il mio matrimonio è finito. Capisci?, è finito, e io sono di nuovo libera e completamente tua!!!! Ma c'è anche il risvolto della medaglia: se il mio ex marito non ha fatto scenate, indovina un po' chi è stata a dare di matta? Sì, proprio lei, mia madre... Pensa un pò, mi ha messa in mezzo a una strada, mi ha detto che una donna sposata non può tornare alla casa paterna... È un mostro, ma questo purtroppo lo sappiamo da tempo. Ora, sono tornata a Roma, ma non cercarmi, ti ho già dato troppe pene e non è giusto... Buona fortuna, mio dolce gemello, continueremo a "sentirci" come solo i gemelli sanno fare...".


Giunsi alla fine di quello scritto con lo stomaco sottosopra... La "mia" Tati, aveva voluto voltare pagina, anche con me.
Provai a battere tutti i centri di accoglienza, ma non ci fu niente da fare, di lei nemmeno l'ombra...
Non potevo parlarne con lo zio – che nel frattempo era stato trasferito in un piccolo borgo della sabina – per non tradirla, anche se effettivamente sapevo poco o niente, e così – disperato – mi rassegnai ad averla "perduta".
Iniziai una vita apparentemente normale, e mi trovai una ragazza con cui andai a convivere, ma non era la stessa cosa, e lei riempiva sempre il mio cuore...


13. Perdersi e ritrovarsi. 


La nostra storia stava assumendo le forme di un fiume carsico – che si inabissa per poi riemergere chissà quando e chissà dove –, noi che eravamo nati per rincorrerci, perderci e ritrovarci...
Così, mentre di Blanca non seppi più nulla, io andai a vivere in un posto senza pretese e di poche migliaia di abitanti, forse proprio quello che mi ci voleva per ricominciare...


All'inizio, la mia "occupazione" fu quella di cercare di conoscere e capire meglio i nuovi concittadini, e non conoscendo ancora nessuno passavo il tempo a bighellonare con il mio cagnolino (un volpino marrone e assai vivace, che abbaiava contro tutti gli altri cani che incontravamo) senza allontanarmi troppo da casa.
Poi, avvenne la cosa che confermò – se ce ne fosse stato ancora bisogno – la natura del nostro essere unici e indivisibili...


Era un giorno di inizio primavera quando – transitando nei pressi della antica Rocca – in uno spicchio di sole che cominciava a far capolino riscaldando l'aria, vidi lo zio.
Non volevo credere fosse proprio lui, ma avvicinandomi lo riconobbi. Era in divisa, ormai Luogotenente e Comandante della Stazione locale dell'Arma dei Carabinieri.
L'incontro, cominciò sul tragicomico... Subito, con fare indagatore proprio del suo ufficio, mi domandò:
- "Tu, che ci fai qui? Mi raccomando, eh, niente casini...".
Ed io, pur non capendo la sfumatura di quella frase così sibillina, gli risposi:
- "Veramente, ci abito da qualche mese con la mia compagna... E tu?".
Mi sorrise, sciogliendosi un poco e tornando ad essere lo zio che conoscevo da sempre, e mi disse:
- "Eh, veramente dicono che sono il comandante di qui...".
Ci mettemmo a ridere, ma immediatamente dopo – come per un'intesa – ci rabbuiammo simultaneamente in volto.
Quell'incontro, aveva riaperto per entrambi una ferita ancora sanguinante e mai rimarginata, il pensiero di lei... Infatti, fu lui a domandarmi, a bruciapelo:
- "La pensi ancora, vero? A volte credo che se non fossi stato così pavido, a quest'ora sareste felici insieme...".
E poi, come per una sorta di risarcimento morale, mi chiese:
- "L'hai già vista?".
La mia reazione a quella domanda, che era già quasi una implicita affermazione, mi fece capire che il mio "cuore" non doveva essere lontano, e ciò che provai fu la inequivocabile riprova del fatto che non ero riuscito a dimenticarla neanche un poco.
Mi indicò – senza parole, ma con un vago cenno della testa – una casetta del centro storico non molto lontana dal suo ufficio e dalla mia, e mi disse:
- "È là... Vai, ti sta aspettando da tanto, troppo tempo... Non ha mai smesso di aspettarti... Tutto sommato, il fallimento di quel matrimonio che solo quella pazza di mia moglie ha voluto è stato la sua liberazione... Non ha avuto cuore di cercarti per non mettere in crisi pure la tua relazione. Ma adesso non perdere altro tempo... Fai quello che ti senti di fare…".


Non gli diedi modo di dire altro. Mi misi a correre per quel breve tragitto, incurante delle macchine che venivano in senso contrario, e alzando lo sguardo la vidi affacciata in balcone a telefonare...
Anche se la conoscevo da sempre, considerai, tra me e me:
- "Mamma mia quant'è bella!".
Sì, era proprio splendida... Indossava una maglietta bianca sottile e aderente che metteva in risalto il suo seno, e sotto un calzoncino corto rosso esaltava due cosce da urlo. Ecco, era da qui che tutto sarebbe ricominciato: le sue cosce!
La chiamai con tutta la voce che avevo in gola, incurante dei paesani pettegoli che avrebbero cominciato a fare chiacchiere:
- "Tati... Tati... Tatiiiii...".
Lì per lì, notai un certo imbarazzo nel suo sguardo, come se stesse aspettando qualcuno che non le faceva piacere che io incontrassi. Poi, però, quello che anche lei provava per me era troppo grande per essere trattenuto, e si sciolse in un sorriso infinito, e corse ad aprirmi la porta della sua casa...


Ci fermammo l'uno di fronte all'altra sull'uscio, e ci sciogliemmo finalmente in un abbraccio forte da toglierci il respiro.
Non smettevamo di guardarci, come se avessimo avuto bisogno di riappropriarci dei nostri volti, così familiari ma che ci erano mancati terribilmente.
Sarà pure stato banale, ma io – per "rompere il ghiaccio" – non trovai di meglio che domandarle:
- "Come stai?".


Mi prese per mano, entrammo in casa, ci sedemmo, e mi raccontò di nuovo tutto, aggiungendo:
- "Sai, alla fine mio padre mi ha trovata, e mi ha portata qui con lui... Questa casa, è stato lui a trovarmela... Ma tu, Tato, non sei normale!".
Era, quest'ultima, la frase che ci aveva accompagnato per una vita intera, fin da quando la persi e la ritrovai al collegio, e ancora una volta uscì dalle labbra di mia cugina con infinita dolcezza.
Poi, lei riprese:
- "E tu, come stai, che ci fai in questo posto?".
Esitai non poco a raccontarle cosa avevo fatto da quando lei mi aveva scritto di non cercarla più, e cioè che adesso avevo una compagna con cui convivevo... E non era lei!
Sapevo che mi avrebbe capito, ma mi sembrava comunque di aver tradito il nostro “patto di vita”, e soprattutto colei che era e sarebbe rimasta per sempre la mia gemella...
E singhiozzando le confessai con il cuore in mano:
- "Però, alla fine, ho capito che non è la donna che credevo... Non è solo un fatto fisico, è che non c'è quel feeling che invece è rimasto immutato tra noi anche dopo tutto questo tempo... Forse non c'è mai stato nulla con lei. Non c'è dialogo, non c’è rispetto né quella complicità che ci ha portati a fare l'amore in ogni momento e in ogni posto, senza pudore. C'è un tentativo, quotidiano, di sopraffarmi e mi pare tutto così assurdo... Oh, Tati, ci amiamo, ci siamo sempre amati io e te, ed eccoci ora qua a vivere una vita che non ha senso... Io, forse, l'ho fatto per riempire – inutilmente – un grande vuoto, ma tu, Tati mia? E comunque, ora che ti ho ritrovata, non possiamo continuare ad accontentarci, ora che si è riacceso quel fuoco che tua madre aveva provato a soffocare... Il confronto con Silvana non regge. Tu sei tu...".


Vidi che il suo carattere forte era stato segnato dalle umiliazioni, dalle sofferenze, e così a un tratto mi accorsi di una grossa lacrima farsi strada sul suo bel visino. Ma sentii anche che quella confidenza che era stata la cifra di tutta la nostra vita stava riprendendo vigore... E infatti, si aprì e mi disse:
- "Cla, non ho nulla, neanche i soldi per mangiare, e non posso e non voglio chiedere altro a papà...".
A quel tempo, io vivevo ancora con i pochi risparmi del mio lavoro passato, ma – accarezzandole una mano – non potei far altro che un disperato tentativo di dimostrarle il mio affetto:
- "Ce ne hanno fatte di tutti i colori,  ma per fortuna siamo ancora qua... Vedi Tatina, non ho molto da offrirti, anche perché se lo vengono a sapere la mia compagna e mia suocera... Però, non me ne frega niente. Ascoltami, ci penso io a te... Quello che è mio è tuo...".


Passammo delle ore meravigliose, stretti l'uno all'altra, e per fortuna che c'era la scusa del cane per spiegare poi quella lunga "evasione" alla mia donna.
A proposito di cani: anche Tati si era presa un piccolo amico a quattro zampe, un chihuahua che le faceva compagnia nella solitudine...
Alla fine, comunque, con delicatezza declinò la mia offerta:
- "Tato, non ti preoccupare, vedrai che me la caverò anche questa volta, in un modo o nell'altro... Non sono i soldi che fanno la felicità, ma sapere che ci sei...".
Da parte mia, cercai di gestire meglio che potei la nuova situazione, ma fui costretto a raccontare la verità alla mia compagna.
Tentai di farle capire che "essere gemelli" non è facile, comporta gioire e soffrire per l'altra; significa essere legati fino alla fine dei nostri giorni senza poterci fare nulla; è un sentimento bello e terribile allo stesso tempo... 
Com'era forse prevedibile, non fui capito, e lì cominciò il declino di quel rapporto che forse non era mai decollato.
Così, anche in questo io e Blanca ci trovammo accomunati, un doppio fallimento che avrebbe potuto essere l'inizio di un nuovo capitolo del nostro amore.


Ma come spesso accade, nei piccoli paesi le malelingue abbondano, e così la "storia dei gemelli", la nostra "vicinanza", fu male interpretata, tanto che fummo costretti a diradare le nostre frequentazioni, mantenendo i contatti solo tramite messaggi e interminabili chat...
Però, fu solo una parentesi, non resistemmo a lungo, e ben presto tutto ricominciò come prima…
Quando poi un giorno che stavamo in cucina parlando del più e del meno, all'improvviso Blanca crollò a terra come un sacco vuoto, che pareva fulminata. 
Mi precipitai a soccorrerla, e fui costretto ad aprire drammaticamente gli occhi sulla realtà, mi spaventai a morte e la chiamai ripetutamente:
- "Tati, gemella mia, che ti succede? Ti  prego, rispondimi!".
Per fortuna, si trattò "solo" di un calo di pressione, risolto con un bicchiere di acqua e zucchero...
Passato lo spavento, la mia cuginetta adorata mi raccontò tutta la verità:
- "Tato, non volevo farti preoccupare ulteriormente, angustiandoti con i miei problemi, ma la ragione di questo svenimento è un'altra... Sono tre giorni che non mangio. Non ho più soldi, e quando va bene mangio mezzo panino al giorno...".
La ascoltai in silenzio, fino in fondo e senza interromperla; non sapevo cosa fare, dove andare a sbattere la testa, anche perché la mia situazione economica stava peggiorando, e di molto.
Tutto quello che riuscivo a mettere da parte, lo passavo di nascosto dalla mia compagna a lei, ma evidentemente era ancora troppo poco...
La abbracciai emozionato per confermarle quanto era importante per me, e guardandola negli occhi presi l'iniziativa:
- "Se siamo gemelli, dobbiamo dividere tutto, poco o tanto che sia...".


Mi sorrise, ma non ci fu niente da fare, Tati non volle accettare il mio aiuto...


14. La finestra sul balcone. 


Quello stato di insicurezza vissuto da sola, benché sapesse che ormai io c'ero di nuovo, le fece fare la "pazzia" più estrema.


Da quel momento, contrariamente a quello che mi sarei aspettato, divenne "fredda" nei confronti miei e di suo padre.
Ogni volta che le scrivevo (forse era un presentimento, il mio, di ciò che poi avrei constatato?) che sarei andato a trovarla, accampava  una scusa, e passavano intere settimane senza che mi permettesse di vederci.
La finestra sul suo balcone cominciò ad essere sempre più spesso con le persiane chiuse, e sulla ringhiera comparve uno "strano" asciugamano tipo mare: a volte era ben steso, altre era buttato a terra. Ma inizialmente non gli diedi peso più di tanto...
Soprattutto la sera, quando passavo  con il mio cane davanti al suo portone verso le nove, udivo delle voci maschili – e non si trattava di quella di suo padre –, a volte anche più di una insieme, e se la chiamavo non mi rispondeva.
Così, principiai ad uscire con il mio volpino fino a tre, quattro volte al giorno, una sorta di "ronda" inconscia per tenere sotto controllo la situazione; a volte, trovai il portone semiaperto, e a volte mi incrociai persino – faccia a faccia – con uno  che quatto quatto ma con sfrontatezza varcò l'uscio per salire da lei.
Altre volte, per giorni interi, tutte le sue finestre rimanevano chiuse, di giorno e di notte, e la luce spenta. Tutto questo strano "traffico", però, era fatto con discrezione, e in paese non se ne sentiva voce.
Finché, una sera d'estate mi stavo godendo tranquillamente un pò di frescura sulla piazza della fontana centrale. Come tante altre sere, mi ero seduto sulla panchina sperando di vederla passare, anche se a distanza da me, e ogni sera quel desiderio e quella “necessità” erano sempre più pressanti.
E quando finalmente sfilò sotto i miei occhi, dovetti apprendere da alcune persone – soprattutto donne, le più “brave” a condannare senza appello – cose di lei che non sapevo, tra cui il significato di quell’asciugamani e cosa avveniva realmente in quella casa…
Per la prima volta, sentii associata la parola "puttana" alla mia gemella, e il cuore mi si spaccò.
Avrei voluto prendere le sue difese come facevo da piccolo quando qualcuno la attaccava ingiustamente, ma capii che in quel momento avrei ottenuto l’effetto contrario.
Così, con una scusa più o meno credibile, mi allontanai da quelle "persone" che mi avevano addolorato così tanto, e me ne tornai a casa con gli occhi rossi.
Non potevo, non volevo crederci!, pensavo che mi stavo facendo un film, ma lentamente tutto cominciava a quadrare.


Quella che era la mia gelosia nei confronti del marito si trasformò in qualcosa di diverso: qui non c'entravano i sentimenti, se le cose stavano come avevo sentito dire era puro commercio, sesso e basta, ma non riuscivo comunque a farmene una ragione. Non riuscivo a capire. Mi chiedevo, senza trovare una risposta:
- "Ma perché Tati? Perche?".
Piansi per tutta la notte, e pensai... Non potevo chiedere aiuto a zio, o parlarne a Silvana a cui non volevo raccontare cosa era avvenuto quella sera: ormai, non mi fidavo più di nessuno, se non di Blanca, che non potevo tradire…


Rivedevo tutte quelle "immagini" dei giorni precedenti e mi si gelò il sangue... Soprattutto, mi vennero mille cattivi pensieri.
Immaginai che quando era tutto chiuso, andava da qualcuno di questi "amici", magari gli stessi che poi sarebbero tornati da moglie e figli e che la domenica andavano in chiesa con tutta la famigliola a battersi il petto.
Se così fosse stato, se le fosse stato fatto qualcosa di male in quei frangenti, non avrei nemmeno potuto accorrere ad aiutarla.
E stetti ancora più male…
Mi domandai, ma con la certezza che non avrei avuto risposta:
- "Chi sono questi benefattori? Sono del paese o vengono da fuori? Come ha fatto a trovare questa gente?".
Così, i giorni e le sere successive presi a passare con regolarità sotto le sue finestre, augurandomi da una parte che fosse tutto tranquillo e dall’altra di poter ancora vedere in faccia quei “maschi” che cercavano solo uno sfogo, o di riuscire (lo pensai, ingenuamente) con la mia presenza costante, a “boicottare” quegli incontri…
Ero “curioso” di leggere nei loro occhi il motivo percui oltraggiavano la mia gemella.


Ma quando trovai ancora una volta quel portoncino socchiuso non resistetti ed entrai...
Ormai non potevamo più nasconderci, e nel momento in cui Tati mi vide, si mise una mano sulla bocca per non gridare dallo sgomento.
Poi si affrettò a sprangare l'entrata e ce ne andammo, come facevamo sempre, in cucina.
Non la riconoscevo più, ma era più forte di me e non riuscivo a starle lontano.
Finalmente apri bocca:
- "Tu sei pazzo", mi disse, "o forse, come sempre, lo siamo tutti e due...".
Non c'era bisogno di altre parole, ci intendevamo così bene soltanto fissando lo sguardo reciprocamente dentro di noi.
Era come se i nostri cuori si fossero uniti in un solo ed eterno battito.
Era tornata la mia gemella. Allora presi coraggio, le baciai le mani e cominciai:
- "Cosa succede, Tati? È vero quello che ho sentito in giro? Dimmelo, ti prego, perché sto impazzendo...".
Tacqui, e in quella piccola stanza ci fu un lungo silenzio: oscuro, pesante, ma come sempre carico di affetto reciproco. E nel bel mezzo di queste emozioni, Blanca – con un fil di voce – mi confermò i miei timori:
- "È tutto vero, Cla, ho cercato di fare attenzione ma evidentemente non sono stata abbastanza prudente. Mi vergogno, soprattutto di averti fatto male... Ma credimi, non è una passeggiata... i soldi non bastano mai. Ho cominciato così, lo so che è sbagliato, ma ho bussato a tante porte e nessuno mi ha aiutata. E tu hai già abbastanza problemi... Non avevo altra scelta. Credimi, non ho mai provato piacere ad avere quei rapporti, anche più volte al giorno, con uomini diversi; anzi è una sofferenza orrenda e profonda essere trattata come merce. Fin dal primo giorno ho capito cosa mi aspettava: dover accettare di fare di tutto, perché mi pagavano... Non dovevo parlare, dovevo fare solo  quello che mi chiedevano... Mentalmente non ero con loro, c'era solo il mio corpo. Ma ho sofferto lo stesso al solo pensiero delle nostre promesse, che i nostri corpi sarebbero dovuti appartenersi in esclusiva..".
Si fermò per riprendere fiato, e io ne approfittai perché – nonostante la fatica di accettare la sua scelta – volevo che sapesse che per me era sempre la mia gemella, "pura" e generosa. Le dissi:
- "Tati, con me non ti devi giustificare, e poi nessuno è da disprezzare, tutti sono da rispettare, a meno che non facciamo del male al prossimo. E tu non lo stai facendo... Condividerti con quei porci maiali, non posso dirti che mi fa stare bene, ma ti capisco... Io sarò sempre dalla tua parte…".
Questa volta fu lei a interrompermi di nuovo:
- "No, aspetta, voglio che tu sappia tutto... Non ci devono essere segreti tra noi, o cose che comunque non ti ho detto. Dicevo che la prima volta ho messo un annuncio su quei siti; mi ero fatta delle foto "speciali" e questo mi aiutò a trovare la persona giusta. Mi procurai un telefono che avrei usato solo per quel lavoro, e quando mi chiamò gli diedi appuntamento qua da me. Avevo fatto un bagno tonificante per presentarmi nella miglior forma possibile, ma ero così imbarazzata e preoccupata di non essere all’altezza che mi tremavano le gambe. Per fortuna tutto andò bene, ma sapessi che ansia... Non lo guardai nemmeno in faccia dallo schifo che quel gesto mi faceva... Poi, un pò per volta, mi sono abituata... se così si può dire! Abituata a quella sorta di stupro interiore. Ogni volta che andavano via, mi lavavo e rilavavo centomila volte... Altro che quando lo facevamo io e te!".


Quando ebbe finito di raccontare, si alzò e venne verso di me a occhi bassi. E io non ce la feci a tenerle il broncio tanto era l'amore che stava riaffiorando nel mio cuore per quella creatura così bella dentro...
La feci sedere sulle mie ginocchia e me la strinsi al petto, perché volevo che lei non avesse dubbi sui miei sentimenti.
Dopo un pò in questo stato, sentivo di avere di nuovo tra le mani la "mia" Tati... Non che quel peso di cui si era scaricata l'anima si fosse cancellato come per incanto, ma sentivo che stava per succedere qualcosa di grande... Qualcosa che avrebbe riportato le lancette dell'orologio indietro di quasi quindici anni.
E infatti, voltò la testa fino ad incontrare il mio sguardo e mi disse:
- "Ti voglio, ma non come mi vogliono quelli... Voglio essere tua... Voglio essere posseduta dal mio vero uomo... A proposito, come vanno le cose con la tua compagna? Mi dicevi che non va proprio benissimo...".
Le parlai che in breve tempo il nostro rapporto si era “spento”, che di fatto non avevamo mai fatto l'amore, con la scusa che – nonostante i metodi contraccettivi – non voleva avere figli per questioni economiche...
Blanca si rattristò per me, perché noi avevamo sempre concepito la manifestazione d'affetto più alta con una appagante penetrazione, possibilmente con venuta dentro, senza preoccupazioni.


Pensò qualche istante e poi mi condusse verso la sua stanza da letto... o "da lavoro"... 
Mi mise le mani sulle spalle e mi disse, con un velo di tristezza:
- "Ecco... Qui mi guadagno il pane... Ora, però, qui tu e io lo faremo per amore... Solo per amore. Alla faccia di chi non ti vuole dentro di sé...". 
Le risposi:
- "Va bene, ma prima tu devi metterti quel completino che mi piace tanto... Ricordi la maglietta e i calzoncini rossi?".


15. Cos'è la felicità. 


A questo punto, gemella indossò la maglietta perfettamente aderente e gli shorts proprio come le avevo chiesto, e in più vi aggiunse un tocco estremamente sexy: non indossò il reggiseno, tanto che si vedevano i suoi capezzoli "spingere" prepotentemente attraverso il tessuto, mentre sotto uno splendido "zoccolo di cammello" disegnava i contorni grassocci della fica...
Blanca sapeva sempre come fare per "accendermi", ed io non persi tempo e principiai a sollevarle quella maglietta di cui percepii tutta l’inadeguata inutilità; salii su, sempre più su, fino a giungere alle imponenti rotondità delle sue mammelle perfettamente fasciate da quell'indumento.
Lì trovai un intoppo complicato da superare, e dovetti forzare un poco il “passaggio”, superato il quale le grosse tette rimbalzarono pesantemente verso il basso, e i suoi chiodoni carnosi si mostrarono in tutta la loro incantevole bellezza.
Tastai una prima volta quello splendore, e poi le sfilai la maglietta, e finalmente mi potei struggere nella visione assoluta e sublime del suo busto nudo di giovane donna.
Fiutai come un segugio sulle tracce della sua preda, e le mie narici si saturarono di quella fragranza naturale che ben conoscevo e che non avevo assolutamente dimenticato in tutti quegli anni...
Passai da una tetta all'altra, per poi tornare sulla prima e quindi discendere sul suo ventre fino all'ombelico, che "accarezzai" con un delicato tocco di lingua. Ma non mi bastava questa ricognizione già di per sé così appassionata. Mi tolsi anch’io la camicia, e solo allora mi sentii follemente libero di "giocare" con lei: il mio torace sul suo, il suo petto su di me, e cominciammo a fare petting...
Tornai ancora una volta sui capezzoli... Dio quanto erano grossi!, e invidiai quegli "amici" che si erano succeduti a titillarli.
Li strizzai leggermente, in modo da non lasciarmeli scappare, piano piano e poi sempre più forte, prima l'uno e poi l'altro, e la mia voglia di Blanca aumentava.
Stringevo quella porzione di carne con veemenza, quasi – senza volerlo, preso solo dall'eccitazione – a farle male, ma la cosa straordinaria era che lei non manifestava nessun dolore, ma solo piacere come me, tanto piacere...
Facevo roteare i suoi capezzoli tra il pollice e l'indice della mano destra, in un senso e poi nell'altro, li schiacciavo quasi volessi farli rientrare nella tetta, e infine li tiravo verso di me.
Insomma, sapendo quanto fossero sensibili e quanto la mia gemella amava sentirseli quasi "scoppiare" in petto, feci di tutto per farli diventare duri come il ferro...
Mi era mancata così tanto che indugiai a lungo, quasi soffocando in mezzo alle sue colline: una ormai sesta misura di cui non si vedeva l'inizio ne la fine, soffice quanto "impegnativa".
E mentre io ero assorto in quel gioco, Blanca mi fece trasalire, dicendomi tra un sospiro e l'altro:
- "Tato, non me le ha mai toccate nessuno come te... Vedi, non devi essere geloso, guarda come  riconoscono le tue mani...".
A quel suono melodioso della sua voce, sollevai lo sguardo... Avevo una pace incredibile dentro e le sorrisi con tenerezza, poi le risposi:
- "Le ho sognate così a lungo che adesso non mi sembra vero di sentirle palpitare per me...".
Poco dopo le "abbandonai", ma solo per scendere un pò più giù sui suoi fianchi pieni e lussuriosi, ben torniti, con due serie sovrapposte di rotolini di morbida ciccetta che dire stupendi è poco.
Vedendo che mi dilungavo troppo per i suoi gusti, Tati – con le mani che mi carezzavano il capo – si mise a canticchiare allegramente:
- "Amor se mi vuoi bene, più giù tu devi andar...".
Finalmente, eravamo di nuovo sereni, anche se sapevamo bene che ciò sarebbe stato per la breve durata della scopata. E intanto il tempo passava senza che ce ne accorgessimo...


Comunque, ascoltai il consiglio della mia cuginetta, ma non volevo "bruciare" tutto banalmente in pochi istanti; così, pigliai quel calzoncino con due dita per ciascun lato, e lentamente ma inesorabilmente lo scesi.
Scoprii completamente il suo pancino, il quale destò in me un profondo turbamento interiore e risvegliò una inquietudine e uno stato d'animo fonte di molteplici emozioni.
Lo  baciai – come fa il prete baciando l'altare, e in effetti quella donna era per me davvero sacra – sfiorandolo appena con le labbra, e lo bagnai di saliva che presi a spandere sulla dolce asperità usando la mia lingua come fosse un pennello...
Calai la stoffa un altro pò fino all'inguine, leccando con avidità e precisione proprio la dove le cosce si uniscono alla cavità pelvica.
Tati non aveva le mutandine, era chiaro, e questa scoperta mi diede una botta di adrenalina tale che non potei più tenere sotto controllo il mio pacco...
Non ci volle molto perché se ne accorgesse anche lei; lo tastò per bene e mi disse, quasi fosse un ordine:
- "Alzati, anch'io voglio la mia parte di Paradiso!".


Come una bimba intenta a scartare il suo regalo, Blanca mi slacciò con concitazione la cintura dei pantaloni, li sbottonò e me li abbassò fino ai piedi... Poi, non perse tempo, e risalendo fino ai fianchi compì la stessa manovra con lo slip.
Il mio cazzo era già in completa erezione dinanzi a lei, e mi rimbalzò sul ventre...
Allora gemella si fermò ad ammirare, estasiata, il mio "gioiello" che non vedeva da molto e che per l’emozione non dava cenno di volersi risvegliare. Ero imbarazzatissimo, ma lei non ci fece caso, era abituata con alcuni suoi "amici" più emotivi...
Mi sussurrò:
- "E' fantastico... Sai Tato, non ti offendere... Ne ho visti tanti più grandi, ma il tuo lo amo follemente! Lui ama Patatina, lui è quello che mi ha fatta donna... È il MIO cazzo".
Lo disse calcando sulla parola "MIO", e questo mi rese un uomo felice...


Si rialzò, e io – come su una immaginaria altalena – mi abbassai di nuovo davanti a lei, finendo di spogliarla.
Il mio olfatto fu colpito piacevolmente dall'odoroso effluvio proveniente dalla sua micia completamente rasata.
- "Ohhhh", esclamai sorpreso non riuscendo a trattenere la mia delusione mista a meraviglia, "così nuda, indifesa, sembra quella di una che ancora non ha conosciuto un maschio...".
E lei:
- "Lo so, tu la vorresti bella capellona, ma quelli che pagano la vogliono così, dicono che è la moda... Che altrimenti gli restano i peli in bocca e non va bene".
Come una freccia scagliata nel mio cuore, quelle tre parole – "quelli-che- pagano" – mi diedero la consapevolezza che nell'immaginario collettivo la mia Tati era in vendita e si poteva comprare; bastava pagare...
Pensai:
- "È una cosa orribile, io non pagherei mai per comprare il suo corpo, l'amore è dono gratuito... Ma forse quello non é ciò che ai suoi "amici" interessa... A loro interessa solo poter fare ciò che è invece proibito tra le mura domestiche...".


Ma ora dovevamo lasciare da parte ogni altra cosa e pensare solo a noi stessi... Eravamo tutti e due in uno stato di completa "verità", nudi, e mi sentii come trasportato con lei alle nostre origini... Blanca e Claudio erano di nuovo insieme!
Ci buttammo sul letto dimenticando tutti i nostri problemi: la luce soffusa, la musica ad alto volume per non farci sentire dai vicini, eravamo due corpi l'uno sopra l'altra, e cominciammo a giocare sotto le lenzuola.
Eravamo come schegge impazzite, la sentii tremare come una foglia, ed io ero emozionato quasi come la prima volta, quando avevamo 15 anni...
Quanto tempo era passato da quando quello strano scherzo del destino ci aveva fatti passare da cugini a gemelli-amanti!


Ci baciavamo come se non ci fosse stato un domani, le lingue si intrecciarono, mentre Tati alla cieca – senza guardare il mio pisello – prese a farmi una sega di quelle che solo lei sapeva fare, ed io per poco non venni all’istante come un ragazzino alle prime armi.
Poi, mi accarezzò il bacino giocando con i riccioli castani del mio pelo e improvvisamente me lo prese in bocca.
Era caldissima ed era diventata una maestra (lo era sempre stata) in quella "nobile arte"; certamente quel "mestiere" l'aveva imparato proprio bene, ma la mia convinzione più profonda fu che con me ci stava mettendo tutta se stessa... Non stava fingendo! Non stava “lavorando”!
Pompava, mentre contemporaneamente con un dito serrato intorno al glande  faceva ruotare il prepuzio con tanta energia che a un certo punto ebbi paura che mi saltasse il filetto. Ma invece fu tutto meraviglioso...
Mi toccò dappertutto, graffiandomi – senza farmi male – la schiena, e mi offrì nuovamente le tette porgendomele con le mani poste a formare una sorta di vassoio: voleva mostrarmi che il mio "parco giochi" di una volta era ancora lì, intatto, florido più che mai.


Quando poi fu il mio turno, mi avventai sul suo monte di venere: lo sfiorai con le labbra per un primo sommario "assaggio", e lei – forse anche a causa della barba non perfettamente rasata – "vibrò" come una corda di violino tesa allo spasimo.
Le aprii le cosce come quando si spacca una mela, ma con una delicatezza sacrale, e il forte profumo di donna in calore mi portò a spingermi con la lingua proprio in mezzo alla sua fonte di piacere...
Le stuzzicai con movimenti brevi, decisi e ripetuti il cappuccetto – che era sempre stato il suo "punto debole" – più che il clitoride stesso. Lo irrorai di saliva, mentre lei iniziava ad ansimare e respirare a bocca aperta, con il capo e le braccia rivolte all'indietro, e si contorceva in gesti di crudele godimento...
Mi fermai per pochi istanti e quindi ripresi con maggior lena, ficcando ed estraendo un pò la lingua dalla vagina, e tornando a "maneggiare" alternativamente ora una tetta ora l'altra.
Con un sol boccone "mangiai" grandi, piccole labbra e tutto ciò che trovai al mio passaggio, mentre gemella mi tirava per i capelli dall'eccitazione ormai incontrollabile. 
Sembrava che – per una imperscrutabile ragione – non ci volessimo decidere ad arrivare al dunque, ma a un certo punto tutte quelle stimolazioni che le avevo inferto la spinsero ad urlare:
- "Ti prego amore mio, entra, entra, entraaaaaa...".
E dopo essersi lasciata andare a quella implorazione, si coprì la bocca con una mano, pensando tra sé:
- "Al diavolo la discrezione: questo è il mio Tato... Con lui è amore puro, amore vero... Chissenefrega di quelle fregnesecche invidiose che sicuramente staranno fuori con l'orecchio teso!".
La guardai negli occhi e poi le strusciai due o tre volte la cappella su e giù in mezzo alla fessura fradicia, e finalmente trovai l'ingresso...
Mi sembrò di essere tornato "a casa" dopo un lungo "viaggio" senza meta.
Tenendola per le caviglie, la sollevai un poco dal letto e cominciai a spingere e a pompare; sentivo la cappella e tutta l'asta gonfiarsi, mentre di tanto in tanto tornavo a stimolarle il grilletto duro come il mio cazzo. 


Dopo circa un quarto d’ora di quell'intensa penetrazione, sentii lei che era sul punto di cedere, ed in quel momento mi ricordai di un "rito" personalissimo che non mancava mai nelle nostre scopate.
Così, benché sia stato ancora lontano dal mio orgasmo, mi sfilai e tenendole le labbra completamente aperte in modo tale che il clitoride fosse in bella vista, mi posizionai con la faccia a pochi centimetri da quelle cosce da delirio in attesa del "premio".
Adesso era lei che si masturbava follemente: aveva capito tutto, e ben presto ebbe degli spasmi, dilatò le pupille, aprì la bocca (senza però dire una parola) ed iniziò a spruzzare i suoi succhi ad altissima pressione.
Sembrava non dovessero avere mai fine quei getti di rugiada, sembrava una fontanella, ma io ne ero goloso e li accolsi tutti nella mia bocca senza perdermene nemmeno una goccia…
Era incredibile quanto succo mi aveva regalato!
Esausta, la lasciai riposare supina, accarezzando i suoi bellissimi capelli biondo cenere a caschetto...


Passato un altro pò di tempo, dopo essersi ripresa, si voltò verso di me e mi disse dispiaciuta:
- "Tato, però tu non hai goduto... Ora ci pensa Tati tua!".
Si alzò ancora ansimante e si mise a pecorina proprio davanti a me.
Che visione! Non ero mai riuscito a trovare in lei un dettaglio anatomico più bello di un altro perché era tutta uno schianto, ma in quel momento, con il suo culone che riempiva la mia visuale, non ebbi esitazione...
Mi misi in ginocchio, e lei mi diede il suo consenso:
- "Avanti, voglio sentire la tua forza spingere dentro di me... Se non ricordo male, il mio sedere era la tua passione... Fammi vedere se sei ancora il mio fantastico bull!".
Glielo infilai, e subito mi accorsi che quel canale non era più quello che conoscevo... Davvero quello stronzo dell'ex marito e dei suoi nuovi "amici" non l'avevano rispettata. Ma non le dissi nulla, per il grande amore che provavo per lei: quel giorno ero troppo felice, perché avevo di nuovo con me la mia gemella…


Non sapevo quanto sarei durato ancora, ma stando così uniti analmente il mio pensiero andò al giorno del collegio di tanti anni prima...
Ora, sentivo con una lucidità impressionante chi era la mia vera donna: lei e soltanto lei; e sentivo che dovevo fare di tutto per riprendermela.
Blanca mi aveva fatto capire che Silvana era stata solo una "combinazione" del destino, spuntata nella mia vita perché io e lei non eravamo riusciti a ritrovarci nel momento giusto.
E tornai a domandarmi:
- "Ma perché non possiamo dare un calcio al presente e ricominciare da quando mi scrisse che il suo matrimonio era finito? Ad ogni modo, se lei lo volesse... Io non esiterei un istante...".


La stavo possedendo contro natura, con il pene nell'ano, le palle che sbattevano sulle sue chiappe da favola, e le mie mani che le arpionavano le spalle, quando accellerai la mia azione. 
Cominciai a spingere più in profondità, dove non ero mai arrivato, per "ascoltare" bene la reazione dei nostri corpi, fin quando sentii salire lo sperma e trasfondersi nel suo intestino. La abbrancai stretta, colto da violenti sussulti, fino a che non colmai le sue viscere di me...
Era finita, ma rimanemmo uniti ancora per un pò, e nel frattempo gemella mi  sussurrò, come a volersi scusare:
- "Ho le mestruazioni, se no avresti avuto ciò che si prendono gli altri... Anzi no, tu avresti avuto di più, avrai di più!".
Finì la frase in un crescendo, con la sua vocina acuta che non era cambiata...


Ci addormentammo abbracciati e felici. Quando ci risvegliammo era sera avanzata, e lei aveva perso degli "appuntamenti", mentre io non sapevo come fare a ripresentarmi a casa a quell'ora.
Silvana – ma soprattutto mia suocera, da cui la figlia sicuramente era andata a cercare conforto – avrebbe scatenato l'inferno, e così decidemmo di aggiungere "pazzia" a "pazzia"...
Ci guardammo, e ci ritrovammo mano nella mano... Non ricordavamo precisamente quando ciò era accaduto la prima volta, ma ci veniva sempre spontaneo dopo i nostri momenti di grande intimità. Da sempre...
Fu Tati allora a propormi:
- "Visto che abbiamo combinato proprio un gran casino, perché non rimani qui stanotte? Dai, dormiamo insieme, come facevamo quando venivi a Verona...".


16. Promessa o giuramento. 


Non me lo feci ripetere due volte, mi fermai da lei e dopo tanto tempo cenammo insieme. Faccia a faccia. Occhi negli occhi.
Fu una strana sensazione quella che provammo... Un malessere diffuso, che ben presto si trasformò in un rimpianto senza fine:
- "Sai, maledico ogni giorno chi ci ha separati... Non siamo gemelli di sangue, è vero, ma lo siamo di cuore... Noi due insieme saremmo stati una bellissima famiglia...", meditai a voce alta.
Tati mi ascoltò con lo sguardo perso nel vuoto, e poi – intuendo quale fosse la mia intenzione – mi chiese:
- "E con Silvana, come farai? Tu non meriti una vita a metà... Dai, mi sacrifico io... Pazienza, è stato un bel sogno, come tutte le altre volte...".
Era quella l’unica cosa che non avrei mai potuto accettare e che infatti non accettai... Sacrificarsi? Ancora? Ma siamo matti?
Tagliai corto:
- "Basta, vita mia... È giunta l’ora che usciamo allo scoperto, che mettiamo tutto alla luce del sole senza più paure!".
Insieme, convenimmo che quella era la cosa giusta da fare...
Non volevamo perdere neanche un secondo per "farci coccole", e perciò ci infilammo subito a letto. Questa volta non per accoppiarci, ma per starcene, lontani dal mondo falso e ipocrita che cominciavamo a vedere come un nemico, cuore a cuore, pelle a pelle.
Per nostra fortuna – una volta tanto! –, neanche lo zio venne a cercarci, e la notte era ormai alta quando Blanca si lasciò andare:
- "Certo sarebbe bello un futuro insieme, visto che ci hanno rubato la nostra giovinezza... Un futuro che non abbia mai fine, per ripagarci di questa immensa sofferenza...".
La mia gemella, aveva il pregio di riuscire ad entrare sempre nei miei pensieri e ad anticiparli, poiché quelle sue parole erano l'esatta raffigurazione di ciò che stavo provando anch'io...
Non riuscivo a non recriminare per ciò che avremmo voluto con tutte le nostre forze e che invece non era stato, ma forse tutto stava cambiando...
D'altronde il giorno in cui incontrai per caso lo zio, e che fu lui a "guidarmi" verso la "mia" Tati, fu quello un chiaro segnale che solo adesso riuscivo a leggere con chiarezza...
Pensai ancora, e poi ripresi:
- "Chissà se c'è un mondo, dopo questo, dove potremmo vivere il nostro sentimento... Forse non ci sarà con un corpo come adesso, ma insomma... Io e te dobbiamo fare qualcosa per rimanere insieme anche dopo, per sempre...".
E mi venne un'idea:
- "Ti ricordi, quando siamo nati, che eravamo praticamente nudi nell'incubatrice?", le domandai.
- "Éramos muy pequeños, Tato, para recordarlo, pero cuando nos lo dijeron fue como volvernos a ver en el tiempo... Y aún ahora lo veo con los ojos del alma... Fueron esos primeros meses de vida. que nos unió y que ellos hicieron todo lo demás... Ya sabes, cuando follamos todo parece tan increíble... Te siento dentro de mí como un soplo de vida que nadie màs puede darme...", concluse gemella.
- "Esattamente", aggiunsi, "e allora facciamo una cosa: se succede qualcosa di brutto a uno, l'altro lo segue immediatamente... In quel caso, le nostre ceneri dovranno essere raccolte in un'unica urna... Così, nessuno potrà più separare una particella mia dalla tua, e torneremo ad essere gemelli... Che ne pensi?".
Tati era raggiante, non ci aveva mai pensato ma finalmente quella era la soluzione adatta a noi...
Prendemmo carta e penna e scrivemmo di nostro pugno quanto avevamo concordato. Ora non c'era più nessuno che avrebbe potuto decidere al posto nostro.


Ma adesso dovevamo continuare a vivere. E ricominciammo a fare l'amore...


17. Liberato dalle catene. 


Il giorno dopo, di buon mattino, mi ripresentai a casa come se nulla fosse... Sapevo che sarebbe successo il finimondo, e infatti così fu. Ma ormai ero deciso a percorrere fino in fondo la strada che mi avrebbe portato a ricongiungermi per sempre con Tati. Silvana, ormai non era più la mia priorità.


Quando mi vide, non si mostrò affatto preoccupata per me, ma letteralmente inferocita, anche perché le avevano riferito che per tutta la notte dalla casa di mia "cugina" si era sentita la mia voce e grida "sospette"...
Mi chiese:
- "Che avete fatto?".
Adesso non avevo più paura di sbatterle in faccia la realtà, e perciò risposi sostenendo con fierezza il suo sguardo:
- "Quello che non posso fare con te... Blanca sa essere gemella, amante,  femmina... E stanotte è stata per me tutto questo insieme... Sì, abbiamo scopato, così come facciamo dall'età di 15 anni... Se ho una colpa nei tuoi confronti, è quella di non averti parlato prima del nostro legame profondo fin da bambini, ma non avresti potuto capire... Nessuno ci ha capiti, anzi...".
- "Ma sai che si dice di lei?", sparò con crudezza Silvana, "Te lo dico io, così finalmente aprirai gli occhi... Che fa la puttana a casa sua!".


Era la seconda volta in quel paese che udii quella parola infamante attribuita a Tati, e divenni una furia come non ero mai stato: 
- "Ti proibisco di chiamarla così... Lo sapevo benissimo, ma tu che ne sai di noi? Sei come tutti gli altri... Blanca l'hanno massacrata per essersi procurata il pane in un modo diciamo inconsueto... Insieme ne abbiamo passate così tante che non te lo immagini neanche... Perciò, non provare a giudicarla, a metterti in mezzo, non ci fermeremo davanti a niente e a nessuno! E poi dici che fa quella cosa? Ma non bestemmia e dice parolacce dalla mattina alla sera come fai te; non tiene la casa come un porcile e non va a distruggere la casa degli altri come invece mi stai facendo da otto anni... Tati è una vera donna!".
Ma non era finita... Qualche minuto più tardi arrivò tutta trafelata mia suocera per il "secondo round"... Mi domandò:
- "Ma chi è, quella biondina che passa sempre sotto casa mia con un cagnolino? Una volta si è fermata e mi ha detto che era separata... Non mi piace per niente, è cattiva...".


Tutti questi fatti – insieme al nostro "sentire" che ci aveva condotti a non avere più bisogno di telefonarci per sapere cosa accadeva all'altro o all'altra, nel bene e soprattutto nel male – mi spinsero a raccontare a madre e figlia un aneddoto che mi  era accaduto pochi giorni prima e di cui non avevo parlato ancora a nessuno, nemmeno alla diretta interessata. Non che sperassi di ricomporre quella frattura ormai insanabile – era chiaro che ora volevo "riprendermi" definitivamente lei, la mia gemella – ma per tentare di dimostrare come fossimo realmente una cosa sola...
Dissi, rivolto a Silvana:
- "Ricordi l'altra notte, quando mi sono alzato che erano le cinque del mattino per andare in bagno? Beh, quando sono tornato a letto, cominciai a girarmi e rigirarmi sotto le lenzuola, mi sentivo agitato, sentivo che c'era qualcosa che non andava ma lì per lì non riuscivo a capire cosa... A un certo punto, sentii che quel qualcosa riguardava Blanca... Senza esitare ulteriormente mi alzai e mi vestii di corsa... Stavo per uscire di casa quando, all'ultimo momento, afferrai il telefono... Però non lo guardai subito. Era successo che avevamo passato tutta la sera prima a chattare, ma a un certo punto io mi addormentai e non lessi l'ultimo messaggio di gemella. Dentro avevo come una sensazione che le stava succedendo qualcosa di brutto, e percorsi quel centinaio di metri scarsi che separano le nostre case quasi volando. Giunto più o meno a metà strada, mi bloccai come se mi  avessero messo dei piombi ai piedi... Istintivamente, presi il cellulare e trovai quel messaggio. C'era scritto: Tato, ho l'influenza!. Ecco cos'era quello stato di inquietudine che mi aveva portato da lei! Ora capisci? Ti risparmio il resto perché sono cose troppo personali, ma ti dico che quei cosiddetti "amici" non le hanno fatto nemmeno una telefonata... Insomma, essere "gemelli" è una "maledizione" che dura per tutta la vita e che non dipende soltanto da noi... Fare sesso è solo l'esplicitazione fisica di quel legame che parte dalla testa...".


Spiegare tutte quelle cose così intime non servì a nulla, e le offese che continuarono a vomitare su Blanca erano davvero troppe. Perciò, decisi di essere volutamente duro così come loro erano state dure con lei, e conclusi:
- "Silvana, credo che noi non abbiamo più nulla da dirci... Avrai capito che voglio Tati e non cercare di dissuadermi perché ormai ho deciso... Addio e buona fortuna".
E me ne andai sbattendo la porta...


18. Doccia fredda. 


Uscii di casa con l'intenzione di andare da lei a raccontarle tutto quello che era accaduto, quando – giunto sulla piazza, nei pressi della fontana – vidi  un'auto dalla quale stava scendendo un ragazzo. Ebbi un terribile presentimento, e un brivido mi corse lungo la schiena... Rallentai volutamente il passo per fare in modo che mi passasse avanti, e vidi anche ciò che non avrei mai voluto vedere: stava parlando al telefono a voce alta in modo tale che fu impossibile non attirare la mia attenzione, e senza alcun ritegno per la mia presenza entrò da  gemella...
Per l'ennesima volta mi crollò il mondo addosso e mi si chiuse lo stomaco. Non so se era gelosia, ma certamente era amore, difficile da spiegare. Un amore – perdonami Tati – per una "puttana"... Amore, tenerezza e senso di protezione  insieme. 
Contrariamente al mio solito, continuai a girare nei paraggi, ascoltando – ad ogni passaggio – la sua musica ad alto volume, finché la musica cessò, il portoncino si aprì, e quel "bastardo" lasciò la sua casa.
Avevo gli occhi annebbiati dal pianto, e non ebbi il coraggio di affrontarlo, tanto ormai il "danno" era fatto, ma mi veniva il voltastomaco... 
- “Non sei un uomo, anche se l'hai scopata, ma un verme... Che tu possa andare a fottere tua madre!”, pensai…
Rimasi ancora un pò li sotto, non la volevo abbandonare: e se avesse avuto bisogno? Era tutta la mia vita, ed io mi sentivo attaccato a lei come un naufrago a un relitto.
Feci un respiro profondo, mi asciugai gli occhi e bussai... Forse aspettava un altro "amico", perché quando mi vide rimase un attimo sorpresa. Ma subito si accorse che avevo gli occhi rossi e si allarmò:
- "Tato, ma che succede?".
La fissai senza dire niente, interrogandola con il solo sguardo. Poi le domandai:
- "Chi era quello?", e indicai la porta...
Blanca capì che avevo visto qualcosa, e fu franca:
- "Voglio essere sincera con te, Cla: non ce l'ho fatta a smettere, perdonami...".
E una lacrima solitaria tornò a rigare il mio volto. Abbassai lo sguardo a terra, mi voltai e feci per andarmene... Allora gemella mi prese per un braccio e mi fermò dicendomi:
- "Eri venuto per dirmi qualcosa?".
E io:
- "Tati, ti rendi conto che mi stai facendo impazzire?".
Non attesi la sua risposta e me ne andai... La notte non chiusi occhio, mi arrovellai il cervello e cercai di trovare una via d'uscita, ma senza esito. Poi mi addormentai... E fu allora che mi giunse il trillo di un sms: era lei. Mi diceva:
- "Tatone, ti prego: non abbandonarmi... Sono confusa, dammi un pò di tempo... So che ti ho fatto male, ma tu aiutami lo stesso... Saremo sempre gemelli, nonostante tutto..".


Stetti con gli occhi fissi su quelle parole a domandarmi cosa fare. Mi chiedeva aiuto, e io come potevo negarglielo? Eravamo stati sempre così visceralmente uniti contro ogni avversità, e adesso? Mi sentivo tradito ma non riuscivo a voltarle le spalle. Risposi:
- "Scusami se sono stato un pò duro ieri sera... Ma l'ho fatto perché ti voglio bene. Abbi cura di te, io ci sarò sempre...".


19. All'inferno e in paradiso. 


Vivevamo vicini, ma come eravamo lontani in quei giorni! Così, per sfogarmi, decisi di concedermi una passeggiata a Roma, la mia città natale, dove avvenne l’impensabile. 


Era una serata estiva e mi trovavo in una Piazza Navona affollatissima, seduto su una panchina, solo e triste tra la gente. A un certo punto, il mio sguardo andò a fissarsi in quello di una ragazza che si trovava al lato opposto della piazza. Tra la confusione, non so come feci a scovarla, ma mi venne spontaneo di urlare:
- "Tatiiii".
Era assurdo che lei potesse sentirmi, benché continuava a fissarmi con insistenza... Un tuffo al cuore, e una nuova lacrima amara scese sul mio viso. Ero sicuro di averla riconosciuta, ma sembrava non avessimo il coraggio di affrontarci, di fare il primo passo.
Poi mi accorsi che lei stava con delle persone che dall'abbigliamento dovevano essere benestanti, ma ecco che si allontanò immediatamente da loro.
Ero incredulo, al punto che non pensavo volesse raggiungermi. Correva, correva, correva sempre di più tra la folla, avanzando e scansando tutti come se stesse nuotando, finché fu a portata delle mie braccia.
Ci stringemmo l'uno all'altra, come era accaduto migliaia di volte, ci baciammo da perdere il fiato, dopo di che io le chiesi diretto: 
- "Lavori ancora, vero?".
Mi pentii immediatamente di averle fatto quella domanda, e pensai fosse meglio non attendere risposta. Perciò, cambiai discorso e la aggiornai sulla mia situazione sentimentale. Le dissi: 
- "Tati, ho lasciato Silvana!".
Gemella sembrò pensierosa, poi rispose con un velo di humor che l'aveva sempre contraddistinta:
- "Si vede che noi siamo proprio sfortunati...".
Ma io mi affrettai a replicare:
- "Dipende... Adesso possiamo pensare solo a noi stessi... Tati, ti prego, non dirmi che non puoi... Ora o mai più...".
Mi rispose:
- "Tato, tu non sei normale... Noi non siamo normali!".
E tenendomi le mie mani nelle sue si mise a ridacchiare come una bimba dispettosa... Poi, si fece di nuovo seria e mi pregò:
- "Aspettami qui, torno subito".
Mi voltò le spalle e con passo deciso andò verso le persone con cui l'avevo vista poco prima... Erano i soliti "amici", che l'avrebbero di lì a poco portata in un hotel di lusso del centro per "divertirsi" con lei. Ma gemella aveva preso la sua decisione... Gli disse:
- "Ragazzi, scusatemi, ma è finita... Cambio vita!".
Li lasciò sorpresi e arrabbiati per quel repentino ripensamento e per avergli fatto sfumare una scopata, e tornò da me finalmente più leggera per essersi tolta quel peso che la opprimeva da troppo tempo.
Sospirò:
- "E’ stata dura ma ce l’ho fatta… Ho chiuso con quella vita... Tu sei il mio passato, il mio presente, e sarai il mio domani... Siamo l'uno il destino dell'altra... Portami via...".


Non credevo alle mie orecchie, ma feci come la mia gemella mi aveva chiesto. Ce ne tornammo al paese, dove la vita ricominciò e dove Blanca fu onorata e rispettata da tutti...


FINE.

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