Ci eravamo conosciuti su Facebook. Era venerdì sera, io ero solo come un cane e l’unica cosa che potevo fare era giocare un po’ col cellulare, sdraiato sul divano del soggiorno. Ignorando per quali variabili misteriose dell’algoritmo mi fosse stata proposta come possibile amica, trovai subito quella ragazza arrapante. La prima cosa a intrigarmi fu il nome: Minnie Malvagia. Poi rimasi come un ebete a fissare la foto del profilo, che mostrava una splendida ragazza dai lunghi capelli bruni e dal viso ovale nel quale risaltavano dei magnifici occhi intensi. Nella foto si stava rimirando allo specchio, compiaciuta, con indosso un vestito da sera che rivelava un gran paio di gambe affusolate.


Non ci avevo pensato un secondo per chiederle l’amicizia e, pochi minuti dopo averlo fatto, lei me l’aveva subito concessa. Accorgendomi da messenger che era online, cercai immediatamente di attaccare bottone.


“Grazie per l’amicizia. Allora non è vero che sei così malvagia…”, scrissi aggiungendo l’emoticon che fa l’occhiolino.


Lei mi fece aspettare due minuti.


“In realtà sono buona, soprattutto con i ragazzi carini”.


La mia risposta fu immediata.


“E tu mi trovi carino?”


“Secondo te?”


Bastò questo scambio di battute per attizzarmi alla grande, e la buttai sul classico complimento che può andare a segno come rovinare tutto.


“E allora io cosa dovrei dire di te che sei bellissima? – le scrissi – Non trovo neanche le parole…”


L’attesa fu solo di un minuto.


“Thanks, dear. Come mai sei in casa di venerdì sera? Mi hai beccato per un pelo…”


Mentii spudoratamente.


“Veramente stavo per uscire anch’o, ma quei bastardi dei miei amici mi hanno dato buca e adesso devo decidere cosa fare. Sono solo, mi sa che me ne vado al cinema”.


Ecco fatto: io avevo lanciato l’amo e adesso stava a lei abboccare. Incrociai le dita.


I secondi di attesa furono solo trenta.


“Io sto andando a ‘Radio Londra’ a Testaccio. Perché non mi raggiungi così mi offri da bere?”, scrisse, aggiungendo anche lei l’emoticon che fa l’occhiolino.


Alzai il pugno in un gesto di vittoria.


“Molto volentieri. Ci vediamo là tra mezz’ora? Anche se ci sarà una calca pazzesca, prometto che ti trovo…”


La risposta di lei fu quasi in tempo reale.


“Lo so che ti sembro pazza, ma prima posso chiederti due cose?”


“Certo”.


“Dunque… la prima…”


Cominciò così una febbrile attività di scrittura che mi parve non volesse finire mai. Dal messenger vedevo che era impegnata a scrivere, a scrivere, a scrivere, ma non finiva mai. Scrisse incessantemente per non so quanto tempo e quando alla fine mi mandò il messaggio ci restai malissimo.


“No, dai non fa niente”, si limitò a dirmi. Ecco tutto.


Credo di conoscere abbastanza bene le donne da sapere che questa ritrosia in realtà non è altro che pura tattica e la curiosità di scoprire cosa ci fosse dietro a questo mistero mise di nuovo in fiamme la mia eccitazione. Così stetti al gioco, recitando la parte del cretino.


“Dai, chiedi pure! Ormai devi dirmelo!”, le scrissi.


“Va beh, a costo di sembrarti pazza e di mandarmi a fare in culo…”, scrisse e poi niente: nessun movimento, nessun cenno di vita, tutto finito di colpo in una frase troncata a metà.


Adesso questo tira e molla cominciava a infastidirmi, soprattutto perché credetti che il suo silenzio fosse un modo sbrigativo di mandarmi a fanculo.


“Allora??????? – le scrissi – Mi ricredo: sei davvero malvagia sul serio”.


Il messenger si rianimò, ma tutto non durò neanche dieci secondi.


“… mi mandi una foto del tuo cazzo?”, mi scrisse.


Per qualche secondo restai di pietra, del tutto incredulo. Era la prima volta che mi succedeva una cosa del genere, ma per uno scopatore libertino come me una situazione simile era un invito a nozze. Se questa tipa era pazza da legare, io non l’avrei di certo fermata. Così con movimenti febbrili mi alzai dal divano, mi calai pantaloni e slip e col cellulare feci tre scatti al mio cazzo in tiro, da angolazioni diverse. Poi senza pensarci un attimo gliele girai.


Riguardai le foto e mi dissi che non mi facevano fare brutta figura: in una avevo ripreso in primo piano la cappella, lasciando che il cazzo si vedesse dall’alto, in un’altra avevo ripreso il cazzo per intero, a proporzioni naturali, e nell’ultima lo tenevo stretto nella mano, bello grosso, come se fosse una spada.


“Come vedi ho assecondato il tuo volere senza battere ciglio – le scrissi – Però adesso mi devi una spiegazione, tesoro”. E, per fare capire che mi stavo deliziando, aggiunsi l’emoticon che sorrideva con la bocca aperta a spicchio.


Quando lei riprese a digitare, con la mano libera dal cellulare ne approfittai per segarmi un po’.


“Non so perché l’ho fatto – mi scrisse – La verità è che sono pazza. Forse volevo vedere se anche il tuo cazzo era carino”.


La frase era seguita da una decina di emoticon che ridevano fino alle lacrime.


Bloccai la sega per non rischiare di venire.


“Hai ragione: non so se sei malvagia, ma di certo sei fusa di testa – scrissi, replicando la fila dell’emoticon sghignazzante – Ebbene, qual è il verdetto dopo la visione delle foto?”


Ormai non aveva più senso fare il damerino, tanto valeva forzare la mano.


“Ho il cazzo carino abbastanza? – le chiesi – Ho passato l’esame?”


Lei rispose in un attimo.


“A pieni voti”.


“Wow! – scrissi – E il secondo piacere che vuoi che faccia qual è? A questo punto mi aspetto di tutto…”


L’attesa fu breve.


“Niente di folle. Se mi garantisci che vieni davvero a ‘Radio Londra’, posso chiederti un passaggio a casa quando andiamo via?”


Da quando avevamo a chattare ritenni che questo fosse il messaggio più importante tra tutti quelli che ci eravamo mandato.


“Ma scherzi? Sarà un piacere. Allora io esco adesso e ci troviamo dentro al locale, va bene?”


“Va bene, grazie. Sei molto gentile”.


Ci scambiammo per precauzione i cellulari.


“Ciao, matta da legare. A tra poco”.


“A tra poco, caro”.


‘Radio Londra’ è uno dei locali più divertenti di Roma. Frequentato da un pubblico eterogeneo, ha una dichiarata vena trasgressiva che le conferisce un fascino unico e particolare. Ci trovi di tutto: dai ragazzi dei Parioli a quelli delle borgate, dai travestiti in abiti tutti lustrini e paillettes agli amanti del sadomaso a torso nudo e gilet di pelle nera.  Quella sera ebbi la fortuna di trovare quasi subito parcheggio e non dovetti fare nessuna fila per entrare dal momento che Mike, il buttafuori di colore, era un mio buon amico.


Entrato dentro, cominciò l’esplorazione alla caccia di Minnie, cosa non facile perché la gente era tantissima. Dopo l’ingresso c’era la prima sala col bancone dove si beveva e si chiacchierava. Ma bastavano pochi passi per passare a quella dove si ballava, che era davvero una bolgia disumana. Stavo per rassegnarmi a buttarmi nella mischia quando qualcuno gli batté sulla spalla. Mi voltai e la vidi.


“Ciao, tesoro – mi disse – Allora non mi hai dato buca…”


“Perché? C’è qualche pazzo al mondo che lo ha mai fatto?”


Lei rise e mi diede due baci sulle guance. Guardandola così da vicino, pensai che dal vivo era anche meglio che in foto. I capelli erano meravigliosi, vaporosi e lunghi a coprire la schiena. La bocca era sensuale, ma non eccessivamente carnosa, e il naso regolare. Poi c’erano gli occhi, scuri e intensi, nei quali sentii di potermi perdermici dentro. Indossava un vestito rosso molto corto, che partiva da sotto le spalle per fermarsi appena dopo il bacino.


“Sei di una bellezza che toglie il fiato”, le dissi.


Lei mi carezzò i capelli.


“Anche u sei molto carino – gli disse – E poi mi piace come ti comporti”.


“Che intendi?”


“Ora te lo posso confessare. Quella richiesta delle foto era un test che faccio a tutti quelli che conosco online”.


Non capii.


“Un test?”, le chiesi.


“Se fossi stato un qualsiasi stronzo come ne incontro a centinaia, dopo avermi mandato quelle foto me le avresti chieste subito anche a me, mentre tu non l’hai fatto”.


“E a questo che significato dai?”


“Che sei uno che sa stare al gioco”, mi rispose.


“E se invece ti avessi chiesto le foto?”


“Avrei bloccato il tuo contatto in un secondo”.


Pensai che avesse ragione. Dopo averle mandato le foto, mi ero chiesto per un istante se fosse il caso di domandarle di fare altrettanto, ma alla fine avevo rinunciato proprio per non fare la parte del tipico coatto che sbava per la figa.


“Mi hai chiesto un piacere e te l’ho fatto – le dissi – Tutto qua. Non era scritto da nessuna parte che tu dovessi ricambiare”.


Lei rise.


“Dimmi la verità: cosa hai pensato?”


“La verità? Mi hai intrigato in un modo pazzesco. Per prima cosa mi sono messo a ridere pensando a quanto tu fossi fuori di testa. Ma visto che lo sono anche io, ho voluto vedere dove volessi andare a parare. E comunque devi sapere che per un uomo è molto seducente rapportarsi da subito in modo così intrigante con una ragazza stupenda come te, a prescindere dal fare sesso con lei oppure no”.


Malgrado il buio che permeava quella parte del locale, ebbi la strana impressione che lo sguardo di lei si corrucciasse di colpo. Ma fu una sensazione che durò lo spazio di un secondo, perché tutta pimpante mi propose di andare a ballare. Io non ne aveva nessuna voglia, ma non potevo certo rifiutarmi, così la presi per mano e cominciai a farmi largo tra i ragazzi che ci saltavano intorno come indemoniati. Trovammo un angolo appena meno affollato e cominciammo a ballare. Io più che a tenere il ritmo non sono capace, ma lei invece si muoveva in modo assolutamente sensuale, sfiorandomi e girandomi intorno, senza staccare mai quei suoi occhi diabolici da me. Era la ragazza più bella del locale, non c’era alcun dubbio, e glielo dissi. Dovetti usare un tono convincente perché lei, per tutta risposta, mi diede un bacio leggero sulla bocca.


“Sei davvero troppo carino – mi disse – Che bella serata! Adesso, però, riposati e stammi a vedere”


Fece per allontanarsi, ma si fermò e avvicinò la sua bocca al mio orecchio.


“E sappi che tutto questo lo faccio solo per te”, sussurrò.


Allora la vidi dirigersi verso un punto della sala dove il pavimento si rialzava grazie a un grande scalone che occupava tutto l’angolo di una parete. Era la zona del locale riservata alle ragazze che vogliono mettersi in mostra e da lontano la vidi salire e prendere il suo spazio. Ci cercammo subito con lo sguardo e, quando lei mi vide, mi mandò un bacio e cominciò a ballare. Come prima di fronte a me anche adesso si muoveva in modo terribilmente sensuale, sempre tenendomi inchiodato con i suoi occhi magnetici. Ma a differenza di prima adesso tutti i maschi del locale sapevano che lei era mia, che quello era un regalo che mi stava facendo, e io godevo al pensiero di quanto dovessero rosicare. Pensai che un venerdì sera all’inizio insulso era diventato un’avventura in compagnia di una ragazza dalla bellezza spettacolare, intelligente e sexy e in quel momento mi sentii davvero in estasi e le risposi guardandola serio, con occhi da duro, facendole capire che il tempo di scherzare per noi si era esaurito.


Lei sembrò cogliere al volo ciò che le stavo dicendo e dopo pochi minuti scese dal gradone e si mosse per raggiungermi. Io feci la stessa cosa, muovendomi verso di lei tra la folla che si dimenava. Ci dirigemmo l’uno verso l’altro e quando alla fine fummo a un centimetro di distanza ci baciammo. Le nostre lingue si perdevano l’una nell’altra, senza staccarsi, mai sazie del loro reciproco contatto e trovavo fantastico che tutto questo succedesse mentre la gente saltava e si dimenava intorno a noi. Quando il bacio alla fine si interruppe lei mi si strusciò addosso, come una gatta in calore, e con la mano mi sfiorò il cazzo sotto i pantaloni.


“Portami a casa”, mi disse.


Usciti dal locale, ci dirigemmo con passo rapido verso la mia macchina e durante il tragitto non scambiammo una parola, salvo le indicazioni stradali che ogni tanto mi dava. Abitava in una casetta singola in zona Tuscolana, un posto all’apparenza carino che nel lato dell’ingresso aveva un piccolo prato molto ben curato e un posto auto occupato da una Smart.


“In realtà potevo benissimo venire con la mia macchina – mi disse lei, mentre apriva la porta – ma volevo che mi riaccompagnassi”.


L’interno della casa era un unico vano, appena un poco più grande di un normale monolocale, diviso tra la zona living e un angolo cottura. Malgrado l’oscurità, distinsi un letto matrimoniale e, di fronte, un grande armadio. Notai anche una porta chiusa, che conduceva quasi senz’altro al bagno. Lei non accese la luce, preferendo che a creare l’atmosfera ci pensasse la luna che inondava ogni punto grazie a una porta finestra a lato dei fornelli. Ricominciammo a baciarsi, in piedi, abbracciati stretti, fino a quando lei mi forzò leggermente a cadere sul letto, per poi gettarmisi accanto.


“Posso spogliarti?”, le chiesi.


“Prima tu”, rispose lei.


Allora, cercando di tenere a bada la frenesia, mi tolsi la giacca, mi sfilai scarpe e calze, e poi a strattoni mi liberai della camicia bianca e dei jeans, rimanendo solo in boxer.


“Adesso posso spogliarti?”, le chiesi di nuovo.


Lei, annuì, vogliosa e si fece sfilare via il vestito da sera e si tolse le scarpe, rimanendo con solo le mutandine addosso. Non portando reggiseno, le vidi le tette piccole, quasi piatte ma appetitose, e mi avvicinai per dare una sola leccata a ciascun capezzolo. Al contatto con la mia bocca lei sospirò. Poi scese dal letto, si inginocchiò per terra davanti a me e mi tolse i boxer. Mentre la guardavo estasiato, ebbi di nuovo l’impressione che però ci fosse qualcosa a turbarla.


“Che bel cazzo che hai – mi disse – Molto più bello che nelle foto”.


Allora, sempre inginocchiata per terra, me lo prese in bocca e cominciò a farmi un bocchino. Bastarono pochi attimi perché capissi quanto lei fosse brava e ci fu un particolare che mi sconvolse particolarmente. Ormai ho perso il conto dei pompini che mi hanno fatto nella vita, ma la mia esperienza non mi fu sufficiente per capire come lei riuscisse a compiere un movimento particolare con la lingua in grado, con un unico gesto ininterrotto, di cominciare a succhiarmi la cappella per poi continuare avvolgendosi a serpente intorno all’asta e a darle al contempo degli strattoni piccoli e delicati, come se la stesse segando con la mano.


“Sei incredibile – dissi gemendo – Ma come fai?”


Lei continuò per un bel po’, senza fretta, fino a quando si tirò su, rimanendo in piedi di fronte a me. Adesso non mi potevo sbagliare: c’era davvero un’ombra di tristezza nei suoi occhi, l’espressione di un dubbio così radicale da sembrare quasi paura.


“Tesoro, che c’è?”, le chiesi.


Lei scosse la testa.


“Credevo che a questo punto te ne saresti accorto”, mi disse.


Non capii.


“Accorto di cosa, scusa?”.


Lei fece un paio di passi indietro, fermandosi a mezzo metro dal letto, in un punto totalmente irradiato dalla luce della luna. Fece un sospiro e si sfilò le mutandine, mettendo in mostra un cazzo, un cazzo vero e proprio, magari non troppo lungo, ma duro e con tanto di cappella in fuori.


Aprii la bocca per lo stupore.


“Io sono una trans – mi disse lei – Di solito quelli che mi conoscono lo capiscono dopo poco, ma tu no”.


Mi sentivo troppo frastornato per riuscire a replicare qualcosa. Continuavo a guardarla, mentre dentro mi montava un forte di straniamento provocato dal contrasto tra quel corpo stupendo di donna e la presenza di un cazzo in tutto e per tutto maschile.


“Sei arrabbiato con me? – mi chiese lei – Non parli più”.


Mi ripresi e scossi la testa.


“No, non sono affatto arrabbiato – risposi – Piuttosto sono… sorpreso, ecco”.


“Dalla tua reazione mi pare di capire che non sei mai stato con una trans”, mi disse.


“No, mai. E a dire il vero non ci ho neanche mai pensato”.


Poi, trovando offensivo che mi stesse davanti come se fosse un animale in esposizione, battei la mano sul materasso.


“Che fai lì in piedi? – le dissi – Dai, vieni a sederti accanto a me”.


Lei obbedì, ma nei suoi gesti lessi tanta tristezza.


“Forse dovevo dirtelo prima di baciarti – mi disse – E di prendertelo in bocca”.


Feci vigorosamente di no con la testa.


“Non hai fatto nulla di sbagliato – le dissi – Non so cosa pensare, ma non sono arrabbiato”.


Lei allungò la mano e mi carezzò una guancia.


“Sai tranquillo, non dirò a nessuno quello che è successo”, mi disse con dolcezza.


La guardai infastidito.


“Ma di cosa stai parlando? Parli come se avessimo fatto qualcosa di cui vergognarci. Invece io sono stato benissimo e tu mi piaci da morire”.


I suoi occhi si spalancarono come quelli di una bambina che riceve un regalo e, se possibile, mi sembrarono ancora più belli.


“Io ti piaccio da morire?”, mi chiese.


Feci una pausa e poi parlai ad alta voce come se io per primo avessi bisogno di sentirmi dire la verità.


“Sì, mi piaci da morire, con o senza cazzo”, dissi.


Poi abbassai lo sguardo tra le gambe di lei e vidi che le era diventato moscio. Anche a me era diventato moscio, ma sapevo che sarebbe bastato uno schiocco di dita per farlo tornare come poco prima.


“Come al solito mi hai detto delle parole bellissime – fece lei – anche se immagino che adesso vorrai andare via”.


Io sentivo mille pensieri passarmi nella testa, talmente veloci da non riuscire a coglierne neanche uno. Volevo andare via o volevo rimanere? E perché, se ordinavo a me stesso di andarmene, tutto– il mio corpo, il mio cazzo, i miei pensieri – mi diceva esattamente il contrario? Alla fine buttai fuori l’aria con un respiro che scacciò via le paranoie.


“Senti, questa è una serata folle – le dissi – E non ci sto capendo niente. No, non voglio per niente andare via. E comunque, anche adesso che ho visto come sei, non riesco comunque a smettere di pensare a te come a una donna”.


Un velo di lacrime le velò gli occhi.


“Grazie. Mi hai appena detto il tuo complimento più dolce. Perché è così che mi sento: una donna. Lo so che ho qualcosa di troppo per esserlo davvero, ma quando faccio sesso, soprattutto se è con un ragazzo che mi piace, io sono una donna e so che lo sono anche per lui. Ti sembrerà assurdo, ma è così”.


Sentii che avevo di nuovo il cazzo duro e non feci niente per nasconderlo. Fino a quella sera avevo avuto esperienze solo con donne, ma adesso – incredibilmente – non sentivo alcuna resistenza o fastidio all’idea di scopare quella ragazza bellissima. Perché lei, ai miei occhi come al mio cazzo di marmo, era solo e soltanto una ragazza bellissima. Così mi avvicinai a lei e la baciai. Avvertì inizialmente il suo stupore, ma bastò un secondo perché le nostre lingue tornassero a intrecciarsi e a cercarsi come avevano fatto prima. Poi mi staccai da lei.


“Dimmi cosa vuoi che faccia”, le dissi.


“Devi fare quello che ti senti”, rispose.


Allora indietreggiammo sul materasso fino a trovarci sdraiati l’uno accanto all’altra. Mi resi conto che ormai avevo superato ogni inibizione e cancellato ogni resistenza. Mi sentivo libero e curioso, aperto a esplorare luoghi sconosciuti dai quali mi ero sempre tenuto lontano e che adesso, invece, mi lasciavano intravedere nuovi piaceri da assaporare senza timore e senza vergogna.


“Posso provare a succhiarti il cazzo?”, le chiesi.


Lei sorrise, incredula.


“Ma certo”, disse.


Così mi piazzai in ginocchio all’altezza del suo bacino, in modo da avere il suo cazzo a un centimetro dalla sua bocca.


“Se non piace fermami”, le dissi prima di iniziare.


Allora le presi il cazzo in bocca. La prima sensazione fu quella di un’assoluta normalità. Stavo compiendo per la prima volta nella mia vita un atto sessuale per me incredibile a livello razionale ma che adesso, invece, non mi pareva affatto strano, al contrario naturale e spontaneo. Non sapendo però come muovermi mi sforzai di fare quello che di solito una donna faceva al mio. Mi accorsi che, non avendo lei un cazzo grosso, riuscivo a prenderlo per intero e, dopo essermi dedicato a leccarle le palle e a succhiarle, pennellai il fusto con la lingua e lo baciai teneramente.


La sentii mormorare di piacere.


“Tesoro – mi disse – Così mi fai perdere la testa…”


Leccavo con lentezza, risalendo piano piano perché sentivo il desiderio incredibile di arrivare alla cappella e ritardare quel momento mi eccitava. A un certo punto, però, non riuscii più a resistere e le strinsi con tenerezza la cappella tra le labbra, mentre la lingua la baciava e la succhiava. A quel punto dovetti perdere la cognizione di me, perché sentii la voce di lei interrompermi e farmi rendere conto che le stavo spompinando tutto il cazzo con vigore, carezzandolo chissà da quanto con la testa che andava ritmicamente su e giù.


“Così mi fai venire…”, mi disse.


Ci abbracciammo stretti e ci baciammo.


“Ti è piaciuto?”, le chiesi.


Lei chiuse gli occhi, beata.


“Sei stato incredibile. Non ci credo che era la tua prima volta”.


Feci una risata.


“Te lo giuro”, le dissi.


“E ti è piaciuto?”


“Da morire. Davvero”.


Lei mi prese il cazzo in mano.


“E chi ero per te mentre lo facevi? – mi chiese – Un maschio o una femmina?”


Non esitai un secondo.


“Eri, e rimani, una femmina – le risposi – Avevi ragione, non ho avuto alcun dubbio su questo”.


Lei fece una risata di gioia e si girò, sdraiandosi sulla pancia.


“Allora meriti un premio”, mi disse.


“Un premio? Che premio?”


“Che ne dici di questo culetto? Te gusta?”


Le dovetti guardare il culo con occhi estatici perché le scappò un’altra risata. Pur essendo di corporatura snella, non aveva il culo piatto, ma ondulato, dalle linee perfette, stupendamente bombato. Pensai che quello non poteva essere il culo di un uomo e le carezzai il solco tra le natiche, che parevano di seta.


“Non sto scherzando – le dissi – Non ho mai visto niente di più bello”.


Lei allora si tirò su dal letto, mettendosi a pecora col culo rivolto al mio cazzo.


“E allora prendilo – mi disse – É tutto tuo”.


Io scattai come una molla, le strinsi il culo con entrambe le mani e ci piantai la faccia dentro. Lo aprii appena per vedere il buco e vidi che anche questo era perfetto, un orifizio perfetto senza le slabbrature provocate dai colpi di un cazzo. Mi chiesi come fosse possibile, ma fu solo per un attimo. Poi cominciai a leccarlo, ad ammorbidirlo con la lingua e a stuzzicarlo spingendola dentro il più possibile.


“Così mi fai impazzire – gemette lei – È una cosa che mi manda fuori di testa”.


Io per tutta risposta mi misi a leccare con ancora più foga e quel buco stupendo ricompensò i miei sforzi dischiudendosi appena.


“Hai un preservativo?”, le chiesi.


Lei scosse la testa.


“Ti voglio a pelle”, mi disse.


Fu come gettare un fiammifero acceso in un barile di polvere da sparo. Allargandole il culo per bene, appoggiai la mia cappella sopra al buco e spinsi. Fu come essere trafitto da un fulmine. Vidi il mio cazzo riempire quel culo pazzesco e venirne risucchiato dentro, stretto come se fosse una mano in un guanto. Lanciai un urlo animalesco e anche lei si mise a gridare.


“Amore, sì! Così, così! Spingilo tutto, spingilo fino in fondo!”


Quando lo tirai fuori aspettai un secondo per prendere vigore e le diedi il colpo più forte che potessi. Il mio cazzo affondò fino alle palle e io urlai di nuovo.


“Bravo, amore! – mi disse lei – Sempre così! Sfondami tutta! Mettici tutta la forza che hai!”


Cominciò così la scopata più bella della mia vita. Ormai completamente incapaci di intendere e di volere, ci abbandonammo l’uno all’altra come in un volo senza paracadute. La inculai in ogni modo che mi veniva in mente e accontentai ogni posizione che lei mi chiese di fare. La vidi sussultare in preda a una specie di scossa elettrica mentre a smorzacandela si impalava sul mio cazzo. La sbattei selvaggiamente reggendole le gambe sulle spalle. Lei mi volle incollato dietro, a cucchiaio, per prenderlo in modo da poterci anche baciare con passione. E sembravamo non averne mai abbastanza. Così la inculai stando entrambi in piedi, oppure facendola sedere sul tavolo della cucina. La inculai a carriola, tenendola sollevata per le cosce e lasciando le mani a puntellarsi sul pavimento. Lei mi chiese di riprenderla a pecora, ma stando dritto sulle gambe e infliggendole dei colpi selvaggi. Infine la inculai standole semplicemente sdraiato addosso, con i suoi piedi intrecciati sopra la mia schiena.


Non so quanto tempo era passato quando lei mi disse che voleva venire.


“Come vuoi fare?”, le chiesi, completamente lucido di sudore.


Lei si sdraiò sulla schiena e mi volle sopra, tenendo i suoi polpacci ancorati sui miei avambracci.


“Adesso pompami mentre io mi sego”, mi disse.


Io obbedii, tenendo gli occhi fissi sulla mano che scuoteva quel cazzo delizioso. Bastarono pochi colpi perché arrivasse l’orgasmo. Il cazzo si svuotò dopo appena tre schizzi, ma lei continuò a menarselo perché evidentemente il piacere continuava incessante. Il corpo di lei sussultò e il viso si contrasse in un’espressione che non avevo mai visto in nessuna donna mentre veniva, un misto di gioia e di liberazione, dove gli occhi erano sbarrati dall’orgasmo e la bocca aperta come a ritrovare il respiro dopo una lunga apnea.


Quando tutto finì, sfilai il mio cazzo dal suo culo e ci mettemmo sdraiati. Lei non parlava e io non volevo disturbare quel momento dicendo qualcosa di improprio.


“Non ci credo che ho goduto così – disse lei – Non è possibile godere tanto”.


Ci girammo su un fianco per potere baciarci, poi lei con ritrovata energia mi spinse facendomi ricadere sulle spalle.


“E adesso pensiamo a rendere felice questo portento del sesso!”, mi disse.


Il pompino che mi fece fu ancora più spettacolare del primo. Perso nel mare caldo della mia bocca il mio cazzo si arrese dopo due minuti.


“Sto venendo! – l’avvertii – Sto venendo!”


Lei fece uno strillo selvaggio mentre si attaccava al mio cazzo con ancora più foga, lasciando che le sborrassi in bocca. Fu un orgasmo interminabile, incredibile, esaltante. Sentivo che a ogni contrazione lo sperma continuava a uscire e sembrava che non volesse finire mai, ma lei rimase incollata al mio cazzo e a bere tutto quello che veniva eruttato. Anche quando gli schizzi finirono lei continuò per un po’ a spompinare.


“Così non mi sono persa neanche una goccia”, mi disse con sguardo insolente quando ritornò accanto a me.


Restammo per un lungo momento al buio.


“Mi stai facendo perdere la testa – le dissi – Mi sembra tutto un incredibile sogno”.


Lei si strinse al mio corpo.


“Io mi sento sulla luna”, mi disse.


Le carezzai la linea dei fianchi e poi scesi di poco, giusto per stringerle con tenerezza quel cazzo di cui adesso sentivo non poter più fare a meno.


“Sei una ragazza stupenda – le dissi – Sei perfetta”.


Lei si commosse di nuovo e le sue lacrime bagnarono il mio petto.


“Lo credi davvero?”, mi chiese.


“Voglio stare con te”, le dissi.


Ci baciammo a lungo. Quando ci staccammo, notai che sul suo viso bellissimo era ritornata un’espressione carica di malizia.


“E mettiamo caso che un giorno ti inculassi io – mi disse – Sarei anche in quel caso la tua ragazza stupenda?”


“Ti piace anche metterlo in culo?”, le chiesi.


“Chissà – rispose lei, sempre più divertita – Perché no?”


Io le sorrisi, complice.


“Non posso risponderti senza sapere com’è – le dissi – Facciamo così: adesso riprendiamo le forze per dieci minuti e poi ti lascio libera di fare al mio culo tutto quello che vuoi”.


La vidi allungare l’indice di una mano e mettersi a scavare nel mio culo, fino a fermarsi sul mio buchetto vergine. Io ebbi un brivido di piacere.


“Che io sia maschio o femmina – mi disse – tu sei un vero uomo. Su questo non ci sono dubbi”.


Poi, con una faccia da porca, affondò il dito. Ma questa è un’altra storia.


 


 

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