Qualche anno fa lavoravo in una azienda dove c’era una collega (che chiamerò Emme per ovvi motivi) decisamente speciale.


Il nostro rapporto nacque come un normale rapporto tra colleghi, ma col passare del tempo diventò qualcosa di totalmente diverso, decisamente coinvolgente e appassionante, tanto che, a distanza ormai di qualche anno, mi capita di pensarci ancora.


Il tutto, come immagino accada a tanti, nacque alla macchinetta del caffè, parlando del più e del meno ci accorgemmo che avevamo si tante cose in comune, ma più che altro ci piacevamo. Ci piacevamo un sacco, ma per motivi di famiglia lei e di rispetto io per parecchio tempo si è fatto finta di nulla. Era comunque molto piacevole già così, alla fine eravamo l’uno per l’altra un motivo in più per svegliarsi contenti di andare al lavoro, che non è poco. Ammetto però che, classico da maschietto, ci misi un po' ad accorgermi di tutto.


Pranzavamo spesso insieme, in quanto lei non abitava li vicino, e quindi non mi dispiaceva farle compagnia e anzi, molto spesso mi adoperavo per cucinarle qualcosa a pranzo. Quel giorno però decidemmo di andare al giapponese, che quello dalle mie parti è particolarmente veloce e si sposava bene con i 90 minuti di pausa a disposizione di entrambi.


Torniamo indietro e, una volta parcheggiato, non faccio in tempo a girarmi che mi prende e mi dà un bacio di quelli belli, passionali.


Totalmente inaspettato.


Era ancora quella fase per cui di barriere alzate ce ne erano parecchie. In primis per le situazioni che ho descritto prima, e poi perché, almeno per quanto mi riguarda, quando ci sono in mezzo tante altre cose (come era il nostro caso) ci si va coi piedi di piombo, almeno per un po'.


Il nostro “po'” non durò comunque tanto.


I primissimi tempi dopo quel bacio furono un passo indietro, comunque.  C’era imbarazzo da entrambo le parti. Questo però non diminuì le nostre pause insieme, anzi: si può dire che cercavamo di stare insieme sempre più spesso, fino a quando un giorno parlammo seriamente di tutta questa situazione e ne venne fuori, ovviamente, che ci piacevamo, che c’era una fortissima attrazione fisica, ma che non si sarebbe potuto fare nulla più di quello che era già successo. Anzi, eravamo già andati troppo oltre.


Certamente.


Da quel momento qualcosa si smosse e iniziò quella che, alla fine, va considerata una relazione in tutto e per tutto, che durò anche abbastanza per quanto la situazione fosse folle, credetemi.


Al pomeriggio il software di posta mi ricordò che avevo una riunione. Guardo tra i partecipanti e fortunatamente c’è anche lei.


La sala era una sala bella e recente, ci si disponeva parallelamente al tavolo lungo (classico da sala riunione), che a sua volta era perpendicolare alla parete dove veniva proiettato appunto il proiettore.


Emme sedeva di fronte a me ed eravamo entrambi gli ultimi delle rispettive file. Generalmente si vestiva davvero normalmente: Converse, jeans e maglietta, e per quanto fosse appunto normalissima a me piaceva già un sacco così, nella sua semplicità. E per quanto a lei non interessasse minimamente apparire sexy o sensuale, con i suoi occhi azzurri, i capelli rossi e i seni belli grandi, senza apparire volgari; ai miei occhi era splendida, sempre.


La riunione proseguiva noiosa, noiosissima, mi stavo addormentando quando ad un tratto come un sussulto: qualcosa mi stava toccando il pacco. Mi mossi leggermente sulla sedia e mi misi un po' più composto anche perché la dozzina di colleghi si era girata un attimo verso il rumore della sedia. 
Mi misi più composto e feci finta che fosse per prendere meglio degli appunti, ma rispetto alla posizione più svaccata di prima, ora c’era un po' di spazio tra la mia pancia e il tavolo, e potevo vedere appunto cosa succedeva lì sotto.


Appena tutti si rigirano nuovamente qualcosa mi si appoggiò dolcemente sul pacco, e vidi un piede di Emme che mi massaggiava.


Alzai lo sguardo e vidi Emme che non mi stava guardando, ma guardava in basso mentre anche lei faceva finta di prendere appunti, e sulla faccia aveva stampato un sorrisetto malizioso, mentre si mordeva il labbro: avrebbe eccitato chiunque. Intanto che cercavo di mantenere un po' di contegno, vibrò il telefono. 
La notifica diceva: “mettiti meglio” e l’emoji di un diavoletto. Era chiaramente di Emme.


Col culo mi svaccai un po' di più giù sulla sedia ed Emme immediatamente ricominciò il massaggio. Era brava con quel piede, nonostante non potesse fare chissà che, non credevo nemmeno che si potesse riuscire ad usarlo così. Ad un certo punto il relatore le fece pure una domanda: Il panico più totale lasciò spazio all’incredulità quando lei rispose senza battere ciglio. E senza battere ciglio continuò a massaggiarmi il pacco col piede, con ancora più forza e voglia.


Io ero di marmo, non sapevo più dove stare, avrei solo voluto tirarlo fuori e prenderla ovunque, ma il momento proprio non era dei più opportuni.


Altro messaggio, come se mi avesse sentito: “tiralo fuori”.


La guardai con gli occhi sgranati: “sei scema” dissi ad alta voce nella mia testa. Lei mi guardava, non disse nulla chiaramente, ma fece un solo, malizioso, sorriso ed ero completamente alla sua mercè.  


Cervello completamente in pappa. In quel momento il mio unico scopo su questa terra era quello di tirare fuori il cazzo sotto al tavolo durante una riunione in cui erano presenti 12-13 persone.


E nonostante l’assurdità della situazione, lo feci.


Lentamente, guardando fisso il relatore e cercando di sembrare il più interessato possibile, con la mano destra che era la più lontana da tutti, scesi lentamente, attento che nessuno sguardo si soffermasse su di me. Giunto a destinazione, lentamente aprii la zip, dopo avere massaggiato a mia volta per qualche secondo il piede di Emme. I boxer sportivi però non mi aiutarono granché, perciò dovetti stendermi leggermente di più. Nel fare quel movimento ne approfittai per abbassare il più possibile l’elastico del boxer, attirando ovviamente le attenzioni del relatore che mi chiese se andasse tutto bene. Gli risposi che stavo un attimo stirando la schiena, dato che effettivamente storicamente ne soffro. La mia voce ne uscì impacciata chiaramente, anche se, non so davvero come, sfruttai il momento per un ultimo repentino movimento che ai miei occhi sembrò perfetto; Emme invece mi riferì successivamente che era sicura mi sarei fatto beccare. Riuscii a tirarlo fuori miracolosamente. Guardai Emme che intanto sfoggiava un sorriso che era un mix tra divertimento ed eccitazione. Mi guardò solo per un secondo con quello sguardo, e mentre la sua testa si girava a seguire nuovamente la riunione, il suo piede, stavolta senza calzino (come diavolo aveva fatto a toglierselo senza fare il minimo rumore sotto al tavolo è ancora un mistero) incominciò una non fluidissima, ma eccitante a livelli fotonici, sega.


Col piede andava su e giù, prima in maniera dolce poi più veloce e poi quasi al limite del doloroso, ma quando si accorgeva che stava perdendo il controllo anche lei, rallentava, per poi ricominciare qualche istante dopo.


Cercavo di guardarla il meno possibile, ma spesso sentivo i suoi occhi addosso mentre cercavano i miei segni di godimento. Ovviamente cercavo di non darle soddisfazione, ma ogni tanto, sempre facendo una commedia spudorata, mi raccoglievo un attimo e nascondendomi sotto la mano sinistra che mettevo sulla fronte, mi godevo il momento.


La cosa andò avanti un po' e io ero lì li, pronto a venire, ma in quel momento non si poteva proprio, già il tutto era decisamente oltre la routine negli anni: venirle copiosamente sul piede non mi sembrava la scelta più intelligente. Feci per accavallare le gambe e le tenni chiuse fino a quando riuscii a richiudermi la zip e darmi un contegno.


La riunione finì e ognuno tornò nel proprio ufficio.


La mia testa però rimase in sala riunioni. Quell’atteggiamento assolutamente inaspettato da parte di Emme mi aveva lasciato letteralmente carico a pallettoni. Non era proprio il pomeriggio adatto a lavorare, o quantomeno a concentrarsi, e mentre pensavo proprio a come diavolo avrei fatto a fare arrivare sera, bussarono (da questo momento il mio personaggio sarà “Erre”):
“Erre hai da fare? Posso entrare?”


Era Emme. Non mi aspettavo proprio di vederla subito dopo, speravo di calmarmi un attimo. Lei invece sembrava tornata in modalità serietà (cosa che le ho sempre invidiato, sapeva essere una collaboratrice invidiabile: lavorativamente parlando un mostro, veramente). Probabilmente capiva che io non ero pronto invece perché mi chiese un “Ci sei?” leggermente divertita.


“Si si, vieni pure le dissi”. In quel momento non avrebbe avuto senso parlare di quello che era successo poco fa, lei era già proiettata avanti, e feci lo sforzo di tornare sul pianeta terra, dato che con la testa ero nelle sue mutande (fortunatamente da lì a poco ci entrai veramente).


Chiaramente anche qua mi sbagliavo. Avevamo un piccolo progettino relativo al gestionale che si usava in azienda, e se avessi ascoltato un minimo la riunione avrei anche saputo perché Emme era lì nel mio ufficio. Mi accingo, faticosamente, ad aprire il progetto quando nel mentre sento una mano di nuovo sul pacco.


Non faccio in tempo a girarmi e a dire “A” che lei subito, serafica: “Non ti azzardare a dire nulla, adesso lavoriamo mentre ti faccio una sega”.


Questo suo lato così agli antipodi rispetto alla sua normale personalità, così docile e gentile, era un afrodisiaco incredibilmente potente: la mia mente si annebbiava, letteralmente. E non che io sia così remissivo, anzi, tutt’altro, semplicemente lei voleva questo. E non ero proprio nella condizione di negarglielo.


La mano di lei mi slacciò il primo bottone e continuò il massaggio sulle palle e sull’asta da sopra le mutande, e mentre sciorinava dati e statistiche di cui proprio non poteva fregarmi di meno, mi diceva “mmmm, come mi piace” e alternava frasi sul progetto a frasi sul mio cazzo, che a quanto pare le piaceva più di quanto si aspettasse.


Lo  tirò fuori del tutto e iniziò un lento movimento accompagnato da un sottilissimo mugolio. Non riuscivo a capire chi dei due stesse godendo di più. Io ero in stand-by, il mio cervello era passato dallo stato solido a quello liquido, in cui l’unico pensiero era la speranza che me lo prendesse in bocca il più presto possibile.


“No vabbè, ma quanto è grosso?” mi disse e devo dire che è stato uno dei momenti di più alta soddisfazione della mia intera esistenza. “No vabbè voglio capire se ci sta” e in men che non si dica, come se avesse ascoltato i miei pensieri di prima, si chinò e lo prese in bocca.


Ricordo perfettamente come i suoni che uscivano dalla sua bocca erano un mix di oscenità e goduria, era proprio uno slurp costante sul mio cazzo, alternava veloci movimenti con la testa a lunghi tentativi di soffocone. Dopo il primo, con un sorriso e la bocca completamente piena di saliva disse “Eh no, tutto tutto non ci sta” e il suo sguardo, da sotto la scrivania, mentre leccava l’asta come fosse un gelato, sembrava dirmi “ed è così che lo volevo”.


Ripartì ancora più forte di prima, uno dei migliori pompini della mia intera esistenza. Per qualche istante ho temuto che potesse risucchiarmi l’anima.


“Togli le mani” le dissi. 
“Allora tu scopami la faccia” e via si rituffò, di nuovo, sul cazzo affamata come se da quel pompino ne scaturisse qualcosa di importante per la sua vita.


“Ma emme, da quando sei così porca?” le dissi. Ricordo ancora perfettamente come la mia voce era tremante e affannata, ma sorpresa allo stesso tempo. Ero schiavo di quella situazione assurda che stavo vivendo, e ci stavo dentro alla grandissima.


“Con chi dico io, da sempre” peccato che lo disse con la cappella in bocca e la cosa, se possibile, riuscì ad eccitarmi ancora di più. Con la lingua riusciva ad andare un po' sotto la pelle sotto la cappella, e faceva il giro tirandola fuori dal filetto leccando con attenzione. Io le lasciavo alternare le sue varianti a momenti in cui guidavo, prendendole la testa e spingendola giù, prima piano e poi via via sempre più forte e più profondo, anche io completamente in trans agonistica. E il tutto, sempre senza mani. Una fuoriclasse. Probabilmente esagerai anche un po', dato che in una delle ripetizioni si tirò su e tossì un pochino, al che me lo riprese in mano e con gli occhi lucidi con due accenni di lacrime agli occhi mi guardò e mi disse, sempre con quel sorrisetto malizioso ed eccitante: “Te l’ho detto, tutto non ci sta”.


A quel punto con la mano sinistra si asciugò il mento completamente spolto di saliva dovuto a quel pompino incredibile che mi stava facendo, nel mentre la destra mi faceva una sega perfetta, senza mai andare troppo in fondo o senza andarci affatto, incalzando il ritmo sempre di più.


Mi accorsi che oramai dovevo venire, stavo letteralmente per esplodere.


“Emme..” “Sborrami in bocca” mi disse lei interrompendomi, capendo perfettamente dove mi aveva portato e a che punto ero, riattaccò con un pompino; questa volta con un solo obiettivo: farmi venire.


Alternava il suono classico “pap” di quando il cazzo le usciva dalla bocca a degli inciti come “dai, vieni” “vienimi in bocca” e mugolii degni di un manga giapponese.


Capendo l’esatto momento in cui stavo venendo, tolse la mano. Non fece un soffocone completo, ma si fermò leggermente prima e attaccò a succhiare, proprio come si farebbe con una cannuccia grande.


Le svuotai un pomeriggio intero di eccitazione in bocca, e lei non se ne fece scappare nemmeno una goccia.


Quando capì che ormai avevo fatto, riattaccò per l’ennesima volta a succhiare, ma in fretta si accorse che non era più fattibile resistere a causa della sensibilità che avevo raggiunto. Scoprii in seguito che questo era semplicemente un suo vezzo, come se fosse una firma, qualcosa a cui non poteva rinunciare per nulla al mondo e infatti quando si tirò su mi guardò e mi disse “oh, perfetto, tutto bello pulito. E sai Erre? Sei proprio buono”.


Ricordo bene come non sapessi nemmeno come mi chiamavo quel giorno.


Mentre lei, con tutta la normalità del mondo mi guardò e mi disse “Ora che ti ho assaggiato, torniamo al progetto”


“Ma veramente?” risposi allibito: Non capivo come facesse a cambiare modalità così in fretta, come potesse passare da ultra-porca a dipendente modello.


“Certo” rispose. E poi “e sappi che la prossima volta voglio godere anche io” mi fece l’occhiolino e mi diede un bacio a stampo, velocemente, sulla bocca. La fortuna incredibile che quel giorno in quei minuti nessuno passò, e come sia successo ancora non me lo spiego.


 


 


Vi ringrazio se siete arrivati in fondo a questo racconto. Ammetto che ha aperto il vaso di pandora dei miei ricordi, e se avete apprezzato nei prossimi tempi condividerò altre avventure, sempre con la mia cara Emme. Ciao a tutti!