Il dosatore del sapone cede di colpo alla pressione della leva, uno schizzo bianco schiva il palmo pronto della mia mano e mi finisce dritto sul ventre, macchiandomi l’abito scelto appositamente per la riunione di oggi con i dirigenti.


Guardo la sostanza viscosa colare e inevitabilmente mille ricordi riaffiorano.


 


-


 


“Sei sempre la migliore...” aveva mormorato Fausto prima di ritirarsi su boxer e pantaloni e tornare in classe lasciandomi lì nel cesso dei maschi con le prove del suo piacere soddisfatto sui vestiti.


Anche lui aveva cercato di convincermi a sottostare a una penetrazione completa, ma poi, come tanti suoi predecessori, non aveva resistito neppure un minuto alle mie dita e non avevo nemmeno dovuto prenderglielo in bocca per metterlo ulteriormente alla prova (prova per molto tempo da nessuno passata, modestamente).


 


-


 


Per questo sto sorridendo mentre uscendo nel corridoio incrocio Gianluigi. “Buongiorno bellissima collega. Che eleganza!” Non credo sia un segreto che anche a lui, malgrado sia un po’ troppo pieno di sé per i miei gusti e non gli abbia mai concesso il benché minimo tipo di incoraggiamento, piacerebbe diventare protagonista di qualche mio futuro licenzioso ricordo.


 


-


 


Eravamo solo tre ragazze nell’intero istituto, non molto grande, è vero, ma il rapporto femmine/maschi era comunque irrisorio.


Con Anna che molti pensavano non essere nemmeno dotata davvero di vagina ed Elisabetta, molto carina, ma troppo seria e assolutamente al di sopra della portata di tutti quei portatori sani di testosterone che erano i nostri compagni (sogno erotico irraggiungibile e quasi angelico), la sottoscritta era diventata ben presto la felicità effimera a portata di mano. E quella mano, in quegli anni, la allungarono in parecchi.


Io, forse per non essere scortese, forse perché, anche se fuori rimanevo perennemente seria e distaccata, dentro non ero affatto dispiaciuta di tutte quelle attenzioni, da quelle mani mi lasciavo prendere e accompagnare; di solito, per l’appunto, nel bagno dei maschi.


 


-


 


Dietro di me Gianluigi cambia direzione. Mi raggiunge affiancandomi. Non dev’essere uno che si arrende facilmente. “Ma lo sai che hai un bel sorriso? Non dovresti esser sempre così seria...” E lui non dovrebbe essere sempre così banale. “Ti va un caffè?”


Ecco, appunto.


 


-


 


“Lo vuoi un caffè?” Le dita dell’attempato bidello giochicchiavano nervose con le monete, i suoi occhi mi sondavano con uno sguardo che ben conoscevo.


Mi avvicinai per guardare cosa offriva il martoriato distributore. Il mio corpo sfiorava il suo, ma sapevo che la mano sul mio sedere l’avrebbe messa solo dietro una porta ben chiusa.


 


-


 


“Non sei una che parla tanto di sé, eh?”


Non potevo certo dire altrettanto: dalla bocca di Gianluigi il pronome io usciva praticamente all’inizio d’ogni periodo. Già che m’avesse rivolto quelle poche frasi in seconda persona era un onore da non sottovalutare. “Non saprei cosa dire.”


“Be’, non so... Che sport fai, che musica ascolti... Cosa ti piace.”


 


-


 


Non lo facevo per tutte le stronzate che mi regalava, né per paura o costrizione. Mi baciava avidamente, quasi dovessi dissolvermi da un momento all’altro tra le sue braccia. I suoi polpastrelli ruvidi mi stringevano e cambiavano posizione in continuazione, come increduli di tanta fortuna. Mi faceva sentire preziosa, irrinunciabile, e mi piaceva l’effetto che io facevo a lui. Si infiammava al punto di regredire ad animaleschi istinti. Ad un certo punto, invece di parlare, farfugliava sovreccitato strani grugniti. Io comunque capivo. Mi giravo e china in avanti mi preparavo ad accogliere il suo sesso, prima nel mio, e poi, negli ultimi minuti, per evitarmi spiacevoli complicazioni diceva, nel didietro.


 


-


 


“Faccio nuoto e il mio ragazzo mi sta insegnando ad arrampicare.” Mi chiedo quanto sarebbe stata puerile la sua reazione se avessi più correttamente detto “la mia ragazza”.


“Ah, hai un ragazzo... Quindi non sei più sul mercato...” Cerca un’espressione ironica. “Va be’, te lo offro lo stesso il caffè, anche se le ragazze impegnate non m’interessano.” Il linguaggio del suo corpo mi dice l’esatto contrario.


Mentre inserisce la chiavetta e dosa lo zucchero, mi giro e mi abbasso per prendere un bicchier d’acqua dal boccione lì a fianco. Il mio vestito fa il suo porco dovere; so esattamente cosa sta sondando triviale il suo sguardo.


 


-


 


Era umiliante. Non so spiegare perché glielo permettessi. Intendiamoci, non era il primo a varcare quella soglia, ma di sicuro era il più vecchio e laido (primato che comunque ora non mantiene più, per la cronaca).


E non era l’unico. Anche David trovava irresistibile il mio ingresso sul retro, così lo chiamava. Andavo con lui perché mi intrigava suo fratello minore Lorenzo e per lo stesso motivo accettavo gli inviti a casa sua, o, più precisamente, nella sua stanza. Chiusi lì dentro ci spogliavamo e ci amavamo, se di amore si può parlare. Mentre carponi lo lasciavo fare, guardavo nel buco della serratura l’occhio curioso del fratello che puntualmente ci spiava, di certo masturbandosi.


La prima volta che gli sorrisi l’occhio sparì immediatamente, la seconda tornò, e dalla terza in poi rimase.


 


-


 


Gli uomini che credono d’essere i responsabili delle proprie conquiste sono ridicoli.


Guardo lo schermo del mio cellulare. “Accidenti, stasera c’è lo sciopero dei mezzi pubblici.”


“Ti accompagno io a casa, se vuoi.”


 


-


 


Un pomeriggio di maggio David uscì dopo il solito coito per andare a procurarsi due lattine di birra.


Uscii dalla camera e bussai alla porta del bagno, che sapevo occupato.


“Un minuto...” Era la seconda parola che Lorenzo mi diceva, non era mai andato oltre al ciao.


La porta non aveva chiave, lo sapevo.


Aprii.


 


-


 


Pensavo di dover recitare la mia parte chiedendogli di salire con una qualsiasi banale scusa, invece mi ha sorpreso appoggiandomi la mano sulla coscia già durante il tragitto, sicuramente incoraggiato dall’essere nella sua lussuosa Audi A-qualcosa, protagonista di almeno nove suoi discorsi con chicchessia su dieci. L’ho sentito più d’una volta vantarsi spavaldo coi colleghi della “sfilza di zoccolette che spalancano le gambe appena ci si siedono”. Mi scoccia entrare a far parte della categoria, ma la sua mano ormai ha raggiunto l’obiettivo senza ch’io lo impedissi, e ora non posso far altro che agevolarla.


 


-


 


Istintivamente Lorenzo si coprì i genitali che evidentemente si stava finendo di trastullare seduto sul bordo della vasca, con pantaloni e mutande alle caviglie, dopo avermi vista sodomizzata da suo fratello.


Entrai e mi misi di fronte a lui.


Ci mise qualche secondo prima di decidere che, visto ch’ero nuda anch’io, poteva scoprirsi.


 


-


 


Ispirata dai ricordi gli abbasso la cerniera e lo libero dai vincoli dei tessuti. Mi allento la cintura e mi chino su di lui. Sussulta quando inizio a succhiarglielo. Non se l’è lavato, ma me l’aspettavo.


Procedendo lento nell’eterna fila della tangenziale gli si spegne il motore ben tre volte. Per dire.


 


-


 


La mano di Lorenzo era delicata. Aveva accarezzato il mio sesso quasi con timore e baciato i miei capezzoli a fior di labbra.


Solo nei secondi in cui mi venne dentro le sue dita mi strinsero con forza.


 


-


 


Dietro di noi un clacson reclama inutilmente la nostra attenzione; lui nemmeno lo sente.


Sussulta un’ultima volta, la sua mano mi artiglia il pube e s’irrigidisce, poi lo sperma passa dal suo corpo al mio.


 


-


 


“Posso dire ai miei amici che adesso sei la mia ragazza?”


“Contento tu.” Sono corsa a rivestirmi e sono uscita in fretta. Quello stupido ragazzino mi aveva commosso.


 


-


 


“Allora ti riaccompagno anche domani?”


Gli sorrido, come ultimo regalo, chiudo la portiera e rincaso.


 


 


Xilia


vivereperraccontare.wordpress.com