Mi chiamo Fabio, ma quando sono "en femme" mi faccio chiamare Fabiola. Sono una ragazza trav di ventidue anni, ho un corpo androgino e dei capelli neri tagliati "alla maschietta".  


Dopo aver ottenuto il diploma di maturità ho trovato subito lavoro e sono andata a vivere da sola, lontana dal mio paese natale e dalla mia famiglia, che non ha mai accettato la mia omosessualità. 


All'inizio abitavo in un trilocale, ma da quando ho sorpreso il mio proprietario di casa in un gay bar, alloggio gratuitamente in un appartamento più grande, in cambio gli succhio il cazzo o mi faccio ripassare il culo quando ne ha voglia. 


La cosa non mi dispiace affatto, dato che Diego, così si chiama il mio padrone di casa, è davvero un bel tipo: cinquantotto anni, sportivo, capelli tagliati a spazzola e due baffi stile "anni Settanta". 


Le cose sono andate così: mi aggiravo per il locale truccato e vestito da zoccola, tacchi da cubista e autoreggenti nere a rete piccola, quando mi arrivò una fortissima sculacciata che mi spinse in avanti e mi fece scappare un gridolino. Mi voltai e vidi Diego. Due minuti dopo ero genuflessa nel cesso a fargli un pompino. 


Mi inginocchiai sul pavimento schizzato di piscio con fatica, a causa della gonna troppo succinta, gli slacciai i pantaloni, scostai le mutande e vidi saltare fuori un cazzo anch'esso "anni Settanta", modello John Holmes. 


Cominciai a pompare quella nerchia, ma Diego, infoiato, me lo schiaffò giù nella gola, premendo con ambedue le mani sulla mia nuca e dicendo "succhia stronza". Il vecchio porco si mise a violentarmi la gola. Mi mancava il respiro, ma lui se ne fregava e continuava a spingerlo avanti e indietro. Mi tenevo stretta alle sue gambe.  


Sentivo le sue palle gonfie e lievemente pelose contro il mento e sulla lingua avevo un sapore pungente di cazzo sudato. Gli occhi mi lacrimavano e copiosi rivoli di saliva mi colavano dai lati della bocca. Venni due volte mentre Diego mi spaccava la laringe, godendo come non mai. 


Proprio mentre la nerchia era saldamente conficcata nella mia gola, al punto tale che le mie labbra sfioravano i peli pubici dell'uomo, mi sparò dentro tutto il suo liquido seminale. Era così tanto che ebbi numerosi singulti e dello sperma vischioso mi fuoriuscì dalle narici. 


Diego si mise a ridere davanti a quella scena, tirò fuori la minchia dalla mia bocca, ridotta a buco per il suo piacere, e disse: "cazzo che faccia da baldracca". Mi scattò alcune foto col cellulare. Non capivo più niente, poi aggiunse: "ti verrò a trovare, succhiacazzi". Infine, se ne andò lasciandomi in ginocchio nel cesso. 


Rimasi ferma ancora un po', godendomi il sapore dello sperma e dell'umiliazione; la saliva ai lati della bocca e la consapevolezza di non essere altro che un contenitore per la sborra degli uomini veri. 


Mi rialzai, quando uscii, mi vidi nello specchio del bagno: ero arrossata, l'ombretto era colato in due lunghe righe fino alle guance, il rossetto blu era sparso ai lati della bocca. Avrei voluto che mi vedesse quello stronzo omofobo di mio padre.