Devo essere astuta, dosare l’aggressività. Non sono ancora sicura quale sia il mio vero obbiettivo. Un fugace sguardo alla sua erezione? Arrivare a toccarlo con una scusa? Vorrei mi prendesse qui e ora. Sentirmi schiacciata dal suo peso. Violata nell’intimo. 


“Hai mai tradito la tua ex?”, gli chiedo sistemandomi a gambe incrociate di fronte a lui.
“Ehy che razza di domanda è?”
“Bhè se dovessi chiederti cose che sveleresti a chiunque che gioco sarebbe?”, cerco di incrociare il suo sguardo ma i suoi occhi rifuggono il contatto.
“Sì, è capitato. Poi me ne sono subito pentito”
“Che pezzo di merda. E chi era?”
“Non vale! Ho già risposto alla domanda. Tocca a me”
“Ok, ok. Verità”
“Mmmm…vediamo. Colore preferito?”, alzo gli occhi al cielo.
“Che domanda noiosa. Arancione. Obbligo o verità?”
“Verità”
“Con chi l’hai tradita?”
“Jessica, la barista del caffè all’angolo”
“La tettona?! E bravo il fratellino!”, l’avrò vista un paio di volte. Una rossa tutto pepe sempre vestita smaliziata. Che puttana. Farsela con un ragazzo fidanzato. Mi torna in mente l’immagine del mio ex che si sbatte Tiziana. Uomini.
“Ma smettila! Tocca a me. Obbligo o verità?”
“Verità. E fa che non sia un’altra domanda da sfigato”, gli faccio una linguaccia per prenderlo in giro.
“D’accordo. Ti sei mai… masturbata?”, l’imbarazzo gli accende le guance di un rosso intenso.
Finalmente ha colto lo spirito del gioco.
“Certo. La leggenda che le ragazze non si tocchino è sfatata da un po’, matusa. Abbiamo anche noi certe…necessità”, mi sfugge una risatina nervosa. La tensione mi attanaglia la mente.
“Obbligo o verità?”
“Verità”
“Ooook…dando per scontato che te lo meni con frequenza regolare…”, lo vedo distogliere lo sguardo in un moto d’imbarazzo. Ha l’espressione di un bambino colto con le mani nella marmellata. “Che genere di porno preferisci?”
“Ma dai, sono questioni private!”, mi limito a fissarlo senza aggiungere altro. “Va bene, va bene. La solita roba, sai. Rapporti a tre. Amatoriali. Niente di troppo scabroso”, sì certo.
“Interessante. Comunque obbligo”, è tempo di provare a spingere sull’acceleratore. Spero non si tiri indietro proprio ora. Sono così vicina. Chissà se ce l’ha ancora duro. Scommetto di sì.
“Alzati e twerka per trenta secondi”, lo dice di getto, come se fossero ore che aspettava di farlo.
“Vuoi guardarmi il culo praticamente”, gli sorrido smaliziata.
“Ma va, cerco solo di metterti in imbarazzo! Non è lo scopo del gioco?”, non mi faccio pregare.
Mi alzo ai piedi del letto, attenta che possa avere la miglior visuale possibile del mio culo. E’ incredibile che lo stia facendo davvero. Piego il busto a quarantacinque gradi, mani appoggiate alle ginocchia, culo all’infuori. Sono sempre stata fiera del mio sedere. Tonificato da anni di danza moderna si presenta piccolo ma invitante, perfettamente tondeggiante. Le mutandine ne lasciano scoperti i contorni delle natiche. Twerko.


Mi fissa con uno sguardo a metà tra l’impaurito e l’ammirato. Ipnotizzato dal dondolio delle mie chiappe. Non riesco a trattenere una risata. Lo vedo strizzarsi fugacemente il cazzo da sopra i pantaloncini convinto che non me sia accorta. Fatica a contenere l’erezione. Dio che voglia. Vorrei allungarmi e toccarglielo. Mi trattengo a stento. Troppo diretta.


Fosse per lui andrei avanti per tutto il pomeriggio imbambolato com’è. Mi riposiziono sul letto.
“Obbligo o verità?”, mi risistemo le mutandine sul culo, erano leggermente scivolate verso il centro.
“…Obbligo”, eccellente.
Una marea di idee mi invade la mente. Leccami. Toccami. Scopami. Inculami. E’ la mia occasione. Decido di andarci piano, salvando solo marginalmente le apparenze.
“Togliti i pantaloncini”, porto le mani a coprire la bocca, imbarazzata come una ragazzina. Lo vedo sgranare gli occhi. Dio fa che accetti.
“No dai, non posso. Questo no”
“Eddai, che vuoi che sia! Sono la tua sorellastra!”
“N-no…è che…non porto…le mutande”
Sono scossa da un brivido di pura libidine. Lo sapevo, ma averne la conferma diretta mi ha comunque presa alla sprovvista. Voglio vederlo.
“Ah…”, scoppio a ridere per mascherare il nervosismo “Va bè, non mi dirai che ti vergogni di me?” Dio come sono troia.
“Certo che mi vergogno! E’ normale. Dai, chiedimi qualsiasi altra cosa”
“Eh no! Le regole sono chiare! Direi che abbiamo una vincitrice!”, mi congratulo platealmente con una folla invisibile. “Avevo accennato alla punizione per chi avesse perso? Una settimana di pulizie domestiche. Congratulazioni Roby”
“Col cazzo!”, ride anche lui. Lo sguardo basso come un cane bastonato.
“E allora…via i pantaloni! Su, su. Poche storie”
“Santa Madonna che palle che sei”, si alza dal letto e si volta. Lo sta facendo davvero. Il cuore prende a martellarmi nel petto. Le mani strette a pugno per costringermi a rimanere ferma. Posso vedere la sua schiena villosa irrigidirsi fugacemente. Ha un corpo veramente maschio. Forte. Si sfila i pantaloni tenendo le gambe ben serrate. Ora posso vedergli il culo. Di un bianco candido rispetto al corpo abbronzato. Sembra scolpito nel marmo. Le chiappe sono due fasci di muscoli tesi allo spasmo. Una leggera peluria gli colora il solco delle natiche. Ha le gambe così serrate che non riesco a vedergli i coglioni. Si volta lentamente. Non sbatto nemmeno le palpebre per non perdere neanche un secondo di quello spettacolo. E’ sempre stato così sexy? Possibile che non mi sia mai accorta del suo animalesco sex appeal? E’ rivolto verso di me. Entrambe le mani a coprire l’inguine. E’ grosso. Fatica a coprirlo. Da sotto le dita fanno capolino due grosse palle gonfie come bocce. Una leggera peluria nera ne disegna i contorni. Mi passo velocemente la lingua sulle labbra per inumidirle. Ho la gola secca. Mi sento audace.
“Via le mani! Non vale se rimani coperto!”
La scena sembra svolgersi al rallentatore. Ha gli occhi chiusi ed il corpo teso come se aspettasse una frustata da un momento all’altro. Scosta le mani lasciandole inermi lungo i fianchi. Lo vedo finalmente.


Un enorme cilindro di rosea carne pulsante. E’ lo stesso della foto. Solo leggermente meno duro. La consistenza a metà tra il duro ed il barzotto lo fa assomigliare ad una grande banana venosa. E’ leggermente arcuato, come avesse una sorta di gobba. Chissà che sapore ha. Schiudo leggermente le labbra quasi senza accorgermene. La cappella è gonfia e leggermente più chiara. Coperta per metà da una pelle grinzosa. Sarà largo come il palmo della mia mano e lungo il doppio. Sento i capezzoli strofinare contro il tessuto e scaldarmi il petto. Devo dire qualcosa, ma non riesco a distogliere lo sguardo. E’ incredibile quanto sia bello. Chissà se sarei in grado di ingoiarlo tutto? 
“O-ok. Bene. Bravo. A-andiamo avanti”, provo a ricompormi ma mi ritrovo a seguirlo con lo sguardo mentre si risiede sul letto. Come fa a sedersi con una cosa del genere fra le gambe? Non rischia di schiacciarsi i coglioni ogni volta? 
“Ce l’hai duro?”, la domanda mi sfugge di bocca senza accorgermene. Fatico a seguire il flusso dei miei pensieri.
“…Un po’… scusa”, non riesce ad alzare lo sguardo su di me. E’ tremendamente imbarazzato. Ne percepisco il disagio.
“F-figurati. E’…così…per me?”
“…bhè…sì, ecco. Sì”
Lo eccito. Ne posso sentire il calore. Un rivolo di umori mi scivola fuori dalla figa oscenamente gonfia andando ad inumidire le mutandine. Il silenzio ora è assordante. Fortunatamente decide lui di romperlo.
”Obbligo o verità?”, lo dice con un filo di voce.
“…obbligo”, che sto facendo?
“Fammi vedere le tette”, alza la testa ed i nostri sguardi si incrociano per un istante. E’ teso quasi quanto me.
“Ok”, agisco meccanicamente. Mi sfilo il top da sopra la testa liberando la mia terza abbondante. Un brivido di freddo mi scuote il corpo. Mi sta fissando il seno. I suoi occhi rimbalzano da un capezzolo all’altro come stesse seguendo una partita di ping pong. Me li sento addosso.
“Sono grandi”, non rispondo. Sento il corpo fremere d’impazienza. “Sono belle.”
“G-grazie. …Obbligo o verità?”, nessuno dei due è più interessato al gioco, ma sembriamo voler continuare per salvare le apparenze. Finché è solo un gioco può essere tutto risolto con una risata. Sembra meno importante di quello che è.
“Obbligo”, si schiarisce la voce e mi guarda negli occhi. Mi sta sfidando a fare un passo in più? Vuole vedere fino a che punto sono disposta a spingermi?
“Toccami le tette”, il mio tono è sorprendentemente autoritario. Sicuro di sé.
Non fa storie. Docile come un cagnolino. Allunga le mani e mi afferra le tette. Ha le dita fredde. Sento il corpo fremere come scosso da un terremoto. Comincia a massaggiarle con i palmi, soppesandone le dimensioni. Mi mordo un labbro per evitare di gemere. Mi pizzica i capezzoli costringendomi a sospirare. Ha il cazzo duro. Lo vedo fare capolino dalle sue gambe incrociate. Fieramente teso verso l’alto, quasi a volersi protendere verso di me. Vorrei me lo mettesse fra le tette. Sentirlo duro e prepotente mentre le usa per il suo piacere. Le vorrei impregnate del suo odore. Ridotte ad un oggetto in balia delle sue voglie.
Si stacca piano, piano. Le mani tornano a coprire l’erezione. Abbiamo entrambi il fiatone.
“Obbligo o verità?”, vuole continuare. Insaziabile.
“Obbligo”
“Togli le mutandine”
Non c’è bisogno di parlare. Il silenzio ora è denso. Testimone delle nostre voglie.
Mi metto in ginocchio sulle coperte e sfilo le mutandine. Un rivolo di umori si allunga fra la stoffa e le grandi labbra. Sono oscena.
Mi stendo di schiena appoggiando la testa al cuscino. Piego e allargo le gambe rivelandogli il mio frutto proibito. Gonfio d’umori. Bollente.


“Toccami”, inutile continuare a fingere sia tutto un gioco. Ci siamo spinti troppo oltre oramai.


Si siede fra le mie gambe. Sono tesa. Impaziente. Non c’è bisogno che gli dica dove voglio essere toccata. Né tantomeno come. Mi appoggia i polpastrelli sul ventre piatto. Li sento scivolare giù verso il monte di Venere. Pelle d’oca al loro passaggio. L’impazienza mi rende sempre più bagnata. Oscenamente porca.


Entrambi gli indici corrono lungo i contorni delle grandi labbra. Serro i pugni. Mi appoggia il palmo della mano sulla figa a coprirla tutta. Il polpastrello del medio corre lungo i contorni dell’entrata. Divarico le gambe per dargli modo di scivolare dentro. Continua a massaggiarmi con movimenti circolari ma non entra. Lo sento risalire a sfiorare il clitoride. Inarco la schiena e affondo la nuca nel cuscino. Il suo tocco è leggero. Mi manda in estasi. Ruvide dita impregnate di umori. Sento chiaramente l’odore del mio desiderio. Fisso il soffitto e cerco di deglutire. Finalmente entra. Lento e inesorabile si fa strada dentro di me. Non so quale dito sia. Non importa. E’ grosso e sgraziato. Si inarca dentro di me. E’ bollente. Svuoto i polmoni in un soffio prolungato. Non ricordo l’ultima volta che sono stata così bagnata. E’ incredibile quanto sia forte il bisogno di venire. Lo sento agitarsi dentro. Audace.


Allungo un piedino alla ricerca del suo cazzo. Lo trovo in un attimo. E’ di marmo. Scolpito nella dura roccia. Lo accarezzo con la pianta del piede. Lo scappello. Mi riempie la testa di osceni pensieri. Vorrei mi inondasse i piedini di calda sborra filante. Sentirla colare tra le dita e sporcarmi le caviglie. Faccio scorrere l’alluce lungo tutta la lunghezza dell’asta. Lo sento ansimare. Gli piace. 
Il suo dito si fa più insistente. Si insinua più in profondità. Fino alla nocca.
“Voglio succhiarlo”
Lo sfila e me lo porge chinandosi su di me. Lo prendo in bocca. E’ impregnato dei miei umori. Sa di me. Sa di sesso. Sa di piacere carnale. Lo succhio avidamente. Mi ricorda il sapore di Francesca, la prima figa che leccai. Eravamo curiose ma inesperte. Col tempo imparai come dare piacere a un’altra donna con la lingua. Non è facile come possa sembrare. Ricordo il dolce piacere che mi regalò con le dita quella notte d’estate. I corpi avvinghiati come a scoparci l’anima. Le smorfie che faceva quando raggiungeva l’orgasmo.
Roberto mi sta fissando. Rapito dai movimenti della mia lingua sul suo dito. Mi sento audace. Maiala. Troia.
“Ora voglio succhiare il tuo cazzo”, sono fuori controllo.
Mi alzo e lo faccio stendere. Ancora una volta il suo corpo muscoloso mi sorprende. Il cazzo che svetta fiero tra le gambe. Sembra incredulo. Incapace di muoversi.


Mi inginocchio ai suoi piedi e mi piego su di lui. Bocca spalancata. Gli ingoio la cappella. E’ salato. Tanto duro da non riuscire a piegarlo. Lo spingo più a fondo. Lo sento premere contro il palato. Dio quanto mi era mancata questa sensazione. Non riuscirò mai a prenderlo tutto. Non sono a metà e già lo sento riempirmi la bocca. Tendermi la mascella all’inverosimile. Sa di uomo. L’odore è forte. Mi punge il naso. Mi annebbia la vista. Mi stacco per guardarlo meglio. L’oggetto dei miei desideri. E’ gonfio. Ampie vene ne segnano i contorni. I coglioni si sono fatti duri e compatti ora. Lo afferro con entrambe le mani. Prendo a masturbarlo piano, piano. Le mie piccole dita sembrano scomparire di fronte a tanta pienezza. Faccio scorrere la lingua sulla cappella. Ha un sussulto. La rinfilo tutta in bocca. Le mani si muovono frenetiche a stimolare ogni centimetro di pelle a disposizione. La bocca piena di lui. Rivoli di saliva gli bagnano l’asta andando a depositarsi sul cuscinetto di peli alla base. Vorrei poterlo succhiare per ore. Vorrei riuscire a prenderlo tutto. Sentirlo il gola. Farlo esplodere. 


Mi stacco lentamente. E’ lucido della mia saliva. Sembra duro da far male. Mi metto cavalcioni su di lui. Accenna una timida protesta.
“Sara…io…non…”
“Zitto”
Non rovinare tutto proprio adesso. Ho bisogno di sentirlo dentro. Voglio sentirmi piena, usata. Soddisfatta.
Lo afferro e lo dirigo verso l’entrata della mia fica. E’ impaziente. 
La cappella che preme sul mio buco è grossa e scivolosa. Nonostante siamo entrambi ben lubrificati farà fatica ad entrare. Lo so. Me lo spingo dentro ugualmente. Mi apre le carni con prepotenza. Dio che bello. E’ come se mi stessi infilando un palo d’acciaio. Così duro che è la mia fica a doversi modellare su di lui. Deformandosi per accoglierlo tutto. Scendo piano, piano facendone scomparire un centimetro alla volta. Una gioia selvaggia si impadronisce del mio corpo. E’ un tripudio di sensazioni dimenticate da tempo. L’estasi dei sensi. Lo sento affondare dentro il mio corpo. Me lo sento nello stomaco. Abbasso lo sguardo e vedo la sua cappella tendermi la pelle della pancia. E’ dentro di me. Tutto. Finalmente.


Mi abbandono di peso su di lui. Gustandomi il contatto del mio ventre col suo. Non riesco a trattenere i gemiti ora. Perché dovrei? Quanto ho atteso questo momento! Sembra passata un’eternità dall’ultima volta.


Prendo ad oscillare il bacino. Lo sento muoversi con me. Riempirmi tutta. Le sue mani mi stringono i seni. Mi pizzicano i capezzoli. Faccio scendere una mano ad accarezzare il clitoride. Gonfio epicentro del piacere. Lo cavalco come fosse un toro scatenato. Avanti e indietro. Tutto ben piantato dentro. Lo sento strusciare lungo le pareti interne ad ogni movimento. Il silenzio è rotto solo dal mio lascivo ansimare. Le dita corrono veloci sul clitoride. Lo accarezzano seguendo il ritmo del bacino. Sento l’orgasmo crescermi nel ventre in un gorgoglio di umori. Promette tempesta. Liberazione.
Vengo in un’esplosione di mille fuochi d’artificio. Luci bianche mi scoppiano negli occhi. La schiena inarcata dal piacere. La bocca aperta in un urlo muto. Continuo a muovermi avanti e indietro. Sembra riempirmi di lussuria. Ho i muscoli tesi, le mani piantate ora sul suo petto. Gli occhi serrati. Mio Dio. Non finisce più. Mi tremano le gambe ma continuo imperterrita. Avida. E’ un inno alla vita. L’essenza dell’esistere. Il giubilio.


Mi accascio sfinita sul suo petto tentando di riprendere fiato. Non ricordavo fosse così intenso. Sento i peli del suo torace solleticarmi il naso. Il suo cazzo pulsante ancora tutto dentro di me. Mi accarezza i capelli con dolcezza. Il respiro torna normale. Leggero. La tempesta abbandona il mio corpo. Mi sento più lucida ora. Consapevole della situazione. Roberto si muove delicatamente. Si alza sollevandomi con un solo braccio. Non lo sfila mai. Mi appoggia di schiena sul materasso e si posiziona sopra di me. Mi afferra le caviglie e spalanca le gambe. Sono oscenamente aperta a lui. Lo sfila delicatamente per poi affondare di nuovo. Brividi lungo tutto lo stomaco. E’ come un treno in partenza. Si muove piano e inesorabile per poi acquistare velocità poco alla volta. Ogni affondo è come un’onda calda che si infrange sulla mia fica. La sento calda, grondante. Ancora piena di sordida voglia. 


Ora il ritmo è animalesco. Tremendi affondi mi scuotono come in balia di un uragano. Il letto cigola la sua indignazione in maniera furente. Mi sta scopando con una foga disumana. Non fossi così bagnata mi aprirebbe a metà. E’ sudato, bestiale. Ha uno sguardo concentrato, quasi assente. I minuti passano inesorabili. Ha una resistenza incredibile. Lo sento farsi strada dentro di me in maniera sempre più prepotente. Riuscirò mai a provare le stesse sensazioni con uomini meno dotati? Mi starà aprendo in maniera irreparabile? Plasmata alle dimensioni del suo uccello e del suo soltanto. Non mi interessa. Che faccia di me la sua personale troia. Voglio solo perdermi nel piacere e non ritrovarmi mai più.


Non smettere. Continua. Ancora. Così. Dio. Il secondo orgasmo della giornata mi investe con furore improvviso. Sto urlando. La voce spezzata dai suoi affondi. Sono arpionata alle coperte. Il corpo in preda a spasmi totalmente involontari. Ho gli occhi pieni di lacrime. Il piacere è così forte che non so come gestirlo. Mi spaventa. E’ travolgente. Mi sento sbavare. Il rumore del suo cazzo che continua ad affondare nelle mie carni è l’unica cosa che mi tiene ancorata alla realtà. Lo sento uscire da me. Apro gli occhi. E’ bellissimo. Mi sborra addosso in un grugnito soffocato. Enormi getti di densa sborra si infrangono un po’ dappertutto. Mi sporcano la pancia, le tette, i fianchi. Uno dei più temerari arriva a sfregiarmi la guancia sinistra. E’ uno spettacolo pirotecnico degno di un mago. L’odore è fortissimo. Solido. Si impadronisce della scena.



Si accascia al mio fianco in uno sbuffo. Il petto completamente sudato. I capelli appiccicati alla fronte. E’ scosso tanto quanto me. Sento un vuoto nello stomaco. La sua assenza è come se avesse lasciato una voragine incolmabile. Prendo la sua sborra fra le dita. Ne testo la consistenza. La faccio colare sul mio corpo. Porto le dita alla bocca. E’ amara. Si incolla alla lingua. La succhio via dai polpastrelli con avidità. La amo. 


Mi accorgo solo marginalmente che si è alzato dal letto. Lascia la stanza. Lo sento avviare la doccia. Non voglio lavarmi. Voglio rimanere sporca del suo seme. Ricoperta del suo piacere. Mi sento scivolare nell’oblio. Mi addormento con un sorriso in bocca abbandonando la coscienza a Morfeo. 
Soddisfatta. 
Finalmente.


 

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Categorie: Incesti Etero