Volevo scoparla dal primo giorno che l'avevo vista, prenderla di peso e metterla sulla cattedra del bidello che c'era in corridoio. Volevo baciarla, palparle il culo sodo e le morbide zinne. Volevo strapparle i jeans e le mutandine, leccarle la fica e il culo. Avevo una voglia matta di infilare il cazzo dentro e farla godere là sul posto, con affondi lunghi e veloci e non mi interessava se a guardarci c'erano altre persone. 


Quante volte avevo pensato di afferrarla e dirle scopiamo. Quante volte avevo pensato di prenderla, attaccarla al muro con la faccia rivolta verso di me, abbassarle i pantaloni ed alzare le gambe, per poi spostarle le mutandine ed infilare i cazzo dentro. Quante volte. 


Eppure non sono mai riuscito a fare niente con lei. Perché l'amavo e la rispettavo troppo per fare qualsiasi cosa. Anche se è più corretto dire che ero parecchio imbranato per fare qualsiasi cosa. 


Si chiamava Sophia. Capelli rossi come il suo cognome, piccola di statura e un seno che, come minimo, arrivava ad essere una quinta, un viso angelico come non ne avevo mai visto ed un culo a mandolino. 


Era questo quello che avevo visto in lei per la prima volta da quando la mia migliore amica me l'aveva presentata un bel giorno di ottobre durante il mio secondo anno di liceo. Era una mia coetanea che frequentava la mia stessa scuola, una magistrale per essere precisi, dove le ragazze erano in un numero maggiore rispetto alla componente maschile.


Ed io, per questo, adoravo quella scuola, nonostante gli alti ed i bassi che avevo con lo studio. 


Mi ricordo che mi ero innamorato di lei fin dal primo momento che l'avevo conosciuta, nonostante non creda nell'amore a prima vista, ed il fatto che lei si muovesse sensualmente e che si vestisse in modo provocante ogni volta che la incontravo, mi mandava completamente fuori di testa. Semplicemente ero cotto di lei


E sia lei che la sua amica, questo lo avevano notato. 


Come avevano notato l'alza bandiera che avevo in mezzo alle gambe ogni volta che la vedevo. Ed io ero disperato. Semplicemente ogni volta che la vedevo la immaginavo in tutte le posizioni immaginabili che riuscivo a pensare. 


La vedevo inginocchiata tra le mie gambe con in cazzo in bocca, mentre me lo succhiava. Me la immaginavo coperta di sperma. Me la immaginavo a scoparla sul davanzale della finestra. Quante volte avevo desiderato essere nella stessa classe così magari mi face a una sega durante la lezione visto che ci saremmo messi negli ultimi banchi, in fondo alla classe. Quante volte avevo sognato di infilarmi nel bagno delle ragazze, assieme a lei, solo per vederla pisciare e magari pulirle la fica a colpi di lingua. O semplicemente farmi fare una spagnola mentre lei pisciava. 


Nonostante tutto però avevo un buon rapporto con entrambe uscivamo la sera, tra discoteche e lunghe passeggiate, e le domeniche in riva al mare a goderci gli ultimi raggi del sole estivo che ormai stava morendo. Queste erano le nostre giornate, tra scuola e divertimento. Eppure non ho mai avuto le palle per chiederle un di uscire con me, solo noi due, da soli, fino a che un bel giorno di novembre non ebbi il coraggio di chiederle un appuntamento - forse era prematuro chiamarlo così ma era quello che provavo e che sentivo in quel momento. 


Eppure per la fatidica domanda mi ci erano volute tre settimane fino a che non mi ero deciso di fare il mio coming out. 


Lei, dopo un piccolo tentennamento, aveva deciso di accettare. 


Mi ricordo che quel giorno dopo finivamo entrambi alle quattordici - alcuni giorni alcune classi dovevano rimanere fino alle seidici - e così le avevo proposto di fare un giro sulle rive per poi salire verso città vecchia ed il castello, circondato da giardini e monumenti. 


-Va bene.


Mi aveva risposto e così eravamo partiti. 


Non so di cosa abbiamo parlato di preciso e visto che sono ormai passati più di dieci anni dall'evento, l'unica cosa che mi ricordo era che dopo tre ore di camminata ci eravamo fermati in un piccolo giardino, con una fontana di Pinocchio al centro e le panchine di cemento, senza alcuno schienale, disposte attorno alla fontana stessa. Mi ero poi avvicinato ad una di esse e mi ero seduto a cavalcioni, posando lo zaino a terra e le avevo fatto cenno di avvicinarsi e sedersi. Lei si era avvicinata e si era infine seduta come mi ero seduto io. Poi il tempo aveva iniziato a scorrere senza che nessuno dei due aprisse bocca. Semplicemente eravamo là a contemplarci a vicenda. Se così si può dire. 


Ero infatti intento a capire cosa dirle e come dirle quello che provavo per lei ed ogni volta che cercavo di aprire bocca la richiudevo quasi subito. Poi senza troppi giri di parole le avevo semplicemente detto:


-Ti amo


A quello che le avevo detto non pensavo che potesse rimanere calma. Pensavo che poteva come minimo guardarmi male, arrabbiarsi o ridere. Anzi ridermi in faccia. Eppure non ha fatto nessuna delle cose. Semplicemente mi aveva guardato e dopo lunghissimi minuti mi aveva chiesto:


-Perché? 


Ed io le avevo dato una spiegazione. 


Principalmente l'avevo trovata attraente, simpatica, dolce, altruista, intelligente e giosa. Adoravo però, più di ogni altra cosa la sua risata ed il suo sorriso. 


Questo le avevo detto, in ordine confuso e balbettando peggio di Porkey Pigs dei Looney Tunes. 


Poi le avevo detto ancora una volta che l'amavo e se voleva essere la mia ragazza. Lei a quell'ultima domanda semplicemente mi aveva risposto di sì e poi mi aveva preso il viso tra le mani e mi aveva baciato lasciandomi di stucco. 


Da quel bacio però, nonostante abbia corrisposto il mio "ti amo" con un "anch'io ti amo", la mattina di due giorni dopo semplicemente mi aveva sganciato una bomba che ancora oggi a distanza di tredici, quattordici anni fà ancora male. 


Mi aveva detto che sarebbe partita per Barcellona. Mi aveva detto che il padre aveva trovato lavoro là e che lei è tutta la famiglia si sarebbero trasferiti entro tre giorni e che non potevamo stare insieme e che si scusava per avermi illuso e che non voleva una relazione. E mentre diceva queste cose semplicemente non non riusciva a guardarmi. 


Ci siamo così lasciati e poi lei è partita per Barcellona, lasciandomi con l'amaro in bocca e con la relazione più breve della mia storia. Semplicemente è sparita dalla mia vita ma il ricordo di lei entra talvolta nei miei sogni ed ogni volta che la mattina mi sveglio che l'ho sognata, me la immagino con la bocca spalancata e la lingua in fuori che aspetta solo il mio cazzo.

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