Il giorno dopo l'incontro con Mauro ero in estasi e confuso. Parlai di quanto era avvenuto con la mia amica Carlotta, in realtà Carlo, un travestito come me e collega universitario. Dopo la lezione mattutina, ricevetti il seguente messaggio su WhatsApp: 


"Sono io. Ho preso il tuo numero mentre eri nella doccia. Questo fine settimana sono solo, mia moglie e mia figlia sono fuori porta con mia suocera. Vieni da me e fatti bella come sai tu". 


Il messaggio mi esaltò. Non solo Mauro voleva rivedermi, ma mi desiderava in "en femme". L'eccitazione fu tale che la settimana trascorse in un batter d'occhio. Sabato sera mi preparai a dovere: smalto rosa brillante su mani e piedi; tacchi plateau del medesimo colore; autoreggenti nere con fiocco sul retro, vestitino aderente e corto (copriva appena il culo e le balze di pizzo delle calze). Abbondai col trucco: rossetto rosa, ombretto, fard e blush sulle guance. 


Alle 21 salii le scale verso l'appartamento di Mauro, sperando di non incontrare nessun condomino e, giunto davanti alla porta, suonai il campanello. Mi aprì e, solo a vederlo, mi venne duro. Alto, scamiciato, teneva in mano un bicchiere quadrato con un po' di whisky. Una volta entrato mi guardò sornione e disse: "sembri una bambola. Quando vai in discoteca a sculettare non ti si scioglie il trucco?", poi rise. 


All'improvviso, con uno scatto, mi afferrò per il collo, mi tirò a se e mi sussurrò all'orecchio: "per te, sgualdrina, si prospetta una serata molto molto interessante". Tirandomi per un braccio mi condusse in bagno, dove mi mise in un mano una paglietta e mi disse: "pulisci il cesso". 


Ero allibita. Balbettai qualcosa ma, infine, bagnai la spugna e inizia a lavare il gabinetto sotto lo sguardo divrtito di Mauro. Mi sentivo umiliato eppure, contemporaneamente, quella specie di "punizione" mi eccitava. Lo stallone si allontanò alcuni secondi, poi tornò e tuonò: "basta così". 


"Perché mi hai fatto fare questa cosa?", chiesi con una voce in falsetto.
"Perché qui comando io – rispose con durezza – se ti dico di lavare il cesso, tu lo lavi; se ti dico di pulirmi il culo con la lingua, tu esegui e se ti ordino, come faccio ora, di leccare il cesso, tu cosa fai?" 


Prontamente, mi misi a passare la lingua sulla ceramica. "Brava, hai capito", disse. 


A quel punto mi afferrò per i capelli, corti, ma sufficientemente lunghi per essere tirati e mi condusse nella sua camera da letto, spingendomi sul letto matrimoniale. Si sfilò la camicia e i pantaloni velocemente; mi tolse i tacchi gettandoli lontano nella stanza e mi strappò le mutandine. Sembrava indemoniato. Mi afferrò le gambe nell'incavo delle ginocchia e le spinse verso le mie spalle. Le tenne ferme così con una mano, mentre con l'altra mi riempiva il culo di gel lubrificante. Poi, mezzo secondo dopo, avevo dentro la sua cappella mastodontica. Qualche minuto più tardi, Mauro mi stava, di nuovo, martellando il buchetto. 


Sentivo l'asta, spessa e fibrosa, premere contro le pareti interne del mio retto. Le cosce del maschione sbattevano contro le mie natiche; Il cazzetto ondeggiava di qua e di là. Nessuno mi aveva mai inculato con una tale foga, quasi svenni per il piacere tanto era intenso. Mauro estrasse la spada di carne dal mio culetto spampanato e riversò un torrente di sperma bollente sulla mia pancia. 


Bello come un eroe omerico, si sedette accanto a me, raccolse con le dita il suo seme dal mio ventre e me lo portò alla bocca. Presi a succhiargli le dita impiastricciate. Con voce serena disse: "stasera la schiava può dormire col suo padrone". Così fu. 


Quando dormo fuori casa ho il sonno leggero. Quando mi svegliai, Mauro dormiva ancora. Mi misi ad accarezzare le sue gambe robuste, coperte da una lieve peluria. Non seppi resistere alla tentazione e tirai fuori dagli slip il suo cazzo. Notai che da molle era lungo quanto il mio al massimo dell'erezione. Istintivamente iniziai a segarlo. Lentamente. Il dormiente emise qualche verso, poi aprì gli occhi: 


"Scusami, non volevo svegliarti", dissi sottovoce.
"Continua, ma fallo raccontandomi la prima volta che hai succhiato un cazzo". Iniziai il racconto: 


"Non è accaduto molto tempo fa. Avevo appena compiuto diciotto anni. Al tempo, in estate, andavo in campeggio in montagna coi miei genitori. Non amavo quelle vacanze. L'unica nota positiva erano i numerosi uomini, sportivi e atletici, che affollavano il camping. Quando i miei genitori si assentavano per una camminata verso qualche rifugio, io facevo lunghe passeggiate tra i bungalow e i camper con indosso solo una canottiera e degli shorts da ragazza che avevo comprato di nascosto". 


Nel frattempo, il cazzo di Mauro era diventato duro e svettava nell'ombra appena illuminata della camera da letto. Proseguii il racconto: 


"Un giorno, un uomo sulla quarantina, biondo e prestante, mi lanciò un'occhiata così penetrante che, turbato, mi allontanai. Mi resi conto che aveva capito cosa cercavo. Nei giorni seguenti passai spesso davanti a lui che, perlopiù, passava il tempo su una sdraio a bere birra. Tutte le volte, mi fissava in modo così intenso, che i polsi mi tremavano. Un giorno, i nostri sguardi s'incrociarono ed io, come spinto da una forza esterna, andai verso il bagno pubblico meno frequentato del campeggio. Lì, mi sedetti su un gabinetto e attesi. Dopo qualche minuto, la porta, che avevo lasciato aperta, si aprì ed entro l'uomo biondo". 


La mia presa attorno al cazzo di Mauro si era fatta più decisa e lui sembrava gradire quella pressione. 


"Chiuse la porta e senza dire una parola tirò fuori dai pantaloncini un cazzo molto spesso, quasi obeso, e me lo mise in bocca. Succhiai un po', ma il biondo aveva fretta, allora iniziò a farlo entrare e uscire velocemente dalla mia bocca, nella quale venne a piccoli getti. Ingoiai tutto. Lui ritirò il pene nei pantaloncini, mi diede un buffetto sulla guancia e se ne andò. Mi accorsi che una goccia di sperma, spessa e lattiginosa, era finita sul copriwater. La raccolsi con l'indice e la leccai, poi mi feci una sega". 


"Glielo hai succhiato altre volte?", chiese Mauro incuriosito.
"Sì, l'ho spompinato ancora e gli leccai anche il culo"
"Ti ha mai scopato?"
"No"
"Strano, io lo avrei fatto"
"Fece qualcosa di ancora più strano"
"Racconta e riprendi a segarmi". Così continuai: 


"Un pomeriggio mi diede appuntamento in un punto poco frequentato in un boschetto attorno al campeggio. Quando arrivai, seguendo le sue indicazioni, lo trovai seduto su una pietra con un mano un fascio di piante. Le erbe erano tenute insieme da un pezzo di stagnola, che fungeva anche da impugnatura. Gli feci un pompino e poi mi disse di levarmi i pantaloncini e appoggiarmi a un albero. Così feci. Lui si mise a tastarmi le chiappe, a tirarmi i testicoli e sfregare il pollice sul buchetto. Ero eccitato da morire. Poi, arrivò la prima scudisciata, forte, sul culo. Ancora un'altra e ancora e ancora. Mi frustò il culo con il fascio di erbe. Prima di andare via correndo mi disse: 'sono ortiche'. Il culo, infatti, mi bruciava all'inverosimile e la sera dovetti mettere una crema. Il giorno seguente lo cercai, ma aveva lasciato il campeggio". 


Mauro rise. 
"Questo era proprio matto – affermò – ma lo capisco"
"Perché?", chiesi con una vocina simulante innocenza.
"Sei una femminuccia così sottomessa. Ma adesso succhia il mio di cazzo", rispose.
"Subito, padrone".