Prese la mano della giovane moglie gravida e girellando per il vialetto del parco, passando davanti ad una villetta, rimase un secondo pensieroso. Quanti ricordi. Quante speranze e quanti momenti sfrenati. “Cos'hai Sergio? Che ti succede? Andiamo? Ho freddo!” disse la donna. Guardò sconsolato e triste la villa con evidenti segni di abbandono. Dopo poco si incamminarono verso il parco, senza passare attraverso il boschetto, ma solo seguendo i sentieri tracciati dal tempo e dall'uomo.


 



La mia prima esperienza con il sesso avvenne, come per tutti noi, dentro la mia cameretta. Allora avevo 12 anni ed ero assolutamente privo di conoscenze. Chierichetto incallito e bacchettone.


Mentre una domenica mattina, dopo aver servito messa, mi dirigevo a casa, vidi dietro al bidone della spazzatura un giornale in bianco e nero. Pensando che fosse un fotoromanzo come tanti che giravano per casa a quell'epoca, mi chinai a raccoglierlo e sempre camminando mi apprestai a leggerlo. Quasi inciampavo dalla sorpresa. Ma che strane immagini, donne nude con uomini altrettanto nudi che si abbracciavano e si strusciavano senza alcun pudore, tutto in piena vista. Il mio pisellino ebbe un fremito ed un ansito mi arrivò dal petto. Corsi subito a casa, non senza aver nascosto il giornale sotto la maglietta ed appena arrivato mi infilai in camera nascondendolo sotto il materasso. Tutta la domenica passò senza che avessi il tempo o l'occasione di andare dall'oggetto che mi aspettava dietro la porta della camera, pur avendone una curiosità impellente, ma tra parenti, pranzo e gitarella domenico-familiare dovetti aspettare la sera. Non saltai carosello, altrimenti qualcuno avrebbe avuto sospetti, o per lo meno pensavo, ed appena gli adulti si impadronirono del televisore mi buttai sul letto salutando tutti ed accusando platealmente un gran sonno. 


Rimasi sveglio parecchio, non riuscivo a dormire. Sotto il materasso la curiosità mi teneva ad occhi spalancati. Quando i genitori spensero la tv aprirono la porta della camera per vedere se dormiva. Un attore non avrebbe saputo fare di meglio. Si allontanarono socchiudendola e si diressero in camera al piano di sopra. Sempre ad occhi spalancati e con il vuoto allo stomaco attese di sentire i rumori del piano di sopra cessare.


A quel punto era solo.


Prese la rivista da sotto il materasso e con la piccola abate-jour del comodino iniziò a guardare le fotografie in movimento. La prima pagina era stata strappata, ma non aveva bisogno di quella per capire di che tipo di rivista si trattava. Mentre guardava le fotografie in bianco e nero molto chiare ed evidenti, si immaginò lui con sua madre. Le avrebbe volentieri fatto quello che stava osservando, l'avrebbe voluta vedere in ginocchio dominata e succube del suo pisello. Ma dopo poco si accorse che il suo sguardo andava sul protagonista maschile del fotoromanzo: ne osservava il corpo muscoloso ma soprattutto, fu a quel punto che si accorse del cambiamento che stava venendo in lui, ammirava quel pene che tutte le protagoniste volevano ad un suo comando verbale, tal “Ifix Tchen Tchen” che le metteva tutte in ginocchio come schiave pronte al suo volere. Il pisellino iniziò ad indurirsi e più osservava quel pisello in azione, anche girando e rigirando le immagini, più il piacere risaliva dal pene fino al cervello e si immerse nell'atmosfera immaginandosi lui al posto delle attrici. Quella sera non capì cosa gli accadde. Semplicemente inondò di spruzzetti il letto. Corse in bagno per lavarsi e con un po' di carta igienica cercò di ripulire il letto. Grondava di sudore e di piacere.


Per qualche anno dapprima si accontentò di quella rivista in bianco e nero, poi cercò affannosamente altre riviste che potessero risvegliargli i sensi come quella prima trovata. Andava spesso dal barbiere e di nascosto se ne intascava qualcuna durante attimi di distrazione. Andava dal suo amico raccoglitore di giornali e carta (a quel tempo era un mestiere pure quello) e rovistava in mezzo a tutta la cantina contenitore, con l'altro che rideva di questa sua frenesia. A lui diceva che cercava le figurine dei calciatori, ma invece, appena trovava una rivista, la nascondeva alla sua vista per poi appropriarsene appena arrivava un cliente. La fame di curiosità era insaziabile e nulla lo faceva fremere più di quella ricerca affannosa.


Verso i 16 anni, ormai padrone della materia riviste porno, ma non ancora cieco vista la marea di seghe che si faceva, mentre parlava con alcuni compagni di scuola che si dicevano grandi esperti di sesso, venne fuori il discorso del pisciatoio. Scoprì così che proprio dietro a casa sua, nei giardini che lui non amava frequentare, vi era rimasto un ultimo pisciatoio pubblico perfettamente funzionante e meta di incontri molto strani. Si sapeva poco, o meglio si cogitava, perché nulla poteva contraddire il pensiero che fosse luogo di perdizione e di sesso sfrenato. Tutti i compagni, lui compreso altrimenti avrebbero sospettato qualcosa, si dissero disgustati dalla cosa e quindi il discorso assunse altri toni e cambiò repentinamente. Ma il pensiero lo arrovellò talmente tanto che ad un certo punto disse che doveva tornare a casa a studiare per l'interrogazione di domani. Salutò tutti e con calma ben studiata raggiunse il primo angolo; convinto poi di aver superato la loro visuale si mise a correre. Arrivato vicino a casa si recò ai giardini verso quel boschetto che non aveva mai osservato più di tanto se non distrattamente. Ora guardava passo dopo passo ogni metro percorso, controllava che nessuno di sua conoscenza fosse nei paraggi mentre si avvicinava alla meta. In lui si susseguivano languide immagini di donne sognanti davanti ad enormi verghe mentre il boschetto si avvicinava sempre più; infilatosi in mezzo agli alberi vide che si stagliava nel verde e lentamente la mole del pisciatoio, confusa con le immagini di quel nerbo che al grido “Ifix Tchen Tchen” affascinava pure lui. Non aveva mai visto altri uccelli dal vero e quindi tutti, nel suo immaginario, dovevano assomigliare a quelli patinati che tanto amava osservare. I suoi passi frettolosi lo fecero giungere ad una radura su cui l'orinatoio in cemento troneggiava. Girò intorno alla costruzione che sembrava un labirinto pieno di accessi che curvavano verso l'interno buio e che nulla lasciava trasparire. Mentre guardava, da una delle uscite emerse un vecchietto curvo che si era scordato di allacciarsi la patta. Fece finta di niente ed entrò. La prima cosa che lo accolse fu l'odore forte di piscio che pervase le narici e che lo fece un attimo ristare. Poi superatolo entrò in quel corridoio ricurvo che lo portò, dopo aver girato intorno come in una chiocciola, al vero pisciatoio: un muro da cui sgorgava continuamente acqua a rivoli fino a terra dove una turca l'accoglieva per inghiottirla. Rimase per qualche minuto in attesa non sapendo cosa fare effettivamente, poi a rompere gli indugi ci pensò un uomo che arrivò dalla curva e rimase impietrito davanti al ragazzo. “Scusami” disse sorpreso “non pensavo che ci fosse qualcuno!” e detto questo stava girando sui tacchi per allontanarsi quando lo fermò prendendolo per un braccio. Si sentì dire al tipo, come se stesse parlando un'altra persona, “Rimani e fai quello che devi fare, io me ne sto in disparte.” Cosa stava combinando? 


L'uomo dubbioso si aprì la patta e mentre si dirigeva verso la turca estrasse il pisello floscio e lo avvicinò al muro iniziando a pisciare nervosamente. Il ragazzo fissava quell'affare con curiosità. Non era come se lo era immaginato, turgido, grosso, svettante forse anche imponente. No. Davanti aveva un coso moscio e pieno di peli irti che non gli dava alcun piacere guardarlo. Tutta la pelle ricopriva la cappella, che invece nei giornaletti era sempre in evidenza, e quindi quel coso non gli dava alcuno stimolo.


L'uomo girò il collo verso di lui e gli disse: “Hai visto abbastanza o vuoi vedere altro?”


Si ridestò dal torpore in cui era finito. Si rigirò ed uscì lasciando di sasso il malcapitato. Uscì da quell'ingresso e rientrò in quello successivo. Arrivato che fu alla fine della chiocciola si ritrovò un omone imponente che stava anche lui pisciando. Canterellava e se lo scrollava con forza per togliere le ultime gocce. Si avvide del giovane che guardava attento il suo uccello e senza riporre l'arnese, anzi scuotendolo velocemente l'apostrofò “Ciao frocetto, ne vuoi un po'?” Davanti all'esitazione dell'altro si avvicinò ed approfittando dell'immobilismo gli prese la mano e l'appoggiò al bastone di carne “Tanto lo so che voi frocetti venite per questo, per toccare l'altrui uccello, sentilo mo' quanto è bello tosto” ed infatti tra le mani si ritrovò una nerchia incredibile che faticava a contenere tra le sue mani. Mentre la osservava stringendola gli sovvenne il primo giornaletto trovato anni prima. Quell'affare assomigliava molto a quello di ifix... e a quel punto non volle solo toccarlo. Cercò tra i ricordi di trovare le movenze che quelle immagini rimandavano, quelle mani che si impadronivano freneticamente del bastone di carne. Fu così che si trovò a segarlo fino a vedere l'agognata cappella fuoriuscire dal sacco e torreggiare alla ricerca del piacere. Cosa facevano le tipe dopo...? Cercava di ricordare... Lo massaggiavano e poi lo baciavano... Lo baciavano? Si ridestò e si staccò da quel contatto pensando di fuggire perché aveva capito di essere andato troppo avanti. Ma era veramente tardi. L'omone lo prese per le spalle e lo fece inginocchiare “Adesso finisci quello che hai iniziato!”Gli prese la testa tra le grandi mani e lo portò fino a quella cappella ancora odorante di pipì che tanto aveva sognato nelle sue infinite seghe mentali e fisiche. “Ora da bravo leccami il cazzo come se fosse un gelato e poi succhia fino a che non ti dirò io di smettere!” E così fece. In ginocchio come un penitente davanti al dio iniziò a leccare la cappella come un cono gelato, oltrepassando l'odore di piscio. Si insinuò in lui il ricordo dell'extraterrestre che con tre parole piegava ogni donna al suo cospetto rendendole schiave del sesso più sfrenato. Immaginò che quell'energumeno davanti a lui fosse proprio il suo eroe mentre pronunciava la frase eccitante e a cui da anni voleva regalare il proprio corpo. Aprì la bocca ed accolse l'asta lentamente assaporandone ogni centimetro conscio di non avere più speranze di fuga. Come ad affermare la sua sottomissione al dio cazzone l'energumeno prese la sua testa tra le grosse mani e lo costrinse ad ingoiare lentamente e poi sempre più freneticamente cominciando a scoparlo in bocca senza sosta finché, dopo un tempo apparentemente interminabile, un fiotto caldo raggiunse le tonsille di quella giovane apertura. La lingua abbassata dalla grossa asta gli impedì di sputare tutto e visto che la cappella era appoggiata in gola dovette ingurgitare fino all'ultima goccia. Dopo poco il sapore lo raggiunse al cervello ed incredibilmente gli piacque molto. Era cresciuto improvvisamente in pochi attimi ed fu così che si scoprì gay. Sottomesso e bocchinaro e come dicevano i suoi amici di gruppo, “bocchinaro da cessi”. Non gli dispiacque nemmeno quando il maschio che lo aveva sverginato in bocca se ne andò senza nemmeno salutare apostrofandolo con nomignoli indicibili. Era finalmente riuscito ad incontrare il suo Ifix e ne aveva fatto la parte femminile, quello che in fondo aveva sempre voluto.


Ma temendo il peggio uscì di corsa da quel luogo di perdizione con dietro l'uomo che continuava a richiamarlo. Non volle sentire le sue parole. Aveva forse paura di sentirsi richiedere di continuare l'atto fino a portarlo alle estreme conseguenze?


Tornò a casa di corsa e si chiuse in camera abbandonandosi al letto con ancora il sapore oleoso della sborra che rimase sulla lingua per alcuni minuti. Doveva riprovarci, ora che aveva finalmente lasciato la strada delle riviste per quella della realtà e continuare il ruolo di femmina al grido mentale di “Ifix Tchen Tchen”. Ma avrebbe avuto bisogno di molto coraggio oppure di molta carica mentale. Fu così che dopo quasi una settimana di seghe ripensando continuamente a quel bestiale atto subito, ma cercato, si ritrovò davanti a quella costruzione. Ansimava dallo sforzo per la lotta interiore a cui si era sottoposto: “Entra!”... “Non entrare!”... “Questa volta ti fanno il culo!” … “Allora entro!|”...


Fu così che si ritrovò a ripercorrere il corridoio tondeggiante fino alla parete finale. Vuoto! Uscì e percorse un'ulteriore corridoio, ma anche lì non trovò nessuno. In tutto l'orinatoio non vi era nessuno. In lui tutte le immagini si sgonfiarono improvvisamente. Ed ora? Che fare? Fuori vi erano delle panchine e si sedette su una di loro a pensare il da farsi, quando improvvisamente dal bosco emerse un signore grassoccio che appena lo vide lo raggiunse sedendoglisi accanto. “Ciao” disse con voce chioccia “anche tu sei qui per quella cosa?” 


Non sapendo cosa rispondere annuì. A quel punto il signore gli prese la mano ed insieme si infilarono nel pisciatoio. Appena arrivati, senza por tempo al tempo, si calò le braghe e le mutande e tenendo in mano un uccello degno di nota gli si avvicinò. Meccanicamente si inginocchiò ed osservandolo si accorse che non era niente male. Non puzzava di piscio, anzi odorava di uomo, ed aveva una forma molto strana, grosso, incurvato a destra con una cappella rossa come una ciliegia che ad ogni affondo di mano svettava vogliosa. Lo accolse in bocca senza pensarci, sempre al grido mentale della rivista patinata, chiuse gli occhi e si immaginò di essere una delle donne preda irrefrenabile delle voglie del protagonista. “Porca troia, ma come sei bravo, o dovrei dire brava?” disse l'uomo sogghignando eccitato, “Nessuno mi ha mai sbocchinato con tanta passione. Continua senza fermarti che ti voglio fare tante altre cose prima di andarcene!” Quella volta, scevro da indugi o dubbi, si comportò come una vera attrice porno impadronendosi di quel pene come se l'avesse fatto per anni. Poi proprio mentre sentiva pulsare quel glande, pronto a venirgli in gola l'uomo lo staccò e gli ordinò di calarsi le braghe perché voleva il suo culo. Questa volta non volle tirarsi indietro anche se timoroso di sentire male, nonostante le attrici lo accogliessero dentro come se fosse normale e naturale, anzi godendo come matte. Si alzò da quel pisello grondante saliva e si slacciò i pantaloni. Non si era messo le mutande proprio per non avere impacci (Ma che troia era diventato?) e quindi offrì il suo didietro non senza remore “Guarda che non l'ho mai fatto. Ho solo succhiato un pisello la settimana scorsa, quindi fai attenzione e vai piano!” Si chinò appoggiandosi alla parete ed attese che l'estraneo lo prendesse. Questi si avvicinò ed allargando le chiappe del giovane disse stupefatto “Ma guarda tu, non l'hai mai preso un uccello in culo ma hai un buco largo e morbido” e lì gli sovvenne che per mesi si era allenato con tutti gli oggetti possibili ed immaginabili. Aveva iniziato timoroso con una matita, poi con un pennarello, poi con una biro a tanti colori, molto grossa e libidinosa, fino ad arrivare al deodorante con la forma fallica che entrava ormai senza fatica. In casa il burro spariva velocemente “Tu hai preso nel culo il mondo...” e detto fatto, dopo aver sputato sul buchetto per lubrificarlo, appoggiò la cappella al nero ingresso. 


Lo sentiva caldo e morbido; l'oggetto dei suoi desideri e dei sensi lo stava finalmente portando dove voleva lui, ad essere l'attrice primaria nel suo dramma ed a guidare lui stesso il ballo.


“Che cazzo stai facendo con il mio ragazzo, brutto porco!” disse una voce alle loro spalle e tutto finì in quell'istante, la realtà accolse come uno schiaffo i due amanti. Dietro di lui l'uomo si ritrasse e farfugliando mille scuse scappò a gambe levate con i pantaloni sorretti dalla mano. Girandosi si ritrovò l'energumeno che giorni prima lo aveva avviato realmente al mondo gay.


Questi lo guardò torvo e prendendolo per mano lo strattonò verso l'uscita. “Lasciami stare” strillava il giovane “Che cazzo vuoi da me”. L'uomo si voltò con sguardo inferocito ed a pochi centimetri dal viso gli urlò “Io ti ho iniziato ed ora voglio farlo completamente, ma non come una puttana da pisciatoio, capisci brutto testone?” Ma non capiva “Cosa cazzo vuoi da me? Te l'ho succhiato e mi sono bevuto la tua sborra. Siamo pari. Non ti devo niente, anzi!” L'uomo lo guardò torvo e con fare serioso lo spinse verso un vialetto in direzione di una casa con giardino che tramite un cancello si apriva al giardino pubblico. “Entra brutto stronzo, se non ti vedevo alla finestra entrare nel boschetto ti facevi inculare dal primo che passava. Sono arrivato in tempo per fortuna!” Il giovane ancora infuriato lo spinse via “Lasciami andare, che diritti hai tu su di me? Sono io che scelgo cosa fare, dove andare, come comportarmi. Per il resto, se proprio ho bisogno, ho la mia famiglia. Tu chi sei? Te lo ripeto, cosa vuoi da me?” E lo guardò con sfida. A questo punto l'uomo gli diede un violento schiaffo che lo fece volare a terra, poi lo caricò sulle sue spalle e lo introdusse in casa, chiudendo la porta a chiave. Il giovane si riebbe appena venne appoggiato sul divano di pelle. “Ma sei scemo?” disse infuriato “Ma come ti permetti? Mi hai slogato la mascella” ed intanto si portava le mani al mento come a sottolineare il momento. 


L'uomo lo guardò compassato: “Intanto io mi chiamo Gabriele e tu?” ed allungò la mano in segno di pace. “Sergio” disse il ragazzo allungando la sua e raccogliendo l'altra nella stretta, ma sempre con lo sguardo torvo. 


“Io abito qui” disse Gabriele “e sono gay. Mi piacciono molto i ragazzi da indottrinare. Non sono assolutamente un pervertito. Sei tu che sei venuto a cercarmi e non il contrario. Ed ora voglio terminare il mio insegnamento.” Detto questo si avvicinò a Sergio e lo iniziò a spogliare del tutto, senza incontrare resistenza alcuna. Poi fece lo stesso con se rimanendo in mutande, forse per non rendere troppo violenta la situazione. Lo stesso ragazzo non capiva bene le intenzioni dell'altro e quindi si lasciava fare timoroso. “Ifix Tchen Tchen” si disse sommessamente per far scoccare quella scintilla di perversione che in lui stagnava. “Ah! Sei un estimatore di SuperSex!” disse Gabriele che aveva percepito ugualmente il motto e guarda caso porta il mio stesso nome l'attore che lo interpreta. “Come si chiama?” replicò Sergio “sai che non ho mai saputo il nome della rivista? E' stata la prima che ho trovato da piccolo e l'ho custodita gelosamente ma senza conoscerne la testata” e da lì si lanciarono in una entusiasmante discussione su attori, attrici, giornali porno giornali a fumetti e dulcis in fundo, aprendo uno stipetto, apparvero un proiettore ed una serie di filmini in super8 che fecero la gioia del giovne. Quanta opulenza erotica! Si stava eccitando fortemente. “Che ne dici se ci guardiamo un filmetto, così per scaldare l'atmosfera?” disse Gabriele. “Che ne dici invece di fare noi il film con noi due come unici attori protagonisti!” sorrise Sergio ammiccando ed indicando il pene nascosto dalle mutande dell'altro. L'uomo ristette per un attimo poi pronunciò le parole che come un riflesso pavloniano attivarono il porcellino “Ifix Tchen Tchen” ed a quel punto nulla fu più compresso da tabù o soggezioni. Sergio si buttò tra le gambe dell'uomo seduto sul divano ed iniziò a baciare tutto il corpo, cercando di non arrivare subito a quel agognato uccello già provato nel pisciatoio nascosto. Ma Gabriele gli intimò di scendere con la mano “Prendilo fuori da queste mutande e sbocchinalo senza problemi, è quello che vuoi e non mi piace che cerchi di nascondermelo. Lasciati andare... e ripetè la frasettina magica con la quale ogni remora cessò di esistere. Fu un pompino estasiante per tutti e due, senza un attimo di sospensione tranne quando Gabriele venne copiosamente e lì Sergio volle mostrare la sua bravura da attore porno ingoiando tutto fino alle goccioline di ristagno, succhiando con tutta l'asta in bocca e con la punta della lingua alla ricerca delle ultime stille. Si accasciarono sul divano, poi l'uomo si alzò e tornò con una rivista in mano “Ecco il mio omonimo” disse sorridente ed affiancatosi all'altro iniziò a spogliarla. In quei minuti di immagini le pile si ricaricarono e Gabriele girò il giovane a 90 gradi, in ginocchio sul divano con la fronte appoggiata alla spalliera. “Ora finiamo la lezione di sesso” disse mentre qualcosa di freddo raggiunse il buchino del culo. Sergio si girò spaventato, l'aveva tanto desiderato quel momento, ora sarebbe stato lui a far impazzire l'altro come per le ragazze patinate, ora era lui una ragazza patinata e pur avendo una fifa blu per paura di sentire dolore, voleva arrivare fino in fondo. L'improvviso freddo del gel venne sostituito dal calore della cappella. “Ora entro piano piano. Non voglio farti male. Fermami quando vuoi!”


Non fu facile. Strinse i denti con forza appena la punta si insinuò nel retto. Tra piccoli movimenti e fermate prolungate ci volle un tempo infinito. Il dolore era forte, la fronte si era imperlata di sudore, ogni spinta era un colpo di coltello, ogni fermo veniva voglia di far espelle re il corpo estraneo. Però era una ragazza patinata e quindi non doveva mostrare alcuna difficoltà. Girò la testa per far vedere che sorrideva e che non provava dispiacere per la cosa. Anzi, quando ormai era convinto di averlo quasi tutto dentro, diede un improvviso colpo di reni e sentì, oltre ad un dolore lancinante che lo fece gemere tra i denti stretti, tutto il corpo di Gabriele contro il suo. Ora era la preda, la puttana, la ragazza patinata e voleva essere presa senza ritegno. “Scopami!” si sentì dire ansante, “scopami senza ritegno... fammi tua... pronuncia le fatidiche parole che mi imputtaniscono!” Al grido di “Ifix Tchen Tchen”


pronunciato dall'uomo alle sue spalle, si inarcò prepotentemente, tutto dentro di lui si sconvolse, stava godendo al solo pensiero di essere diventato la sua puttana, la sua amante, la sua troia e chi più ne ha più ne metta. Quel cazzo si fece prepotente ed ad ogni affondo i gemiti da dolorosi divennero goduriosi. Gabriele lo artigliò per le spalle e lo spinse contro di sé ad ogni colpo, un attimo e le mani prendevano la giovane testa per incrementare la spinta, per ottenere il massimo della penetrazione le braccia vennero prese come appigli e portate dritte dietro la schiena servirono ad accompagnare ogni istante. Sergio sentiva quel pene fremere in lui, lo sentiva scivolare sempre di più verso il piacere e lo accompagnava con fremiti e scosse molto evidenti. Il calore interno improvviso dopo un ansimare frequente ed un gemito dietro gli fece capire che era stato raggiunto il culmine. Gabriele si accasciò sul divano affranto ma felice. Ed il giovane lo seguì di concerto. 


Ora erano diventati amanti. Non avrebbe mai più lasciato il suo angelo custode, pensò


Sergio.


Quella sera, nella sua cameretta, pensava al pompino fatto al suo uomo dopo l'inculata. Lo leccò e lappò per parecchio senza pensare che era stato nel suo culo finché non ritornò svettante. Non fu facile riportarlo a produrre altro seme, ma ad una ragazza patinata non si può dire di no. Fu un'altra bevuta degna di nota. Felice per quanto accaduto si fece una sega infinita pensando al prossimo incontro. Magari l'indomani. E si addormentò col sorriso sulle labbra.


 



Dove sei finito Gabriele? Perché il giorno dopo non eri in quella villa. Chiusa. Rimasta chiusa in tutti questi anni che quotidianamente ho tenuto sotto controllo. In questi anni dove ti ho cercato al vespasiano nascosto nel boschetto quotidianamente e dove in tua assenza sono diventato un bocchinaro da pisciatoio? Dove sei sparito mio amato mentore? Mi sono innamorato più e più volte ma sempre di persone sbagliate. Non ho mai dato via il culo dopo di te. L'unica volta che mi sono rivolto all'altro sesso sono diventato padre. 


Ed ora, senza guida, mentre mia moglie dorme gravida, mi dirigo al pisciatoio pubblico nascosto nel boschetto, unica cosa rimasta negli anni. E lì, alla tua infinita ricerca succhio cazzi su cazzi. Giovani, vecchi, cazzi molli, cazzoni, cazzi storti...ma il tuo non l'ho più trovato. E ogni volta, per farmi coraggio, pronuncio dentro di me la formulina magica.


“Ifix Tchen Tchen”


 



FINE

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