Forse un giorno ci allieterà ricordare tutto questo. Virgilio, le Bucoliche 1 Cara Giovanna, vorrei raccontare un episodio molto speciale che ha segnato un po’ la mia giovinezza e il mio modo di vivere e sentire il desiderio sessuale. Oggi, che ho 35 anni, e sono persino mamma, dovrei guardare con disgusto a questo tipo di manifestazioni di “affetto”, quelle cui sono stata sottoposta nel mio passato, ma devo ammettere che, invece, ripensarci mi scalda il cuore, e persino tra le cosce mi torna un languorino e una sete di riprovare il gusto proibito. Ma ecco come andò. Quando la scuola finì, insieme con i miei, ci spostammo in un paesino vicino a Tortona. La c’era una grande casa di campagna, una vera fattoria, era dei miei nonni e ci vivevano anche le famiglie di zii e zie, che avevano continuato la tradizione contadina e abitavano nei dintorni. La vita in campagna era bellissima e, per me, ragazzina di città, ogni girono era un avventura. Purtroppo non c’erano cuginetti coetanei, o erano molto più piccoli, oppure talmente grandi da sembrare adulti, guardati dal mio punto di vista. Adesso, per come sono andate le cose, mi dico che forse non mi sarei neppure interessata troppo a loro e ai loro giochi infantili. Infatti successe una cosa del tutto inattesa, che attrasse tutta la mia attenzione e rivoluzionò tutte le mie aspettative. Il mio corpo vibrava e tremava, aspettando che ciò che mi aveva tanto attratta, succedesse di nuovo! Ero molto giovane ma avevo gambe tornite e sode, e un bel culetto prorompente. Indossavo le mie gonnelline corte, senza malizia, per cercare refrigerio dal calore dell’estate. Non potevo immaginarlo che il mio fisico ancora tanto acerbo potesse attrarre gli sguardi di un vero maschio. Il cugino di mia madre era molto grande rispetto a me ed era sempre molto gentile, nonostante fosse un uomo grosso, dalle grandi mani callose e il viso cotto dal sole, un po’rubizzo la sera, dato che la, tutti non disdegnavano un corposo bicchiere di buon vino. Aveva grande pazienza; appena possibile mi portava in giro e mi mostrava tutto della fattoria e dei lavori di campagna. Quando era possibile, poi, mi donava l’emozione più incredibile che potessi desiderare: mi aiutava a salire sull’alta cabina del trattore e poi giravamo per il podere. Lui doveva controllare un sacco di cose là intorno… il sedile era molto scomodo, così, appena ci allontanavamo dalla casa, lui diceva: - Lucilla, se stai troppo stretta, puoi sederti in braccio a me. Io ne approfittavo subito, era bello stargli così vicino, mentre mi godevo i sussulti piacevoli e la veduta da una prospettiva del tutto diversa. E poi, sotto di me, tra le su gambe, c’era un qualcosa che, tra i morbidi cuscinetti della carne, s’induriva… era per me una sensazione del tutto nuova. Eppure, quel corpo calloso che sentivo, turgido, sotto il sederino, mi portava delle vampate di calore alle tempie, ma senza farmi arrossire. La sera, sola nel mio lettino ci ripensavo, ero quasi certa di non sbagliare, quello che sentivo quando sedevo sullo zio era il suo pene. Ormai lo sapevo abbastanza bene; anche a scuola se ne parlava con le amiche e avevo visto i disegni del corpo, studiando Scienze. Non posso negarlo, tutta questa strana cosa mi faceva effetto dentro e mi turbava, anche se ancora non capivo perché. Le uniche cose di cui ero certa erano: quelle emozioni mi rendevano contenta e… per la prima volta sentii di non dover raccontare a mia madre, nessuna di quelle cose che provavo con lo zio. Dopotutto, lei doveva avere una grande fiducia in lui, visto che mi lasciava volentieri in sua compagnia. 2 Dopo la colazione, quando si poteva, lo zio mi portava a vedere i posti più caratteristici e più segreti dei boschi, la intorno. Una mattina, era molto presto, come mi vide, disse: - Oh,Lucilla, mi fa piacere che sei già sveglia… oggi ho una bella sorpresa per te... vuoi vedere? Lo seguii nel fienile, che era a un centinaio di metri dalla casa, i lavoranti erano appena partiti per la campagna, o erano indaffarati nel Caseificio. Dentro si stava belli freschi, infatti mi ci rifugiavo spesso di pomeriggio. Su di un lato, una vecchia scala di legno portava al deposito superiore, c’erano solo poche balle di foraggio, di quelle rettangolari, molto comode per sdraiarcisi sopra. Lui salì, abbastanza guardingo e io lo seguii, curiosa ed emozionata. Dietro una cassa, appena sopra, mi mostrò una cucciolata di micini. La gatta aveva avuto i piccoli: erano meravigliosi, e talmente piccoli che io non ne avevo mai visti così. - Se non li spaventiamo, la madre non li sposta da qui per almeno due settimane… - disse mio zio con un sorriso, - puoi venire a vederli ogni tanto, ma sempre con me. La scala non è troppo sicura, meglio non fidarsi. Piena di gioia, mi appoggiai comoda sulla cassa, affacciata per vedere i piccoli. Lo zio si mise al mio fianco nella stessa posizione; per farmi contenta aveva portato la pila, così li potei vedere benissimo. Stesi una mano ma lui mi bloccò. - No, non devi farlo! Non li toccare, - sussurrò – se la mamma sente il tuo odore è possibile che non li riconosca più e non li allatti. Morirebbero di fame. Ritirai immediatamente la mano, impaurita, e attenta a non fare danno. Restammo fianco a fianco in quella posizione, mentre lui, a bassa voce, mi raccontava un sacco di cose che non sapevo sui cuccioli. Addirittura, una volta, in un casolare abbandonato, aveva trovato i cuccioli di una lupa. Mentre parlava, mi poggiò la mano sulla spalla. Pochi istanti dopo, però, cominciò a carezzare la mia schiena, procurandomi un brivido inaspettato, mentre le dita premevano con un po’ più di forza, nel centro della schiena. M’inarcai, senza volerlo, rispondendo automaticamente a quella nuova sollecitazione. Poi le sue carezze diventarono diverse, più intime, mettendomi addosso una grande paura… sentii quanto fossero grandi e virili quelle mani callose appena vennero a contatto della mia carne. Lo zio mi carezzò le cosce, fino alle ginocchia, e poi saliva, saliva… finché si fece spazio sotto la stoffa leggera della gonna, e arrivò all’orlo delle mutandine. Restai immobile, terrorizzata non tanto da lui, quanto dalla mia totale impreparazione a quella situazione. Pensai addirittura (e sentendomi in colpa per la vergogna) che indossavo le mutande del giorno prima… ci avevo anche dormito e non mi ero ancora fatta il bidet. Quindi divenni rossa, di fuoco, temendo che lui avrebbe anche potuto infilarci la mano, toccandomi il culetto, e le mutandine non erano fresche e pulite! Però, in quella ridda di emozioni, scattò pure una molla nuova nel mio cervello: il desiderio! Ogni cosa di lui, in quel momento mi sembrava una calamita, una spinta a desiderarlo vicino, incollato… addosso. Lui odorava di maschio, adulto e virile; puzzava di lavoro, di sudore nobile, e il suo respiro diventava sempre più contratto. Capii cosa vuol dire quando dicono che l’uomo si è eccitato! E io desideravo qualcosa; o meglio, desideravo tutto! Desideravo il sesso senza sapere bene come fosse, fatto in due. I miei unici orgasmi me li donava già da qualche anno, ma da sola; avevo troppa paura delle folli storie che circolavano sui pericoli della deflorazione. Sapevo che alcune mie amiche ci infilavano dentro qualcosa e di altre, che avevano avuto rapporti completi, fin dentro la passera, oppure avevano provato il cazzo dei ragazzi, solo strusciato tra le gambe. La mia più grande perversione, invece, era stata infilarmi due dita anche dietro, mentre venivo. Mio zio non poteva immaginare quanto desiderassi, in quel momento, che lui andasse più in su con la mano, che non si fermasse in quel gioco che mi rendeva pazza di desiderio. Ma lui non fece altro, né disse altro. Uscimmo senza nemmeno guardarci negli occhi. Fuori l’aia si era un po’ ravvivata: c’erano le zie, con i piccoli e c’era mia madre. Corsi da lei, dimenticando il sesso e raffreddandomi mentre avanzavo. Avevo solo voglia di tornare piccola e di dimenticare quel fuoco che mi aveva invasa… capivo che mio zio aveva vent’anni più di me. - Mamma, mamma, - le dissi con entusiasmo, - sono nati i gattini… sono troppo teneri. Uno è bianco col musetto… - e continuai a confidarle le meraviglie che avevo visto. 3 Ma la mia innocenza non resistette a lungo. Il pomeriggio del giorno dopo, quando tutti in casa riposavano un po’, dopo pranzo, raggiunsi lo zio che lavorava nella cantina e gli chiesi, se poteva, di riportarmi a vedere i mici. Avevo sotto le mutande nuove: bianche, immacolate. Mi fece salire per prima sulla scala, e io lo feci, piano piano. Lui era subito dietro di me, sentivo il suo fiato sui polpacci. Sopra, ci rimettemmo appoggiati alla cassa, come la mattina precedente… ma il mio cuore già batteva all’impazzata, al solo ricordo di quel che c’era stato. Parlottavamo tra noi, quasi sussurrando, ma dopo un po’ lui rifece gli gesti del giorno prima, ma stavolta infilò la mano sotto la gonna e, alla fine, mi carezzò le chiappe da sopra gli slippini. Poi scese con la mano e per me si aprì un firmamento di emozioni nella testa; aprii le gambe lentamente e lui riusciva a tenere il palmo aperto, sotto la mia natura, che sentivo già molto calda. Restammo in silenzio, poi disse piano: - Fammi vedere se sei sudata! – e ricominciò a toccarmi tutta, ma con più confidenza. Prima il collo, poi i fianchi, la schiena e infine tornò sotto la gonna. Tocco la mia mutandina di cotone, che adesso era evidentemente inzuppata, ma non disse nulla. Sempre in silenzio si alzò, tenendo la testa bassa per non urtare il soffitto, mi prese la mano e mi portò, con lui, verso il fondo del fienile. C’era uno strato di balle accostate, sembrava fatto apposta per stendercisi sopra. Mi lasciò la mano, si chinò, e da una busta di plastica nascosta, prese un grosso lenzuolo chiaro, fresco di bucato. - Ora possiamo stenderci un po’ per riposare al fresco… ti va? La mia risposta fu tacita, non avrei opposto nessuna resistenza. Mi aiutò, con le sue mani forti, a stendermi mi si mise vicino e cominciò a carezzarmi di nuovo, ma con mano sicura. Quando scese sulle gambe, arrivato ai piedini, mi tolse i sandali. - Torno tra un attimo, aspetta, - mi disse. Era un orario tranquillo, ma lui, in un balzo fu di sotto, e si accertò che non ci fosse nessuno, poi tornò da me, che fremevo nell’attesa, e mi tolse immediatamente il vestitino; dopo tutto avevo solo quello e le mutandine, non indossavo il reggipetto perché i miei seni erano ancora rigidi e acerbi, nonostante i capezzoli ...


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Categorie: Incesti