Una soluzione come questa non mi avrebbe mai sfiorato la testa, nemmeno nei momenti di massima depressione; eppure ne avevo avuto, in questi ultimi due anni.
Neppure negli incubi più spaventosi che avevano tormentato le mie notti agitate, spesso insonni, di quest’ultimo periodo, mi era capitato di ipotizzare una conclusione come quella che stavo vivendo.
Eppure ero lì, sull’autostrada che non portava alla mia città, ma in direzione opposta, sull’auto lanciata a velocità pazzesca da me che mi ero persino scolata un paio di bicchieri per cercare di cancellare il tormento che la vicenda mi dava.
Avevo respinto con malgarbo le avances di un paio di giovanotti; in altri tempi, li avrei considerati un lenitivo contro la rabbia che mi bruciava dentro; ma stavolta dovevo solo riconoscere che abbrutirsi alle umiliazioni implicite agli amplessi violenti e volgari cui mi sottoponevano i maschi - che agganciavo con l’obiettivo di affermare la mia libertà almeno nel sesso - era assai peggio che accettare malvolentieri il potere che, secondo me, mio marito esercitava su di me.
Mi era ormai chiaro che avevo sbagliato tutto, che avevo calpestato tutte le norme morali, civili e sociali, correndo dietro a una smania di libertà; e ora stavo correndo dio sa dove perché gli errori si pagano, alla fine.
Non era assolutamente da mettere in conto una soluzione del genere quando conobbi Claudio, mio marito, e me ne innamorai come la liceale che ancora ero; mi affascinò immediatamente con i suoi modi raffinati e decisi, con la determinazione con cui affrontava i problemi e li risolveva, con la tenerezza con cui mi trattava da bambola di biscuit.
Mio padre, uomo di sani principi, di esperienza e di determinazione, uno che si era fatto da sé, stravedeva persino per quel giovane imprenditore assai determinato; prevedeva per lui un avvenire di grande successo ed era arcifelice che avesse scelto me, la sua pupilla, per chiederne la mano - come si usava al tempo, nelle buone famiglie - e sposarmi poi come comandavano società e santa romana chiesa.
Gli anni di matrimonio furono all’insegna del giubilo quotidiano; non dovevo chiede che già Claudio mi aveva dato; non dovevo cercare perché lui trovava per me; non avevo bisogno di nulla e spendevo senza guardare i cartellini del prezzo; più cresceva il suo potere, economico, politico e sociale, più io mi levavo le soddisfazioni prima di averci pensato.
Non so quando, come e perché mi sono trovata a un tratto ad avvertire come pesante il suo dominio; non potere scegliere niente, perché tutto era già stato fatto per me, mi dava la sensazione di essere un bel ninnolo trattato con cura; non poter trasgredire neppure con un cioccolatino o un gelato di troppo mi pesava assai; di colpo, mio marito diventava il mio ‘padrone’ al quale era sempre più urgente ribattere con un gesto che lo mettesse all’angolo, che lo umiliasse, se necessario, ma che affermasse che potevo fare qualcosa contro di lui.
L’occasione fa l’uomo ladro, si dice; e a me la fornì Loredana, una mia amica fuori dal giro di quelli che Claudio conosceva e controllava; in occasione di una festa per il suo compleanno, passai da casa sua per portarle il regalo e la trovai in una gioiosa combriccola di giovani che si godevano i festeggiamenti; mi fermai il tempo di un dolcetto e vidi quel giovane bellissimo e accattivante che subito mi sorrise e prese a corteggiarmi.
La cosa più ridicola è che non ricordo nemmeno il nome di quel ragazzo, tanto fu rapida e indolore l’esperienza; a malapena ricordo la figura aitante e muscolosa, la sicurezza dei modi; Loredana, quando vide la sua insistenza nel corteggiarmi e capì che stavo per cedere, si limitò a indicarmi la sua camera e mi avvisò che non c’erano problemi; quando lui, subito dopo, mi prese per un braccio e mi guidò, lo seguii quasi in trance, ben cosciente di quel che andavamo a fare.
Fu mentre mi spogliava baciandomi su tutta la pelle che mi resi conto che stavo realizzando la rivolta che avevo in animo da tempo; se mi fossi lasciata andare, mio marito sarebbe stato cornificato, non l’avrebbe saputo e non avrebbe potuto fare niente per rimediare; per una volta almeno, ero io che vincevo.
Quando si spogliò, mi accorsi che la sua dotazione era forse inferiore a quella di Claudio; mio marito aveva una mazza da esibizione, lunga, grossa e nodosa; ma soprattutto la usava da dio, facendomi provare orgasmi enormi, infiniti, incessanti; e il sesso tra noi era stato sempre ai massimi livelli, anche dopo anni di matrimonio.
Ma quel ragazzo era ‘la trasgressione’ e fui io a prendere le iniziative, forte anche delle esperienze maturate nel talamo di casa, dove veramente non avevamo bisogno del Kamasutra per sfrenarci nelle pratiche più ardite; non fosse stato per il retrogusto di ribellione, quella copula sarebbe stata la cosa più stupida che potessi decidere.
Lo masturbai con una sapienza che lo mandò in solluchero e, se non mi fossi fermata più volte stringendogli i testicoli per bloccare la conclusione, avrebbe eiaculato subito dopo che avevo iniziato; quando accostai le labbra e cominciai la mia fellazione, si agitò, tremò e gemette tanto che dovetti tappargli la bocca per non comunicare agli altri quel che succedeva.
Riuscii a tenerlo a bada spingendo la sua bocca sulla vulva e insegnandogli, letteralmente, a farmi godere con la bocca; dopo molte incertezze, arrivò a un cunnilinguo accettabile, neanche lontanamente riferibile a quelli meravigliosi che Claudio spesso mi aveva praticato anche più volte il giorno.
Decisi di affrettare i tempi e mi feci penetrare in vagina, alla missionaria; anche allora dovetti bloccarlo più volte per impedirgli di concludere senza che io avessi raggiunto l’orgasmo; quando godetti, finalmente lasciò andare una ricca eiaculazione che accolsi con lunghi gemiti di goduria.
Lo liquidai in fretta, perché dovevo essere a casa prima che mio marito rientrasse; a Loredana che mi chiese com’era andata, dissi serenamente che avevo goduto per la trasgressione ma che il rapporto era stato deludente; mi suggerì, se volevo incontri soddisfacenti, di rivolgermi a una signora Dorotea che gestiva una casa d’appuntamenti d’alta classe, frequentata anche da molte signore della buona società annoiate, e che lì avrei potuto organizzarmi al meglio per qualche ‘vacanza’ ben calibrata.
Quasi mi dimenticai dell’episodio e il biglietto di Loredana rimase nel fondo della mia borsa; in un giorno di crisi profonda, uno di quelli in cui Claudio veniva solennemente celebrato da tutti per il personale successo nel lavoro o nella politica, io mi sentii a un tratto l’ancella al servizio del ‘signore’; mi montò di nuovo la rabbia e scattò il desiderio di ribellione; ripescai nella mente il discorso di Loredana, rivissi l’episodio a casa sua e cercai il biglietto, perché avevo deciso; non sapevo, o facevo finta di non rendermi conto, che stavo decidendo la mia brutta fine.
Telefonai e qualche giorno dopo ero alla ‘Casa della gioia’ che era in realtà un classico bordello di lusso con ristorante, bar, piscina, sauna, pista da ballo e tutti i confort che si possono richiedere a una simile struttura; non dovetti fornire generalità e la direttrice dimostrò di avere molta dimestichezza con le donne come me, poiché decideva immediatamente e dava risposte sicure e secche.
Concordammo che avremmo fatto un’esperienza il giovedì seguente e che, se mi fossi trovata bene, avemmo potuto concordare gli incontri successivi, con termini fissi o casuali; la salutai facendo appuntamento al giovedì quando mi avrebbe fatto trovare un cliente adatto alle mie qualità, distinto, elegante, raffinato e garbato.
Effettivamente, il mio primo ‘cliente’ fu un signore ultrasessantenne, il doppio della mia età, ben vestito, dai modi garbati e dall’eloquio facile e interessante; quando si spogliò, scoprii però che la dotazione era ben importante, una mazza che, dura, arrivava oltre i venti centimetri e aveva lo spessore di una lattina; per un attimo, m’impressionai ed ebbi quasi paura che mi sventrasse; un mio problema era anche tornare a casa e rendere conto a mio marito di un eventuale inevitabile slabbramento del sesso.
Quando lo ebbi tra le mani, però, ogni paura passò perché quel fallo mi dava sensazioni indicibili di piacere e, anzi, mi provocava il desiderio di farmi spaccare in due quando mi fosse penetrato in vagina o, peggio - ma questo speravo di risparmiarmelo - nell’ano che certamente sarebbe uscito molto male da una penetrazione, per quanto delicata e attenta; l’accordo con Dorotea prevedeva un incontro di un’ora nel corso della quale avrei fatto tutto quello che il cliente chiedeva, nei limiti della decenza; un coito anale non poteva essere rifiutato, anche se doloroso e dagli esiti imprevedibili.
Lo presi tra le mani e cominciai a manipolarlo con tutta la sapienza che avevo maturato alla scuola di Claudio; si eccitava da bestia e mi fermava ogni tanto per non arrivare troppo in fretta all’orgasmo; godevo a sentirlo palpitare tra le mani; si rese conto che non ero una vera professionista, me lo disse e sentii che si eccitava ancora di più a sapere che era la prima volta per me.
Lo baciai delicatamente poi cominciai a succhiarlo e alla fine lo feci entrare in bocca; pareva non dovesse essere possibile e invece, con sapienza e con calma, riuscii a farne entrare una buona parte; mi copulò in bocca per qualche tempo, provocandomi intensi brividi di libidine e cominciai ad apprezzarne la consistenza; me lo sfilò dalla bocca; mi spettavo che si abbassasse a leccarmi la vulva, com’ero abituata con mio marito; ma presto mi resi conto che evitava accuratamente di appoggiare la sua lingua sulle mie parti erogene, evidentemente per la convinzione che chissà cosa avessi fatto con la bocca, quanti falli avessi preso in vagina.
Mi montò addosso e mi penetrò con violenza, senza nessun garbo, spingendo il sesso fino a farmi dolere la cervice dell’utero; mi montò a lungo, fermandosi ogni tanto a impedire l’orgasmo, per riprendere con maggiore vigore; mi fece girare carponi e m’infilò in vagina da dietro; sentivo l’asta entrarmi fino al cervello e mi persi nella gioia di sentirmi violata, penetrata fino in fondo, senza sentimenti, senza amore, solo per il piacere di possedermi; cominciai a godere di sentirmi posseduta, di essere schiavizzata alla sua voglia; mi feci schifo perché il mio senso di libertà diventava uno straccio nelle mani di un imbecille qualsiasi; mi accanii con maggior foga e tirai fuori tutta la tecnica di cui ero capace per rendere la copula meravigliosa; era letteralmente inferocito e mi colpì molte volte con sonori ceffoni sulle chiappe.
Mi chiese di prendere il lubrificante; non potei che obbedire e mi sentii ancora rivoltare perché mi piegavo alle voglie di uno sconosciuto allupato per reagire a presunte vessazioni dell’amore di mio marito; ma ormai ero sulla china dell’orrore e mi scatenai; quando mi violò l’ano, vidi le stelle dal dolore e dovetti implorarlo di fermarsi perché mi stava squartando; non mi degnò della minima attenzione e spinse con violenza finché sentii i testicoli battere sulla vagina, segno che il mostro mi era entrato nell’intestino.
Andò avanti per tutta l’ora canonica che aveva concordato con Dorotea e mi lasciò alla fine che quasi non mi reggevo in piedi; ebbi bisogno di una lunga sosta nella Jacuzzi per riprendere le mie facoltà di movimento; l’ano mi doleva, perché era lacerato in più punti e sapevo per certo che dovevo inventarmi un’emicrania per evitare gli assalti che forse Claudio avrebbe voluto portarmi; sapevo che per la sua correttezza avrebbe accettato la mia scusa senza dubitare e così avrei impedito che si accorgesse della vulva slabbrata e dell’ano lacerato.
Quando mi fui ripresa, Dorotea mi chiese com’era andata e se stavo bene; le dissi che sarei tornata il giovedì successivo, alla stessa ora; mi accolse con gioia e da quel momento divenne mia complice nelle corna che piantavo a mio marito, in assoluto anonimato, praticando il mestiere più antico del mondo; ero un’imbecille e lo sapevo, ma il gusto di mortificarlo era più grande del timore di essere scoperta.
Per due anni sono andata avanti così, assentandomi la sera del giovedì con la scusa di un aperitivo con le amiche; dovetti ricorrere a questa scusa, perché alcune volte al ritorno, in autostrada, avevo trovato traffico ed ero arrivata con un ritardo che avevo potuto giustificare dicendo che mi ero trattenuta al bar con le amiche; Claudio non aveva mai avuto dubbi o tentennamenti sulla mia lealtà e non aveva quindi nessun motivo per dubitare; mi fu facile confidare sulla sua buona fede per diventare la più ambita delle prostitute di quella casa d’appuntamenti; ed io continuavo a gongolare di riempire di corna il ‘signore e padrone’ che neppure si accorgeva che si andavano diradando i nostri incontri a letto, perché il giovedì tornavo spompata e per giorni non ero in grado di corrispondere alle sue richieste.
Il casino esplose imprevedibile una sera che ero in attesa di un cliente che conoscevo bene, per averci copulato alcune volte in precedenza; corretto e delicato, era uno che non aggrediva, ma si muoveva con garbo; con lui riuscivo ad avere ogni tanto un orgasmo, perché la sua dotazione intorno alla media non mi costringeva a sopportare troppo e finivo per partecipare alla sua goduria; una comunicazione da Dorotea, nell’interfonico, mi avvertì che c’era un cambio di programma.
Il mio cliente era stato dirottato a un’altra ragazza perché io ero stata richiesta dal suo nuovo socio in affari; considerato il livello del personaggio, mi regolassi per essere perfetta; dissi che non c’erano problemi e che l’ospite sarebbe stato contento di me; mi sentivo molto gasata dalla novità e mi preparai sul letto a riceverlo; entrò un tale, mascherato, che mi ricordava molto, per la struttura fisica, mio marito; scherzai immediatamente.
“Non siamo mica a carnevale! Perché la maschera?”
Non pronunciò verbo, mise il dito sulla bocca a intimare silenzio e m’impose col gesto di scendere dal letto; quando fui davanti a lui, mi afferrò i capelli e mi costrinse a forza a inginocchiarmi davanti al suo fallo, mi strinse il naso e mi ficcò la sua barra in gola, fino alle tonsille; non riuscii a urlare perché l’asta mi bloccava persino il respiro e mi sentii soffocare; ricordandomi che mi era stato raccomandato di trattarlo da ospite d’onore, perché nuovo socio nella gestione, mi sforzai di sistemare in bocca il ‘mostro’ e cercai di leccarlo dolcemente.
Sentii su quel fallo un sapore che non mi era ignoto; mi ricordava molto il sapore del sesso di Claudio quando gli praticavo il sesso orale; già un’emozione simile avevo provato di fronte alla figura intera e al sesso; temetti di avere le traveggole e di vedere quello che temevo, non quello che era reale; ma un vago sospetto, che potesse essere proprio lui, mi prese specialmente in considerazione del fatto che aveva voluto non farsi vedere in viso.
Non ebbi il tempo di rifletterci a lungo; di colpo, sfilò il fallo dalla bocca, mi sbatté letteralmente carponi sul letto e la sua mazza mi spaccò l’ano, facendolo sanguinare; le mie urla riempirono l’edificio e sentii immediatamente la porta aprirsi e la voce di Dorotea.
“Ingegnere, che diavolo succede?”
“Mi sta massacrando!”
Mi lamentai.
“Povera mogliettina; il marito oppressivo la sta anche massacrando!”
Riconobbi la voce; era proprio Claudio; il suo potere era arrivato fino alla ‘Casa della gioia’ e ora ero nuda, davanti a lui che si era tolto la maschera e mi guardava con l’aria del boia davanti al condannato; Dorotea era diventata all’improvviso mansueta.
“Sua moglie?! … Le giuro, ingegnere, non sapevo niente … la prego, mi creda, non ho colpe … “
“Settanta e trenta … Nicola fai stilare l’accordo al notaio e la signora lo sottoscrive immediatamente!”
Il tono era quello perentorio di quando decideva; il suo uomo di fiducia trovò il tempo di sussurrarmi.
“Imbecille, l’hai combinata bella grossa; spera che non impartisca l’ordine di farti sparire per sempre … !”
Ero stravolta; Flora, una delle ragazze, venne dietro di me con garza e disinfettante e mi curò l’ano che sanguinava.
“Sei una troia della specie peggiore. Con i soldi che ti passa tuo marito, potevi comprarti tutti gli amanti che ti servivano per farti grattare quella fogna che hai fra le cosce, e tu vieni a fare le corna all’uomo più potente del paese proprio qui dove noi ci umiliamo per mantenere le famiglie - io ho un figlio, se non lo sai, che dipende da me; e tutte qui siamo costrette a degradarci per esigenze di famiglia - e tu metti a rischio la nostra stessa vita per i tuoi pruriti di vagina. Ingegnere, lei ha tutto il diritto di far fare a questa struttura la fine che è toccata a tanti che si sono comportati da carogna con lei; proprio perché so che lei non è della stessa risma, la prego di tenere conto che la sua signora ha ingannato tutti, non solo lei; nessuno di noi ha voluto ingannarla; se una ha tradito, è stata sua moglie; la prego di riflettere prima di decidere una punizione, che a questo punto appare inevitabile e prevedibile.”
“Senti, ragazza - ti chiami Flora, mi pare - io non sono, o meglio non sono solo il marito che una moglie troia ha fatto cornuto in questa casa di appuntamenti … per quanto? Due anni? Brava la mogliettina; per due anni mi hai preso per i fondelli! Non sono solo quello, cara Flora; sono soprattutto, forse unicamente, un uomo d’affari; nessun uomo d’affari, con un minimo di buonsenso, distrugge quello che potrebbe produrre ricchezza, se non ci sono colpe gravi; le corna di mia moglie sono una colpa solo sua e ne risponderà; io ho rilevato la società ed ho il settanta per cento; da oggi, Dorotea tiene il trenta; del mio settanta, il quaranta andrà a voi e il trenta resterà a me; Nicola si occuperà della gestione. Chi non accetta questo patto, può uscire da quella porta.”
“Cavoli, il quaranta? Finora prendevamo solo il trenta! Accettiamo con tutto il cuore, vero ragazze? Inutile dire che se avesse qualsiasi voglia, siamo a sua completa disposizione!”
“Grazie, non ne ho bisogno; Dorotea, l’accordo non vale per la signora Nora che da questo momento diventa la protagonista della casa; per lei non verso niente; lei le pagherà quello che ritiene; per rifarmi di due anni di corna, farà turno ininterrotto sette giorni a settimana; quanti appuntamenti ha una ragazza normalmente?”
“Uno, non tutti i giorni; ciascuna si prende uno o due giorni di libertà.”
“Bene, Nora non avrà giorni di libertà per cinque appuntamenti al giorno; se rifiuta o reagisce male, lei la sbatta sul marciapiede; qualcuno provvederà … “
“Ingegnere, l’unica che tentò di tenere un simile ritmo è Annina del Ponte; dopo tre mesi, ha visto come è ridotta?”
“Certo; conosco Annina e la aiuto di tanto in tanto; lo farò anche con Nora quando le condizioni del suo sesso la sbatteranno su una strada di periferia e vivrà di elemosina … “
“Claudio, è una decisione disumana!”
Era stato Nicola ad intercedere.
“Amico mio, se vuoi, puoi portartela a casa tua; ti licenzierò, ti cercherai un lavoro e la manterrai a tue spese; bada che questa signora sperpera un patrimonio in una settimana solo per vestiti e profumi.”
“No, in non mi prendo nessuno in casa; ho già una donna e un’altra non mi serve; ma tu non puoi essere meno rigoroso?”
“Come lo è stato lei a difendere la sua libertà di farsi degradare ed umiliare da sconosciuti per il solo giusto di riempirmi di corna?”
“Ti conosco da sempre, so che sei inflessibile e spietato, quando è necessario, ma quella è stata tua moglie per anni …”
“Sei certo che non sia stata sempre la troia che è qui adesso?”
Loredana alle mie spalle mi sussurrò.
“Se non riesci a calmarlo, mi sa che devi solo gettarti a fiume … “
“Posso tornare a casa nostra stasera?”
“Casa nostra?!?!? Quella è casa mia, solo mia; tu non hai nessun diritto. Ricordi l’accordo sui beni separati? Tuo padre te lo impose; ora sono io a pretendere che si rispetti. Sei una troia; il tuo posto è il bordello; stasera resti qui e da domani, se ti accordi, cominci a lavorare, per me, alle mie condizioni, cara la mia pasionaria.”
“Non posso neanche sperare di commuoverti un poco?”
“Nicola, prendi la borsa di questa signora e recupera le carte di credito che fanno aggio sui miei conti; porta via le chiavi della mia casa; lasciale quelle della macchina perché non voglio indietro i regali che ho fatto ad una moglie che amavo mentre mi riempiva di corna; Nora, vattene dove vuoi; non ti voglio più.”
Non c’era più niente da dire, purtroppo; se ne andarono; io mi rivestii in un silenzio gelido di odio; presi le mie cose e andai alla macchina; non mi diressi alla casa che, stupidamente, consideravo ancora nostra; presi la direzione opposta, verso l’inferno, forse.
Mentre andavo verso il mio speciale patibolo, ripensavo con nausea alla libertà che avevo espresso, che era stata, in definitiva, quella di consentire a sconosciuti spesso laidi e comunque sempre repressi e bisognosi di sfogare in una vagina la loro frustrazione di falliti, di mettermi sotto, di umiliarmi, di violentarmi e di trattarmi da schiava sessuale; tutto, per combattere la presunta arroganza di Claudio che mi aveva sempre trattata come una bambola di porcellana da maneggiare con cura.
Il colmo della mia presunta libertà era che, a quel punto, potevo solo scegliere di andare a schiantarmi, perché era l’unica strada mi rimaneva per uscire dal cul de sac in cui mi ero volontariamente cacciata; stavo piangendo, senza che me ne accorgessi; e le lacrime mi davano una visione confusa della strada; ma, ormai, non contava più contro che cosa sarei andata a schiantarmi; l’unica che contava era che uscivo di scena, finivo di soffrire, di lottare.
In un palpito di imbecillità estrema mi venne fatto di pensare che si sarebbe sciupato il mio abito preferito, di grande firma, che avevo scelto con cura per usarlo nelle grandi occasioni; ma forse nessuna poteva essere più grande di questa, l’ultima; mi dispiaceva anche per la macchina - una spider con tettuccio rigido, rossa come piaceva a me, che mio marito mi aveva regalato come gesto d’amore all’ultimo compleanno - ;anche lei si sarebbe distrutta con me.
Pensai un’ultima volta a mio marito, per urlare in autostrada.
“Claudio, ti amavo, ti amo, ti amerò fino alla morte; e mai fu così vero. Forza, Nora, dai gas e corri; vai, Nora vaiiiiiiiii …”

… mentre l’auto, lanciata a folle corsa, si infilava sotto l’autotreno.
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