L’età tra i trenta e i quarant’anni, nella vita di una donna, sono quelli cruciali per tutto, ma soprattutto perché è nel pieno della maturazione umana, fisica e, innanzitutto, sessuale; io li sto vivendo, sono in qualche modo a metà strada e quindi al massimo della potenza esplosiva, del desiderio, dell’attività, della voglia.
Il particolare determinante è che da sempre mi sono scoperta una tendenza all’esibizione che, agli inizi, un poco mi imbarazzava e metteva in difficoltà amici e familiari; poi, col tempo, chiariti i termini del problema con le persone che amavo, è diventato un punto di forza anche nei rapporti intimi e personali.
Quando il mio seno cominciò ad ingrossarsi e diede i segni chiari che sarebbe diventato un ‘balcone da gerani’ (come amavano prendermi in giro i ragazzi che mi conoscevano), cominciò anche la ‘battaglia’ con mia madre che non sopportava la cura con cui mi mettevo a cercare, nei negozi di intimo, i reggiseno più provocatori e affascinanti che potessi permettermi, coi pochi soldi di cui disponevo; ma la guerra vera iniziava quando li indossavo sotto camicette o vestitini largamente trasparenti perché tutti gli occhi si posassero sulle mie tette carnose, disegnate a pennello, eccitanti fino a calamitare l’interesse dei maschi nel giro di decine di metri.
Lo stesso discorso vale per il mio sedere, che assumeva sempre più un carattere ‘brasiliano’ con una pronunciata lordosi che spingeva i miei glutei in alto facendo assumere un profilo eccitante e cattivante per tutti; ho passato le più belle estati della mia vita passeggiando sulla spiaggia, prevalentemente lungo la linea di battigia, solo per mettere in evidenza il mio profilo perfetto, da statua greca, cercando di catturare l’interesse di tutti i maschi sul mio didietro e sul mio seno; le soddisfazioni che mi prendevo quando udivo i commenti, che risuonavano normalmente alle mie spalle, sono ancora ben conservati nello scrigno dei miei ricordi più belli.
Sin da allora, però, ero quasi volgarmente spudorata (almeno nei rimproveri di mia madre) nell’esibirmi in costumi da bagno infinitesimali, spesso ridotti a poche fettucce che mi attraversavano il torace e sì e no nascondevano i capezzoli grossi e continuamente eccitati e, più giù, uno strano intreccio a rete che nascondeva solo la folta peluria del pube (non ho mai accettato di depilarmi, fino a poco tempo fa) e, dietro, forse solo l’ano, lasciando scoperte le natiche carnose e morbide, che ballavano armoniosamente ad ogni passo; ma non feci mai, assolutamente mai, un solo gesto che consentisse a chiunque di allungare le mani sul mio corpo che coltivavo e conservavo gelosissimamente, non solo bellissimo ma anche immacolato.
Fu solo qualche tempo dopo, maturata negli anni, che accettai la corte di Gennaro, che sarebbe diventato mio marito; lasciai che mi baciasse, per la prima volta nella mia vita, con un trasporto che non avevo mai neanche sognato, e che, addirittura, mi abbracciasse stringendo a se il mio seno che diceva di adorare; col tempo, imparai ad allentare le difese e a concedergli sempre di più, finché azzardò di infilare le mani nel perizoma e di toccarmi il sedere e, poi, la vulva; mi emozionai molto, nel sentire quanto piacere, quanta gioia mi davano le sue mani sulla pelle; e presi coscienza che esibirmi mi produceva sensazioni meravigliose che mi scuotevano testa e cuore; ma sentirmi toccata e stimolata mi procurava un piacere al basso ventre che non sapevo neppure spiegarmi.
Ci eravamo conosciuti al mare, una sera d’estate che ricordo benissimo ma che tengo per me, sempre; e ricordo anche con quante esitazioni accettai di uscire un poco con lui sulla spiaggia; ‘sarò correttissimo, ti puoi fidare’ aggiunse rassicurante; gli credetti e non me ne pentii, perché mi diede quel primo bacio che mi mandò in visibilio e mi fece scoprire un’altra dimensione della vita, dei rapporti con gli altri, ma soprattutto del mio corpo che cominciai a idolatrare in ogni sua parte, non solo in quelle che catturavano gli uomini come il miele le mosche; mi disse apertamente che conosceva e capiva, in qualche modo, il mio desiderio di farmi ammirare, che non lo trovava giudicabile o di ostacolo al nostro amore; finché amavo lui, potevo, anzi forse dovevo farmi ammirare per rendere gli altri invidiosi della fortuna che era capitata a lui, di avere una donna così bella e così innamorata; gli urlai che amavo ed avrei amato solo lui e che farmi ammirare era solo un modo per sentirmi fiera di me e, visto che lo diceva, anche fiera di lui e del nostro amore.
Il lungo periodo di ‘fidanzamento’ (che molto poco aveva di quello che mia madre con quel termine indicava) lo vissi come in una nuvola rosa, innamorata persa del mio Gennaro e incapace di frenarmi quando potevo fare sfoggio della mia bellezza, in qualunque momento, in qualsiasi luogo e in tutte le situazioni; a distanza di anni, ricordo ancora con libidine la sera in cui, in un ristorantino della nostra città, ci ritrovammo con un gruppo di amici a festeggiare un qualcosa a cui non badai e che neppure ricordo; quello che ricordo, invece, è il momento in cui, dopo cena, quando la filodiffusione sparse nel locale i ritmi di una canzone in voga, noi ragazze tutte cominciammo ad agitarci sulle sedie; scattò subito l’invito a salire sul tavolo e a ballare come su un cubo; guardai il mio amore, mi fece cenno con la testa e salii in piedi sul tavolo; il seno minacciava continuamente di balzare fuori dalla maglietta; tutti gli occhi erano puntati lì per vedere se e quando sarebbe successo; ma il mio gonnellino cortissimo non poteva coprire le mie bellezze intime e tutti gli sguardi si spostavano dal petto alle cosce che si scoprivano fino a rivelare che indossavo un perizoma invisibile, con le natiche completamente esposte, da una parte, e il boschetto nero del pube in piena evidenza, dall’altra parte.
Le bave sembravano scorrere anche fisicamente dalle bocche dei maschietti allupati che non si perdevano un attimo dello spettacolo ed incitavano i movimenti di danza con la voce e col battito delle mani; io guardavo negli occhi il mio Gennaro e gli mandavo tutto l’amore che sentivo per lui; riuscii persino a spedirgli sulla punta delle dita un bacio che lui finse di raccogliere e rimandarmi; quando scesi dal tavolo, veramente felice di come mi ero fatta ammirare e di quanta libidine avessi suscitato, lo trovai ad accogliermi in un abbraccio che mi fece sciogliere; non ebbi nessuna reazione neanche quando, davanti a tutti, mi strinse fra le mani le natiche e mi spinse contro la vulva il sesso che conoscevo, ma con cui non avevo la dimestichezza che forse la situazione meritava.
In un momento di pausa, mentre discutevano sul conto e alcuni andavano in bagno, mi accompagnò delicatamente ad un magazzino - ripostiglio dove c’era di tutto, dai tavoli in disuso alla posateria, dai piatti ai tovaglioli di carta; ci baciammo a lungo; sentii le sue mani vagare su tutto il mio corpo, soprattutto sul seno che strinse con delicata energia prendendo i capezzoli fra le dita; sentii vampate di calore salirmi dalla vulva e ferirmi il cervello; ebbi alcuni orgasmi in successione e mi abbandonai a lui.
“Vorrei fare l’amore con te, adesso, qui!”
Mi disse in un soffio; quasi mi ribellai.
“No, amore, non ora né qui; lo faremo, perché anche io lo voglio, ma non così.”
Mi prese la mano e la portò nei pantaloni fino a che incontrai la sua asta che avevo già provato in mano, in bocca e, per un poco, fra le tette; cominciai a masturbarlo delicatamente; ma non era quello che desiderava; manovrò lui e mi appoggiò la verga fra le cosce, stretta alla vulva coperta solo della stoffa del perizoma; gli chiesi per favore di fermarsi; lo fece e, per dimostrare che non intendeva deflorarmi, mi fece ruotare tra le sue braccia ed appoggiò il sesso alle natiche, le accarezzò a lungo, rivelando un’erezione mai sentita prima, lo fece scivolare in mezzo e raggiunse l’ano scoperto; temevo che volesse violarmelo a secco; sapevo che le mie amiche lo facevano; ma mi avevano avvertito che era molto doloroso, se non preparato bene; noi non eravamo pronti e glielo dissi; mi chiese di pazientare e di accettare un poco di amore ‘diverso’; lo lasciai fare e sentii ano e vulva solleticati dalla mazza che mi scorreva tra le cosce, da dietro; per non urlare di piacere, volsi con difficoltà, e dolore, la testa verso di lui e lo baciai a lungo; dopo un breve movimento di vai e vieni tra le cosce, eiaculò un fiume di sperma che mi imbrattò le cosce fino al ginocchio; quando si staccò, usai dei tovaglioli per pulirmi, gli presi la testa tra le mani.
“Genny, lo sai che ti amo più della mia stessa vita; voglio essere tua, voglio che mi fai fare tutto l’amore che vuoi; ma, ti prego, lascia che renda felice anche mia madre che mi vorrebbe vergine all’altare; non puoi aspettare che ci sposiamo, per sverginarmi?”
“Ma dietro non c’entra, con la verginità … “
“Però non si può fare se non abbiamo uno spazio idoneo e non mi prepari prima per bene!”
Solo una settimana dopo, approfittando di un pomeriggio in cui aveva la casa vuota, violò il mio ano; e fu un pomeriggio indimenticabile, di sesso, di piacere, di passione, ma soprattutto di amore; per la vagina, ebbe la forza di aspettare davvero fino al matrimonio e mia madre fu felice di sapere che ero arrivata vergine all’altare, anche se avrebbe voluto che fossi anche casta pura, ma lei stessa era convinta che fosse un’utopia; non persi però la mia vena esibizionista e, complice anche il mio amore, sfruttai tutte le occasioni per manifestarla e farmi ammirare dovunque.
Lo spazio ideale erano i centri commerciali dove la frequenza di persone, l’abbondanza di negozi da visitare, la serie di scale mobili da usare infinite volte anche senza motivo, mi consentivano giochini meravigliosi e intriganti che travolgevano Gennaro e lo rendevano protagonista; la passeggiata per gli ampi corridoi, facendo svolazzare leggerissime gonne pieghettate che a malapena coprivano il sedere e che, nei movimenti naturali della camminata, finivano per scoprire tutto; Gennaro fingeva di preoccuparsi di coprirmi, in realtà godeva come un matto quasi dicesse.
“Voi sbavate; io l’amo e la tengo per me, la mia donna!”
La specialità era però salire le scale mobili e fare in modo da avere sempre dietro spettatori più o meno consapevoli che lasciavano gli occhi sul mio fondoschiena e i lividi sulle braccia procurati alle donne che li accompagnavano (Gennaro mi ha raccontato spesso di questi episodi a cui aveva assistito); il mio amore anche lì ‘recitava’ la parte del fidanzato preoccupato che le grazie della sua amata non finissero sotto gli occhi di allupati passeggeri; chinarmi davanti ad una vetrina senza piegarmi sulle ginocchia ma inchinandomi ad angolo retto per esibire perfino il ciuffo di peli che sfuggiva dal perizoma (ma anche dalla brasiliana o dal semplice slip) era un esercizio di erotismo portato al massimo dell’esasperazione e il culmine lo raggiungevo quando notavo, in un negozio di scarpe, un commesso particolarmente promettente per bellezza ma soprattutto per mascolinità.
Quando entravo a provarmi delle scarpe, Gennaro coglieva al volo l’indicazione e si preparava alla sceneggiata; mi sedevo sulla poltrona e chiedevo al commesso di provarmi le scarpe, una per volta, sbattendogli davanti agli occhi le mie striminzite mutandine coi peli del pube che sbucavano da tutte le parti; per tutto il tempo che durava la ‘recita’ non facevo che accavallare le gambe cambiando ogni volta posizione lasciando il commesso alle prese con la sua eccitazione, inconfondibile col pantalone che faceva vela, ogni volta che si alzava per prendere un modello; col mio amore, era tutto un interpellarsi con nomignoli dolci e vezzosi per chiedere pareri, per dare consigli, senza mai fare il benché minimo riferimento al mio comportamento da troia; quando uscivamo, era una liberazione per tutti; ma subito dopo, dovevo trascinarmi Genny in bagno perché mi facesse godere a lungo e alla fine mi eiaculasse in mano, in bocca o tra le cosce.
Questo modo di vivere il nostro amore ci accompagnò per tutto il tempo (per me lunghissimo, interminabile; in realtà pochi anni) che trascorse, prima che, trovata entrambi una opportuna sistemazione lavorativa, decidessimo di sposarci; tutto fu organizzato secondo i canoni prescritti dalla cultura del territorio ed imposti da mia madre come legge ineludibile; fino al momento di partire per il viaggio di nozze che si rivelò l’occasione per far diventare, quella che si era trasformata in una cerimonia di pubblico interesse, un fatto privato tra noi due, dove ad avere a meglio erano l’amore, la sessualità; Gennaro fremeva; l’idea di sverginarmi lo esaltava; fare l’amore con me era diventato il perno su cui girava la sua vita; non perse nemmeno un momento.
Eravamo appena entrati nella camera dell’albergo, scelto sulla costiera per il viaggio di nozze, che già mi sentii avvolgere nel più dolce e caldo abbraccio che potessi desiderare; mi spinse sul letto, tirando solo su la gonna del vestito da viaggio e fuori dalla patta il sesso spaventosamente duro, quasi impazzito di gioia anche lui, mi venne sopra, mi chiese scusa per la violenza e, con un enorme bacio, mi penetrò solo spostando il perizoma che avevo sotto; mi sentii travolta dall’amore e quasi non avvertii la fitta dell’imene che saltava; lo strinsi a me e cominciai a piangere dolcemente.
“Genny, non so dirti quanto ti amo, sono felice di sentire che ti appartengo per sempre e che tu sei mio, imprigionato nel mio ventre col tuo sesso meraviglioso; dimmi che sarà per sempre, che ci ameremo per tutta la vita con questa forza!”
Si fermò un attimo dentro di me, mi accarezzò il viso e mi asciugò coi baci le lacrime.
“Per sempre, amore, per sempre; e ti amerò ogni giorno di più finché questo amore resterà una cosa nostra, pulita, intatta, dolcissima come sei tu in questo momento. Ti amo … tantissimo.”
Ci facemmo portare la cena in camera e mio marito (finalmente lo potevo chiamare così) per tre volte mi prese con un’intensità immutata; godette nel mio ano, una volta, e nella vagina, due volte; e per tre ore circa mi fece sentire il suo sesso, sempre in tiro, dappertutto nel corpo; lo amai come non avrei mai pensato di poter fare, senza fermarmi, senza abbassare per un attimo la voglia, la tensione, la passione; crollammo di colpo, non appena avevamo esaurito l’ultimo amplesso, in vagina; e il sonno ci colse immediatamente; mi svegliai poco dopo le sette, perché le tende lasciavano passare la luce e mi è impossibile dormire se c’è luce; andai in bagno a lavarmi e a struccarmi, finalmente, e, in vestaglia, uscii sul vasto balcone per ammirare lo scenario straordinario del golfo; mentre lasciavo scorrere lo sguardo sulle bellezze ineffabili della costiera, notai un guizzo di luce che, più volte, mi colpì; proveniva da un edificio a fianco all’albergo e, ad una finestra, non tardai ad individuare la sagoma di qualcuno che, evidentemente con un binocolo, guardava direttamente nella mia direzione.
Qualcosa dentro di me fece scattare lo spirito dell’esibizionista e, quasi istintivamente, mi accarezzai il corpo con esplicita e provocatoria lussuria; mi sembrò che il casuale guardone portasse la mano verso il basso, forse per afferrare il sesso e masturbarsi; decisi di favorirne la libidine e scoprii una tetta che presi a massaggiarmi golosamente mentre atteggiavo il volto ad una lussuria che, in buona parte, davvero provavo; Gennaro mi fece voce dall’interno della camera; gli dissi di venire fuori ma senza coprirsi, nudo come era; non mi chiese perché, sortì sul balcone in tutto lo splendore del suo corpo statuario, mi venne accanto, abbassò la vestaglia e prese a baciarmi appassionatamente dalle spalle ai seni; gli sussurrai in un orecchio.
“A quella finestra, la vedi, c’è un guardone con binocolo; ti va di offrirgli uno spettacolo di grande amore tra due sposini meravigliosi?”
“Signora, lei è una donna rispettabilissima; queste cose non si chiedono … si fanno!”
Detto fatto, mi abbracciò, mi ruotò leggermente e mi fece appoggiare alla ringhiera, sollevò la vestaglia e prese a carezzarmi il sedere; mi scioglievo lentamente mentre sentivo le sue mani percorrere le natiche, infilarsi nel centro e stuzzicare l’ano; lo desideravo con tutte le mie forze, con tutta me stessa, in tutto il corpo; la sua carezza era lussuriosa, provocante, ma soprattutto dava al guardone il senso di che miracolo della natura fosse il mio meraviglioso fondoschiena; appoggiò la mazza meravigliosa contro l’ano e mi chiese se ritenevo che potesse penetrarmi analmente senza problemi; gli risposi che non me la sentivo di azzardare, asciutta come ero, e lo pregai di entrare nella vagina che già colava di desiderio; si spostò indietro ed espose la sua mazza alla vista del guardone, appoggiò la punta alla vagina ma poi la spostò a sollecitarmi il clitoride; me ne stavo ferma, piegata ad angolo davanti a lui e stringevo con forza la ringhiera, per reagire all’emozione del momento.
Ad un tratto si interruppe, mi tirò a se e agguantò i seni, da dietro, prendendo i capezzoli tra le dita e sfregandoli fino a farmi godere; ruotai la testa indietro e lo baciai goduriosamente, la sua lingua, che sembrava copulare con la mia bocca, accentuò le emozioni e gemetti; uno sguardo veloce al guardone mi rivelò che con una mano teneva il binocolo, ma con l’altra si stava manipolando l’asta; forse era una delle più belle masturbazioni della sua vita; il mio spirito di esibizionista ne gioì immensamente; anche Gennaro si era fermato a guardare e mi sussurrò ‘ha concluso, sta godendo; possiamo anche fare con calma sul letto’; vidi che il guardone abbandonava la posizione, ruotai con tutto il corpo tra le braccia di mio marito, lo spinsi all’interno, sul letto, e gli montai addosso; ero fortemente eccitata e volevo godermelo, cavalcandolo da sopra; si limitò a spingere il ventre con una mazza che era diventata di ferro e cominciò a possedermi, da sotto, con una forza inaudita.
Cominciò da quella copula la nostra vita matrimoniale, caratterizzata dagli stessi elementi con cui ci eravamo incontrati; continuavo a fare lunghe e studiate passeggiate vestita in maniera che alla fine tutti guardassero, sotto la minigonna, la mia vulva spesso nuda, tutti ammirassero il mio seno prosperoso; e Gennaro si prendeva improperi e cattiverie; un paio di volte a settimana, andavamo nei centri commerciali ed io recitavo i ruoli che amavo, di ragazzina ammirata davanti alle vetrine, che si piega e mette in vista il sedere matronale e la vulva quasi scoperta; di cliente indecisa e fastidiosa nei negozi di scarpe, dove i commessi facevano a gara per servirmi e godersi, così, il panorama della mia vulva appena coperta e delle cosce che non stavano mai ferme; il seno era oggetto di occhiate continue da tutti e, per qualcuno, la causa delle occhiatacce, dei rimproveri e dei pizzicotti di mogli gelose che non avrebbero mai potuto reggere il confronto.
Per mio marito, il compenso era che, subito dopo, senza aspettare di tornare a casa, andavamo nei bagni e stavolta non lesinava; la più grande soddisfazione era quando gli chiedevo di penetrarmi nell’ano, a secco, poiché non aveva portato il lubrificante; gli facevo toccare il cielo con un dito coi miei gemiti d’amore, quando sentivo la sua mazza durissima percorrere il canale rettale, sollecitando tutti i tessuti interni che spingevano la vagina a produrre qualità industriale di umori da orgasmo; quando poi arrivavamo a godere, molte volte addirittura in contemporanea, tacere era un problema che quasi sempre risolvevamo con un bacio stratosferico.
La nostra vita lussuriosa venne interrotta da una gravidanza non del tutto voluta (avevo interrotto la pillola, ma avevamo fatto l’amore senza protezione) e temetti fortemente che le conseguenze del parto mi avrebbero stroncato la voglia di esibirmi, per i danni arrecati da gravidanza e puerperio alle mie forme; ma il medico mi assicurò che i miei tessuti erano conformati in modo da riprendere immediatamente la loro dimensione, per cui tranne qualche leggero ingrossamento in punti dove la maturità sarebbe stata elemento di fascino e non di danno, non avrei avuto problemi; per sicurezza frequentai qualche corso di rassodamento per il seno che, allattando al petto, era davvero maturato nel senso che appariva più carnale, più sensuale, più desiderabile e malizioso; e per i fianchi che si erano riempiti, ma di quel tanto che mi facevano più matronale e più appetibile; la cosa si ripeté un’altra volta ed oggi abbiamo due figli meravigliosi; anche la seconda gravidanza portò al mio corpo solo i benefici della maturità, senza danni evidenti.
I rapporti con il vicinato del palazzo in cui abitiamo ormai da moltissimi anni non subirono nessuna variazione, se si eccettua un piccolo episodio rapidamente ricondotto all’ordine; era infatti mia abitudine, fuori al balcone, fare piccoli lavoretti, soprattutto con le piante; naturalmente uscivo in vestaglia e senza intimo, sapendo per certo che uomini e ragazzi dalla strada, dal cortile, dai balconi a fianco si sarebbero precipitati ad osservare le mie cosce statuarie, il mio sedere fascinoso e il mio seno fantastico, scambiandosi battute, forse, ma senza dire alcunché di offensivo; mi compiacevo molto, senza darlo a vedere, ed assumevo volentieri pose che sembravano naturali ma che conoscevo maliziose e stuzzicanti.
Il più facile bersaglio era per me il vicino di appartamento e di balcone, che spuntava puntualmente, con la scusa di una sigaretta o di un lavoretto, quando uscivo per le mie pratiche di giardinaggio; come in copione prefissato, si soffermava ad ammirare il mio corpo tutto; e il pantalone gonfio denunciava un’erezione enorme ed un’eccitazione irresistibile; naturalmente, facevo sempre in modo da offrire lo spettacolo migliore del mio sedere, del mio seno, delle cosce e qualche volta anche della vulva; una mattina, Gennaro era appena uscito e forse era ancora in garage, quando il vicino bussò alla porta; dallo spioncino lo vidi contratto, con un’erezione evidentissima e con il viso congestionato; gli dissi che ero sola e che tornasse quando c’era mio marito; parlava sottovoce per non farsi sentire ma offendeva, minacciava, prometteva; spaventata, chiamai al telefono mio marito e lo avvertii di quel che succedeva; telefonò a sua volta alla moglie del vicino (non so perché avesse il numero in rubrica; non gliel’ho mai chiesto e credo proprio che dovrei approfondire!); la conclusione fu che arrivarono insieme, Gennaro e Sonia, la moglie di lui, e lo sorpresero a picchiare contro la porta urlando e sacramentando.
Finì che la moglie quasi lo picchiava; da quel giorno, lo ridusse a sciocco servitore, gli impose enormi limiti da azione e quasi si scusava con me per l’aggressione subita; chiarimmo che un attimo di follia può capitare e rinnovammo l’impegno ad un’amicizia che la vicinanza degli appartamenti aveva cementato nel tempo; Gennaro però mi avvertì che forse dovevo stare più attenta, almeno nell’area di frequentazione abituale, per non creare problemi che potevano risultare, alla fine, non risolvibili con la stessa tempestività; promisi che ci avrei pensato e che avrei evitato di accendere fuochi vicino alla paglia; siamo ancora felicemente insieme, io e Gennaro, e continuiamo a recitare le nostre ‘sceneggiate’ per le strade dello ‘struscio’ (termine con cui, al sud, si indica il passeggiare lentamente sul corso, quasi strusciando le scarpe sul terreno, abitudine atavica viva anche fra i giovani, anche se con altra denominazione) o nei centri commerciali dove facciamo ‘irruzione’ un paio di volte a settimana;
… e credo che sarà cosi … almeno finché il fisico reggerà e potrò permettermi di farmi ammirare come un oggetto prezioso; quando un qualche cedimento mi costringerà a fare i conti con la realtà, ci siamo promessi che ci inventeremo altre ‘trasgressioni’ perché, in fondo, l’amore così vissuto, con un minimo di irregolarità e con qualche tensione, è quello che ci consente le copule più belle del mondo.
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