‘Vizio di natura fino alla morte dura’ era il detto popolare caustico con cui mia madre stigmatizzava la mia tendenza a non assumere decisioni o responsabilità, quasi per un difetto connaturato; la mia condizione più normale era quella di guardare intorno, specialmente ad amici e parenti, scegliere in base all’osservazione il comportamento più opportuno, farlo mio e perseguirlo fino alle estreme conseguenze,
Non che vedesse di cattivo occhio la mia abitudine a stare dietro con interesse a Nicoletta, l’amica del cuore sin dall’infanzia, ed a ‘carpirne’, in qualche modo, i comportanti per decidere i miei; anzi era lei stessa a suggerirmi che agire d’intesa poteva rafforzare le scelte ed essere ancora più amiche; ma sottolineava anche che agire d’intesa non significava essere debole e condiscendente; trovava insomma che fosse poco prudente non assumere decisioni e dipendere dagli altri.
Non riuscivo a spiegarle che, per naturale costituzione, quando anche non potevo consigliarmi con Nicoletta, come minimo mi chiedevo lei come avrebbe fatto, in quel frangente, ed avrei comunque scelto sulla base di esperienze comuni, simili o assimilabili.
Specialmente per la nostra maturazione sessuale (e soprattutto in vacanza, dove certi processi erano più evidenti) era quasi una gara tra Ersilia (io) e Nicoletta a chi conquistava per prima il traguardo, sia che si trattasse di annunciare al mondo che, col menarca, eravamo ormai donne; sia che si trattasse di uscire la sera col ragazzo che per primo ti baciava in bocca con la lingua: anche se qualche volta c’era un piccolo o lungo intervallo tra di noi, si poteva definire senz’altro simultaneo il processo di maturazione.
Molto spesso, naturalmente, era lei che realizzava certe conquiste prima di me ed io mi dovevo adeguare a lei, per raggiungere lo stesso livello: così fu quando la vidi strusciarsi, mentre lo baciava, con il pube contro quello del ragazzino del momento e avvertii, dallo sguardo, che aveva raggiunto l’orgasmo di cui avevamo tanto parlato; immediatamente dopo, catturai al volo il corteggiatore più promettente, mi feci stringere a ballare un lento e godetti nel sentire il suo ‘coso’ gonfiarsi contro il mio ventre e stimolare la mia vulva finché non mi sentii squarciare la pancia da un insolito piacere che mi avvisò di essere anch’io ‘venuta’ con un orgasmo fantastico.
Analogamente, quella sera in discoteca che la vidi allontanarsi con fare ambiguo col suo ragazzo verso i bagni, presi il mio filarino e li seguimmo: quando lei, mentre si baciavano, gli infilò le mani nel pantalone, tirò fuori il pene e prese a manipolarlo con gioia, io seguii pedissequamente i movimenti e dopo neanche dieci minuti scoppiavo di gioia interiore vedendo lo sperma spruzzare dal membro del mio ragazzo e inondarmi le mani che, come aveva fatto Nicoletta, portai alla bocca per goderne il sapore acre che mi fece esplodere un nuovo orgasmo.
La stessa ‘disponibilità parallela’ ci sostenne quando per la prima volta ci avventurammo in una fellatio con un membro ormai ben maturo e quando, dopo, ci decidemmo a farci penetrare analmente, con qualche dolore ma con grande entusiasmo e piacere.
Insomma, la nostra emancipazione crebbe in parallelo, fino alla sera che Nicoletta mi avvertì che, dietro le barche arenate, avrebbe concesso a Filippo la sua verginità, perché convinta che lui sarebbe stato il suo ragazzo sempre; in parte perché ne ero fermamente convinta, in parte perché lo faceva lei per prima, risposi che anch’io mi sarei fatta sverginare da Claudio che amavo alla follia.
Tutto andò meravigliosamente, quella sera: dopo che ci fummo appartati dietro le barche, come ormai facevamo spesso, e dopo aver manipolato a lungo i sessi come era nostra abitudine, quando Filippo sfilò a Nicoletta prima il top, per accedere alle sue tette e manipolarle a lungo, e poi la minigonna e il perizoma denudandola completamente sulla tovaglia stesa sulla sabbia, anche Claudio mi denudò con leggerezza, delicatamente e con tutta l’allegria che il suo desiderio e la mia condiscendenza concedevano.
Quando mi si stese addosso, nudo pure lui, con il membro stretto tra il suo ventre e il mio, sentii che colavo come una fontana dalla vulva che non avevo mai sentito così eccitata e pronta; quando il sesso si spostò tra le cosce e la punta premette contro la vagina, ebbi un momento di terrore per il male che poteva farmi o per le conseguenze che potevano derivarne; ma avevo tanta voglia di sentirlo dentro, tanta smania di non essere da meno della mia amica, che già era stata profondamente penetrata dal suo ragazzo, che strinsi i denti e spinsi io stessa il pube per farmelo entrare nella pancia.
Provai un attimo di dolore, quando l’imene saltò; ma sentii anche, a fianco, il piacere del bastone di carne che visitava i recessi della mia femminilità; e il piacere che ne derivò trasformò il grido, che era nato di dolore, in un urlo di piacere che costrinse Claudio a chiudermi la bocca con un bacio per non farmi sentire anche da chi stava passeggiando sul corso; quel bacio mi trasmise tanta libidine e tanto amore che esplosi in un orgasmo infinito.
Eravamo all’ultimo anno di liceo e il successivo settembre avrebbe segnato l’inizio della nostra avventura universitaria: naturalmente, io e Nicoletta avevamo scelto la stessa sede, la stessa facoltà e gli stessi corsi, per essere sempre insieme, fino alla fine del percorso di studio; e, in qualche modo, ci accodammo ai nostri ragazzi che quel percorso lo avevano avviato un anno prima.
I quattro anni universitari scivolarono agevoli e senza molte scosse: insieme, io e lei eravamo una vera forza della natura e gli ostacoli diventavano tutti agevoli da superare, sia quelli che ci poneva il corso di laurea, sia quelli che la vita ci offriva di tanto in tanto; comunque, non avevo smesso di adeguarmi a lei nelle scelte, sia quelle spicciole di ogni giorno sia quelle più importanti e decisive; la particolarità era costituita dal fatto che, quando avevo colto il meccanismo, poi lo possedevo e me lo gestivo da sola, al punto che certe volte andavo assai al di là delle sue indicazioni; ma anche questo contribuiva a rendere interessante e produttiva la convivenza.
Ben presto, Claudio cercò di inserirsi in questo meccanismo, cominciò ad entrare nelle mie decisioni ed imparò a piegare alle sue scelte la mia tendenza a seguire le sue indicazioni e ad adeguarmi per coincidere con lui.
Per la frequenza all’Università, nella vicina città, Filippo e Claudio avevano affittato due posti letto in un appartamento con altri due che si laurearono quell’anno: io e Nicoletta occupammo il loro posto, quando se ne andarono; e per quattro anni vivemmo comunitariamente; ma solo in poche occasioni ci capitò di fare l’amore nella stessa stanza e ci trovammo di nuovo a condividere il piacere del sesso alla presenza degli altri due, anche se ciascuna coppia per se.
Una sera, però, venne un amico di Filippo e, dopo cena, si ritirarono tutti e tre nella loro camera; dopo poco, avvertii rumori inconfondibili di attività sessuale: incuriosita, andai ad incollare l’occhio alla serratura e mi resi conto che, nel letto, i tre erano nudi e Nicoletta si occupava dei due in contemporanea; in particolare, la vidi succhiare il sesso dell’ospite mentre Filippo la prendeva da dietro; dopo un poco, i maschi si scambiarono di posto.
Con un certo imbarazzo, la mattina seguente ne parlai alla mia amica mentre andavamo in facoltà: osservò soltanto che amore e sesso non coincidono e che lei dava al suo ragazzo tutto l’amore del mondo ma che, se qualcuno le chiedeva sesso e se Filippo era d’accordo a lasciarglielo fare - ma soprattutto se partecipava personalmente - lei non aveva problemi a dare sesso ad un altro che fosse in grado di partecipare ad una simile gestione dei rapporti: nello specifico, era stato il suo ragazzo a chiederle se ci stava a fare sesso per una sera anche con l’amico, senza che questo incidesse sul loro amore; lei aveva accettato e lo avevano fatto.
La cosa mi lasciava dubbi e perplessità; e cozzava non poco contro un mio inconscio fondamentalismo; ma la determinazione di Nicoletta e la sua convinta separazione tra sesso e amore mi suggerirono di tacere i miei dubbi, forse legittimi, ma non certamente giustificabili alla luce dell’amicizia che ci legava da sempre.
Nell’estate tra il secondo e il terzo anno dell’Università, decisamente a metà percorso (eravamo puntualissime nel seguire i corsi, io e lei), decidemmo di non tornare come pecorelle alla solita località marina dove avevamo consumato gli anni migliori (vi avevamo anche trovato enormi soddisfazioni, pensavo; ma non osavo dirlo); e la scelta fu verso una nuova esperienza, il campeggio, grazie alla disponibilità di un amico di Filippo, Carlo, che aveva di una tenda grande per quattro posti e di una piccola per due.
L’ipotesi iniziale era di andare insieme tre coppie, Filippo e Nicoletta, io e Claudio, Carlo e la sua ragazza che non ancora avevamo conosciuto; ma i calcoli saltarono presto perché la ragazza all’ultimo momento lo piantò per andarsene in Spagna con un tale venuto in Italia per Erasmus, che lei aveva conosciuto, di cui si proclamava pazzamente innamorata e che proprio in quei giorni tornava a Barcellona.
La piccola tragedia personale rischiava di ‘bruciare’ la nostra ipotesi di ‘vacanza alternativa’ perché era Carlo a garantire le tende; ma Claudio riuscì a convincerlo che l’unico modo per reagire alla delusione era venire in vacanza con noi e cacciare il ricordo di lei tra le cose da buttare via; Carlo non resistette molto e alla fine si andò in Istria in un campo naturisti, vecchio sogno di tutti gli studenti italiani degli ultimi decenni.
Il soggiorno era previsto per due settimane e tutto avrebbe dovuto svolgersi nella massima serenità; per la disposizione negli spazi, inizialmente era previsto che noi quattro avremmo occupato la tenda grande e Carlo con la ragazza quella da due; alla luce degli eventi, non cambiava niente e Carlo avrebbe occupato da solo la tenda piccola; passò serenamente la prima settimana di soggiorno, durante la quale per potere copulare ogni tanto, Filippo con Nicoletta e Claudio con me, bisognava fare i salti mortali per appartarsi in una delle due tende; di notte, era poco opportuno darsi da fare con l’altra coppia a fianco.
Una sera, dopo cena, Claudio mi prese da parte e mi chiese se ero disposta ad accogliere Carlo nella nostra tenda, mentre quella piccola restava disponibile per Filippo e Nicoletta che potevano copulare in pace.
“E noi?”
Chiesi forse ingenuamente.
“Noi, se ti va, potremmo fare qualche gioco a tre …”
Mi allontanai da Claudio quasi indignata; andai da Nicoletta e le riferii del colloquio.
“Ti ho già detto cosa pensavo di queste situazioni; io lo farei perché amo Filippo e mi fa piacere fare qualcosa di trasgressivo con lui. Tu valuta cosa ti suggerisce l’amore per Claudio …”
Ero molto incerta e si leggeva facilmente nei miei comportamenti.
Claudio mi venne vicino, mi abbracciò dolcemente.
“Ersilia, non ti chiedo di fare niente che tu non voglia; l’amore fra me e te è completamente fuori discussione; niente lo può scalfire, soprattutto un episodio di puro sesso che si lava via come le scorie che può lasciare: se ti va, a me fa piacere guardarti fare sesso con un altro e amarmi come di più non si può; mi fa piacere dare a Carlo un momento di piacere nello stato d’animo in cui si trova; mi piace trasgredire un momento per tornare all’amore di sempre. Tu decidi per te.”
“Sistemiamoci come dici tu; poi in tenda vedremo …”
Cenammo tutti insieme e, al momento di sparecchiare e di rigovernare ai lavatoi comuni, Nicoletta mi disse abbastanza brutalmente.
“Se vuoi sperimentare la forza che puoi avere sui maschi, dominali tutti e due, stanotte, dagli il sesso che tu vuoi dare, imponi la tua femminilità e vedrai che, alla fine, ti sentirai anche orgogliosa di te e di come pieghi ai tuoi voleri i maschietti.”
Forse fu la frase che mi diede la spinta decisiva; ma mi sentii quasi in dovere di annotare.
“Se tutti e due i nostri amori hanno di queste idee, perché non ci hanno mai proposto di farlo noi quattro?”
“Perché spesso anche le cose lapalissiane ci possono sfuggire: neanche tu o io ci abbiamo mai pensato; forse perché non c’era la chiarezza che, sicuramente, domattina ci sarà: da allora, forse, si potrà anche pensare a farlo tra di noi, prima che con altri.”
Andammo a passeggiare un poco, dopo cena, e Claudio fu particolarmente premuroso ed affettuoso, segno che ci teneva molto al rapporto a tre che aveva proposto; infatti, quando ci ritirammo nella tenda e ci stendemmo a dormire, contrariamente alle altre sere, cominciò immediatamente a carezzarmi; mi accoccolai contro di lui, dandogli le spalle e lasciando che una sua mano mi scivolasse sul sedere e sulla schiena, per spostarsi davanti sul seno, mentre l’altra mi accarezzava una natica e si spostava dentro il pantaloncino del pigiama per afferrarmi un gluteo e inserirsi delicatamente nell’ano, prima, e nella vagina, poi, che trovò già largamente rorida e grondante.
Carlo si era disposto sull’altro sacco a pelo, di spalle a me; Claudio mi fece rotolare sulla schiena e si chinò a succhiarmi un capezzolo, dopo aver sollevato il top che mi copriva il seno: cominciai a gemere, prima per effetto della sua succhiata, poi caricando i toni per risvegliare l’appetito sessuale di Carlo, che finalmente si girò supino e innalzò al cielo un obelisco di carne meraviglioso, assai più grosso di quello del mio fidanzato, che non era affatto piccolo.
Eccitato dalla vista, il mio amore mi fece girare di nuovo su un fianco e mi abbassò il pantaloncino mettendo a nudo il sedere premuto contro il suo ventre; Carlo, quasi avesse ‘sentito’, si girò verso di me; Claudio mi prese il braccio destro e lo stese verso il nostro ospite; Carlo si sfilò di colpo il pantaloncino col quale era andato a dormire e la sua mazza poggiò sulla mia mano: lo cominciai a masturbare con gusto: mi piaceva la sensazione di calore che quell’asta mi procurava.
Piegandosi verso di me mi attirò verso di lui, mentre Claudio tirava il sedere verso il suo membro; mi piegai ed alla fine mi trovai col sesso del mio ragazzo in vagina, mentre, dall’altra parte, mi dedicavo completamente alla masturbazione dell’amico.
Non so dire cosa mi desse più piacere, in quel frangente, se l’asta del mio amore che percorreva la vagina e l’utero scatenandosi contro la cervice con orgasmi violenti a raffica; o se il membro del suo amico, semplicemente tenuto in mano e masturbato delicatamente e forse per questo più eccitante, anche considerando le dimensioni extra che aveva e che mi invitavano a immaginare penetrazioni violente e profonde.
Decisi tra me e me che almeno una fellatio poteva praticarla, a quel punto; infilai una mano tra le cosce e, come lo stesso Claudio mi aveva spesso suggerito, presi i testicoli e li strizzai, per bloccargli l’orgasmo; mentre lui si riprendeva dalla fitta dolorosa che sapevo di avergli provocato a bella posta, io abbassai ulteriormente la testa finché le mie labbra incontrarono la cappella di quel membro meraviglioso che avrei voluto stringere nella mia vagina o forse anche nel retto, conscia di quanto dolore potesse procurarmi e quanto piacere darmi; lo succhiai a lungo, quasi coordinandomi idealmente con Claudio per ottenere un orgasmo simultaneo che non dispiacesse a nessuno dei tre: ci riuscii e li sentii esplodere, uno nella gola, direttamente, e l’altro nell’utero, con una simile intensità di eiaculazione e di piacere.
La mattina seguente dissi chiaro a Claudio che, se non voleva mettere a rischio il nostro rapporto, ritenesse l’esperimento concluso: aveva avuto la trasgressione, mi aveva condotto dove voleva; ma da lì, basta, se non voleva rischiare che mi affezionassi ad un’altra verga e dimenticassi la sua: bluffavo, evidentemente, perché, come aveva suggerito Nicoletta, dopo che avevo lavato le scorie, dell’episodio mi restava solo la sensazione di aver consumato qualcosa di buono, come a pranzo un cibo o al bar una bevanda; l’amore era altra cosa; per questo, chiedevo a Claudio di non caricare la vicenda.
Nella settimana successiva, quando tornammo a dormire nella grande tenda con i due amici, come era nel mio costume ero già pronta a gestire le cose a modo mio e avrei voluto tentare un qualche approccio per fare una bella esperienza con Nicoletta e il suo ragazzo; ma lei mi bloccò immediatamente: con Carlo ancora intorno, poteva essere pericoloso per gli equilibri di amicizia; rinunciai malvolentieri e mi riservai di riprendere il discorso una volta tornati in città.
Di tutta l’esperienza maturata nel campeggio per nudisti, mi restava in fondo la convinzione della netta separazione tra sesso e amore che avevo sperimentato; ma, contrariamente a Nicoletta che sembrava crederci fino in fondo, io restavo dell’opinione che l’amore fosse un arbitro più importante dei rapporti umani e capivo anche che era amore quello che animava noi quattro: di fronte all’ipotesi di fare l’amore (non di fare sesso o di copulare) con Nicoletta e Filippo, sentivo che avrei potuto sbizzarrirmi nella sessualità senza perdere quel pizzico di amore che tra noi si era cementato nel tempo e che sicuramente avrebbe illuminato l’eventuale incontro.
Aspettavo, perciò che qualcuno dei ‘trasgressori convinti’ mi venisse a proporre di fare l’amore con i nostri amici perché cominciavo ad avere voglia di sentire, almeno per una volta, la passione di Filippo che, anche rispetto a Claudio, era certamente assai più delicato e desiderabile come amante; ma non mi dispiaceva l’idea di sperimentare con Nicoletta un rapporto che portasse la nostra amicizia e l’amore, che sottintendeva chiaramente, a tracimare in un’esperienza saffica che fosse un completamento di quel sentimento.
Per il momento eravamo troppo impegnati nello studio per lasciarci travolgere dalla passione per il sesso sfrenato e ci limitammo a vivere le storie di coppia ciascuno nel suo orticello, attenti piuttosto ad approfondire bene un esame che a preoccuparci di una serata pazza di sesso o di amore; sapevo anche che talvolta Claudio non era poi così fedele come cercava di fare apparire, ma avevo imparato a collocare nell’elenco ‘episodi di sesso’ le sue piccole fughe e non gli davo molto peso; per parte mia, il desiderio di amore mi faceva ritenere soddisfatta di quello che avevo, forse perché non mi ero mai preoccupata di cercare altro: il mio bisogno di sesso era ampiamente soddisfatto dalle lunghe serate di amore che Claudio mi dedicava, anche se aveva passato il pomeriggio forse a copulare con un’altra.
Conseguimmo la laurea, contemporaneamente tutti e quattro, come si poteva facilmente scommettere, perché noi ragazze ci avevamo messo più grinta, più costanza e più impegno ed eravamo arrivate alla fine insieme a loro che un annetto lo avevano lasciato per strada; e perdemmo ancora un anno per fare tirocinio presso uno studio legale, stavolta separati per necessità, e superammo anche l’esame di Stato per avviarci alla professione.
La condizione economica dei miei genitori mi venne in soccorso ed acquistarono un grosso appartamento in centro dove realizzammo una struttura condivisa, tentando l’azzardo (pazzesco, secondo alcuni) di cinque giovani laureati che si proponevano in studio associato per entrare nel vivo di un’autentica lotta a crearsi spazio vitale in un campo a quel tempo ancora con buone prospettive: Claudio fu l’elemento trainante, insieme a Nicoletta (erano loro i due spericolati); io e Filippo ci mettemmo la tenacia e un’ottima preparazione (eravamo stati sempre i più attenti e studiosi); si aggregò Davide, poco più giovane di noi, che ci aggiunse un entusiasmo straordinario.
Le cose dopo pochi mesi cominciarono a funzionare; in capo a due anni, avevamo un’attività avviata che ci garantiva un’esistenza dignitosa: decidere di sposarci fu quasi una naturale conseguenza e, come tutti in fondo si aspettavano, lo facemmo contemporaneamente; il regalo dei miei genitori fu un appartamento in centro accompagnato dall’impegno a sottoscrivere un accordo per la separazione dei beni: non c’era ancora un clima da divorzio facilitato, ma non si fidavano molto; io non mi opposi, perché mi sentivo sicura di me ed anche di Claudio; lui stette zitto, perché le esperienze all’Università gli suggerivano che non avrei fatto tante storie per gli amorazzi che continuava a coltivare.
Sostanzialmente, due coppie borghesi (ciascuna di due avvocati che lavoravano insieme) avviavano il loro percorso di vita borghese, senza slanci e senza fronzoli, lungo un benessere che era in quegli anni la punta più alta del desiderio di giovani che si affacciavano alla vita.
Il massimo della ‘trasgressione’ erano le cene che quasi settimanalmente organizzavamo, per lo più in casa nostra, perché il mio appartamento godeva di uno splendido panorama sulla città da una balconata, che diventava quasi una terrazza, tanto era ampia, sulla quale passammo le serate più belle delle primavere e delle estati di quegli anni; tutti i sabato, ci si trovava in quattro o qualche volta anche con altre coppie di amici e, è più spesso, con Davide che si faceva accompagnare di solito da qualche bella recente conquista; normalmente, si finiva per bere un poco e poi ci si abbandonava a racconti, aneddoti, barzellette e stupidaggini varie, quasi mai uscendo dall’alveo di una correttezza quasi monacale; ma, ogni tanto, Nicoletta e, più ancora Claudio si lanciavano in digressioni più ardite fino all’erotismo verbale o alla pornografia raccontata.
Poi venne la serata speciale, quella che avevo soffocato nel profondo delle memorie ma che, senza rendermene conto, coltivavo da sei o sette anni: eravamo solo noi quattro ed avevamo bevuto un poco di più; Filippo, ragionevolmente, fece osservare che, pur trattandosi di un percorso urbano (abitavano all’altro capo della città) non se la sentiva di mettersi al volante ‘allegro’ come lo aveva reso qualche bicchierino in più; Nicoletta propose di lasciare la loro auto sotto casa e di chiamare un tassì; Claudio fece osservare che la nostra stanza degli ospiti era in grado di dare ospitalità a ben altro che una coppietta che si era già stretta in una brandina da campo; manco a dirlo, in breve persuase tutti.
Mentre sbaraccavo il tavolo sul terrazzo e sistemavo le stoviglie in cucina, notai con stupore che Filippo si era bloccato nel corridoio e guardava verso la nostra camera; incuriosita, mi accostai e guardai dalla stessa parte: mio marito e sua moglie erano stretti un abbraccio tentacolare che non prevedeva solo gli inguini che si torturavano strusciandosi, ma anche le mani che frugavano il seno e il sesso di lei, il sesso di lui ritto come un obelisco di cemento: abbracciai Filippo e gli afferrai tra le labbra la bocca, succhiandogliela come con una ventosa, mentre il mio corpo si appiccicava a lui fino a fondersi: la solita Ersilia si lanciava nella gara con Nicoletta e chi fa meglio; e cominciai a possedere Filippo, con la bocca, con le mani, con gli occhi, con le parole: trovai la forza di confessargli che da anni languivo dal desiderio di farmi dare da lui l’amore dolce che tante volte gli avevo visto dare a sua moglie e che non mi era mai riuscito di avere da mio marito; stringendomi con una dolcezza che mi scioglieva, mi confessò che anche lui da anni desiderava avere da me quell’amore dolce e casto che sua moglie non riusciva più ad esprimere avendo caricato il sesso di eccessiva importanza.
Ci dirigemmo alla camera degli ospiti e lasciai che mi spogliasse con lentezza e delicatezza, assaporando la mia pelle a mano a mano che la scopriva: non volli restare passiva e lo cominciai a spogliare a mia volta, leccando e succhiando ogni brandello del suo corpo che si scopriva; quando presi tra i denti un capezzolo e lo torturai delicatamente, lo sentii gemere con una passione mai avvertita e presi a succhiarli tutti e due, alternativamente, con autentico amore, sentendomi colare tra le cosce a mano a mano che lui gemeva sempre più forte e la sua verga si rivelava una signora mazza che si collocava tra le cosce, contro la vulva e mi stimolava piacere ad ogni minimo brivido.
“Filippo, ho paura …”
“Perché hai paura? …”
“Se andiamo avanti così, io mi innamoro di te e non reggo più Claudio; tu sei troppo più dolce, troppo più delicato, tu sei troppo più … amore, ecco. Ho paura di innamorarmi di te, adesso!”
“Ersilia, anche tu mi stai dando tanto, tanto amore: lo sento, lo vivo, lo vedo, lo assaporo. Ma il nostro amore è pulito e noi siamo due persone oneste. Io ti amo … davvero … con tutto me stesso. Ma sono sposato con Nicoletta e so che, tra voi due, lei è quella che ha bisogno di me, di un calmiere, di un sostegno … come tuo marito ha bisogno di te. Proprio perché siamo più forti, noi ci ameremo, questa notte, come nessuno mai più si amerà al mondo; ma domani mattina dobbiamo, capisci ‘dobbiamo’ essere gli sposi pazienti che siamo sempre stati. Te la senti di perderti per una notte nel nostro amore?”
“D’accordo: bisogna essere saggi ed amarci con equilibrio (bell’ossimoro, amore ed equilibrio insieme!); però, innanzitutto, questa notte sarà tutta per me e non permetterai a tua moglie di rubarmi nemmeno un momento; secondo, se dovesse prospettarsi di nuovo questa situazione, non ti tirerai mai indietro, mi amerai per quello che potrai ancora e ancora. Prometti?”
“Si, amore; prometto!”
Quando mi spinse delicatamente sul letto, Filippo diede fondo a tutto il repertorio di dolcezze, di carezze appassionate, di leccate, morsi, amorosi tocchi di cui era capace e mi fece continuamente rabbrividire di dolcezza quando la sua lingua passava dall’ombelico al clitoride, dalla vulva all’ano; quando mi accarezzava con dolcezza le mammelle e le aureole, mi succhiava delicatamente i capezzoli e poi si fiondava sull’ano e me lo penetrava con forza anche con più dita.
Mi entrò dappertutto: e scoprii che la sua mazza era per lo meno invidiabile dalla metà degli uomini, visto che le sue dimensioni supervano di gran lungo la media statistica della dotazione di un maschio italiano; lo sentii violentarmi la cervice dell’utero con colpi forti accompagnati da frasi d’amore e poi scivolare dolcemente nella vagina accarezzando tessuti già avvezzi alla penetrazione eppure stimolati come fossero vergini; fui io stessa a chiedergli di penetrarmi analmente per sentirlo più intensamente; e strinsi forte lo sfintere intorno alla sua asta per fargli sentire che era mio, che era il mio retto a prenderlo e a succhiare da lui la linfa dell’amore: me ne diede tanto, di sperma, eiaculando più volte in vagina, nel retto, in bocca, sulle tette.
Raggiunse tre grossi orgasmi, nell’arco della notte, e mi fece determinatamente assaggiare la sua crema meravigliosa, per farmi sentire il sapore del suo corpo, del suo amore; io lo bevvi con grande amore e non mi preoccupai di contare gli orgasmi: non ci sarei riuscita, tanto erano frequenti, dolci, sorprendenti, sconvolgenti; mi limitai a godermeli e a lasciarmi andare alla passione più sfrenata; probabilmente, quella notte amai il marito della mia amica più di quanto avessi mai amato mio marito; ma non provavo nessun rimorso.
Forse, nel corso della notte qualcuno degli altri due, andando in bagno, si affacciò nella nostra camera e ci vide, non so se mentre facevamo l’amore o quando già avevamo ceduto al sonno; ma l’unica cosa che provavo, al risveglio, era la sensazione di qualcosa si celestiale che avevo intravisto, poi sfiorato e che mi aveva lasciato un segno profondo, ma non mi poteva e non mi doveva cambiare; accarezzai Filippo che dormiva al mio fianco, e lo baciai teneramente sulla fronte, prima, e sulle labbra, poi; mi sussurrò qualcosa che poteva anche essere ‘Amore’ e per tale lo presi; poi andai in bagno, mi ficcai sotto la doccia; chiusi (immaginai di chiudere) nella scatola di latta (quella che avevo da bambina e che era scomparsa dio sa quando, dio sa dove) il ricordo di quella notte e andai in cucina a preparare il caffè per i ‘belli addormentati’.
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