La prima volta che scoprii il mondo dell’amore carnale fu a quattordici anni, insieme a un ragazzo che ne aveva sedici. Ero piccola, lo so, ma non giudicatemi, gli volevo bene e lui ne voleva a me. Nonostante la curiosità, non ci spingemmo oltre il sesso più classico e basilare. Io ero proprio alla prima esperienza e lui, anche se non alla prima, non aveva l’audacia e la sicurezza di dominare quella parte del rapporto, ma non ce n’era bisogno. Ci volevamo bene e ci piacevamo così, nella nostra insicurezza e inesperienza. Ma oggi non voglio raccontarvi questa storia. Voglio parlarvi di un’altra prima volta, circa due anni dopo. Non fraintendete, in quel lasso di tempo lo rifeci altre volte, ma a cavallo dei quindici e sedici anni, nell’età in cui sia i maschietti che le femminucce sono più curiosi e vulnerabili (non in senso terribile, tranquilli), mi capitò un’altra prima volta, che non riguarda né il didietro, né la boccuccia, i quali erano già stati sperimentati nell’intervallo di tempo di cui sopra. Ma vi racconto dall’inizio.
Non mi ricordo né il mese né il giorno, era caldo, avevo sì e no sedici anni. Stavo, per modo di dire, con un coglioncello della mia età. Come tutti i ragazzetti di quell’età, aveva in mente il calcio, gli amici e sporadicamente si ricordava di avere “una ragazza”. Non era più stupido degli altri suoi compagni, se no no glie l’avrei mai concessa, nonostante avessi anche io gli ormoni a palla. Si chiamava Simone. Quel giorno ci ritrovammo a casa sua di mattina, insieme ad altri due amici. Ci conoscevamo tutti da molto tempo, il vero gruppo consistevi di più persone, ma quella mattina eravamo solo noi. Io, Simone, Paolo e Giacomo. Ovviamente mi ritrovai presto esclusa dal gruppetto, si misero a giocare a qualche console, forse la playstation, non me ne importava nulla, chiacchierarono di calcio e altre cavolate varie. A metà mattinata facemmo uno spuntino, ci mettemmo sul divano e casualmente mi ritrovai tra Paolo e Giacomo, mentre Simone, il mio ragazzo di allora, si mise sulla poltrona di fronte al divano. Avevamo un tavolino tra di noi, su cui appoggiavamo piatti e bicchieri. Continuarono la conversazione sul calcio e argomenti vari da ragazzini, io provavo a intervenire, ma senza successo. Anzi, mi ritrovavo spesso derisa, poiché di calcio e motorini non capivo nulla. Uno degli argomenti più gettonati dai ragazzini, ma devo dire molto in voga anche tra gli adulti, riguarda le dimensioni del membro maschile. Devo dire che se l’attenzione e la precisione con cui vengono misurati e descritti i piselli fosse riportata nella scienza, saremmo andati sulla luna almeno un secolo prima.
«Io da ritto ce l’ho quattordici centimetri!» Diceva uno.
«Io tredici, ma da moscio ce l’ho più lungo del tuo!» Rispondeva l’altro
«Sì, ma a che ti serve da moscio?» «L’importante non è quanto ce l’hai grosso, ma quanto duri!» «Questo lo dice solo chi ce l’ha piccolo AHAH!» Si accavallavano poi tutti e tre insieme.
Insomma, era un vero spasso… se lo vivessi oggi. All’epoca era solo una noia mortale, cosa mi importava di sapere di quanti millimetri superava il pisello di Tizio rispetto a quello di Caio? Perlopiù a intrattenere il discorso era il mio ragazzo e mi causava un po’ di disagio.
«Comunque, Marco – un nostro amico - è quello che ce l’ha più piccolo» Disse Giacomo.
«Lo sanno tutti e poi il più grosso è il mio!» Urlò Simone. Sì, il mio ragazzo si vantò di avere il cazzetto più grosso di tutto.
«MA STAI ZITTO!» Ribatterono in coro gli altri due.
«Scusate, Giacomo, l’hai detto tu che da ritto ce l’hai più piccolo del mio, e tu, Paolo, non arrivi neanche a dodici centimetri…» Disse con amarezza Simone.
«Dodici centimetri? Scherzi, AHAHAH!!» Scoppiò a ridere Paolo, strusciandomi con un’occhiatina per vedere se fossi scandalizzata.
«Te l’ho visto una volta, eravamo insieme a Enrico, che tra l’altro si è vergognato di tirarlo fuori.» Rispose Simone.
Io avevo le mani tra i capelli mentre sprofondavo nel divano.
«Faccelo vedere ora dai, così vediamo se sei il più dotato.» Propose Paolo.
Mi sentii in dovere di intervenire: «Non ci provare, che schifo!!»
Tutti si ricordarono della presenza di una ragazza in mezzo a loro.
«Un’altra volta.» Riportò diplomazia Simone, guardandomi.
«Tanto Michela è la tua ragazza, già te l’ha visto, e noi mica ci scandalizziamo!» Esclamò Giacomo compiaciuto.
«No, non ci provare, mi fa schifo. Se volete vi lascio soli, me ne torno a casa e fate quello che volete.» Mi arrabbiai.
«No, no, non andare via, ascolta, vai un attimo di là, noi sbrogliamo questa cosa, così questi sfigati capiscono chi ce l’ha più lungo.» Propose Simone.
Mi avviai senza proferire parola. Dall’altra parte della casa sentivo parole e risatine varie, che ora evito di riportare.
Controllavo l’orologio e dopo circa dieci minuti ancora non mi chiesero di tornare. Ero abbastanza alterata, decisi di tornare in salone, salutarli e andare via.
Spalancai la porta, mi bastarono due passi per vedere la nuova disposizione della stanza: la poltrona ora era adiacente al divano e tutti e tre, nelle stesse postazioni di prima, stavano guardando un video porno in tv. Ah, e dalla zip dei loro pantaloni usciva il pistolino ben eretto.
«MA CHE SCHIFO!!» Urlai per la terza volta, mentre Simone, Paolo e Giacomo si massaggiavano l’uccellino appena sedicenne e mentre in tv un paio di tette strusciavano un cazzo grosso il triplo di quei tre. Forse fu quello che mi fece allentare un po’ la tensione.
«Quello più grosso del vostro.» Dissi subito dopo.
Scoppiarono tutti a ridere, urlarono anche qualcosa del tipo “Ah, questo ti piace?” oppure “Sarà più grosso, ma non più lungo!”.
Feci qualche altro passo in avanti, vidi per bene tutti e tre i pisellini e, stranamente, non si vergognarono, anzi, sembravano compiaciuti. Il mio posto era ancora libero, ma non mi sedetti, provavo allo stesso tempo curiosità e ribrezzo.
A primo impatto non vidi grosse differenze di dimensioni, quindi chiesi: «Allora, chi ha vinto?»
Rispose Simone: «Dobbiamo vedere quando è ritto bene.»
Nel frattempo dalla tv risuonavano i vagiti della signorina che prima strusciava il seno al pene di marmo. Ora il proprietario del pene di marmo stava inserendo la lingua nel didietro della signorina in questione. Ma non mi ci soffermai. Piuttosto, riportai lo sguardo ai membri che fuoriuscivano dai pantaloni corti dei ragazzini. Non c’erano proprio differenze, ma osservando con occhio ben più attento, Giacomo, che aveva ammesso di averlo più piccoletto, effettivamente aveva ragione, ma non di molto, era ben più fino, ma solo leggermente più corto. D’altro canto, il pene di Paolo, che a detta di Simone doveva essere nettamente inferiore, era sorprendentemente più largo e ciò confondeva la lunghezza, proprio non capivo se fosse più lungo o meno.
Tra tutto quello scrutare, osservare, calcolare, non mi accorsi che quei tre avevano riportato lo sguardo verso di me. Quando rialzai le pupille e vidi sei occhi puntati contro, divenni rossa e l’imbarazzo prese il sopravvento.
Per fortuna riuscii a balbettare: «Quanto ci vorrà a capire quale è il più grande?»
«Misuracelo te.» Propose Simone.
Rimasi un attimo interdetta, poi parlai: «Vado a prendere il righello.» Mi incamminai.
Qualcuno mi urlò dall’altra stanza: «Prendi la riga, è meglio!»
Risposi ridacchiando: «Avete detto di averlo meno di quindici centimetri, basta il righello!»
Sentii qualche risata.
Tornai con il righellino e chiesi: «Chi vuole iniziare?»
«Beh, comincia da Simone, è il tuo ragazzo.» Disse Paolo.
«Cosa vince… il vincitore?» Chiesi con malizia e con lo sguardo verso Simone. Sapevo che avrebbe vinto lui, aveva detto di averlo più lungo di tutti.
E Simone, guardandomi negli occhi con la stessa malizia: «Un piccolo spettacolo per gli altri due?»
Senza dire niente mi portai davanti alla poltrona del mio ragazzo, mi accovacciai, strinsi l’asta del pisello e ci poggiai accanto il righello.
«Tredici virgola sei.» Dissi sorpresa. Aveva detto quattordici poco fa.
«Ancora non è ritto al massimo.» Inventò.
Lasciai la presa e tornai a sedere sul posto precedente, in mezzo a Giacomo e Paolo. Cominciai con il primo. Con la mano destra afferrai il suo pene più magro, poggiai il righello e dissi: «Dodici e tre.»
Simone si mise a ridere. Anche io ridacchiai sotto i baffi.
Mi voltai verso Paolo e inarcai leggermente le sopracciglia quando, stringendo il suo cazzo, notai che la mano non si chiudeva bene come con Simone o Giacomo. Affiancai il righello e annunciai stupita: «Quattordici e tre!»
Rimanemmo tutti un attimo in imbarazzo.
Paolo fu quello che proferì per primo parola: «La cosa dello spettacolo era uno scherzo, tranquilla.»
Non mi trovai d’accordo. Simone diede la regola, facendo il gradasso. Lui aveva invitato i suoi amici a guardare un porno in casa sua, mentre aveva la sua ragazza dall’altra parte della casa. Che poi ragazza è un “parolone”, stavamo insieme neanche da un mese e di sicuro non ci amavamo.
«No, no, va bene così, tranquillo. C’erano delle regole e vanno rispettate.» Dissi rivolta verso Simone con un viso compiaciuto. Stranamente non si oppose. Anzi, probabilmente era d’accordo. Cominciai a fare su e giù con la mano sinistra, dato che Paolo stava alla mia sinistra. Porto la testa all’indietro e sprofondò sul divano, accompagnando con qualche gemito.
Girai la testa e vidi che gli altri due ripetevano lo stesso movimento con la propria mano.
Mi voltai nuovamente verso Paolo, mi chinai e misi in bocca la punta del suo cazzo. Mi ricordo che non profumava di fiorellini, ma era il primo pisello così… salsicciotto e mi eccitò abbastanza. Mi riempiva proprio la bocca.
«Aaaah sììììh» Soffocò Paolo.
Il filmino che stavano guardando in tv era finito già da un po’, o qualcuno lo mise in pausa, in ogni caso, in quel salone il silenzio era rotto da me, che spompinavo Paolo, con suoni del tipo “Gluck, sluc, ciac...”, ma sentivo anche le mani degli altri due segaioli che strusciavano contro i pantaloni.
Il pisello grassottello di Paolo mi usciva spesso dalla bocca, strusciandomi sulle guance e sbattendo contro il naso, avevo la faccia impregnata di saliva e quella che i maschietti chiamavano, con grazia, “ricottina”, che altro non è che liquido preseminale.
Paolo cominciò ad ansimare, portò le sue mani tra i miei capelli, capii che stava per venire, ma non mi fermai. Ora non lo farei mai, tranne qualche eccezione, ma all’epoca avevo proprio un fuoco dentro.
«AAAHH…» Sentii la voce di Paolo attraverso gli schizzi di sperma che invasero il mio palato. Non mi fermai nel muovere la lingua mentre mi sborrava in bocca e con la mano continuai ad accarezzargli i testicoli. Ci mise parecchio a spruzzarmi tutto quanto. Lo tenevo in bocca, glie lo risputavo sopra l’uccello e glie lo risucchiavo. Avrei continuato, se quel salsicciotto non fosse tornato ad essere un pistolino qualsiasi. Quando mi accorsi che gli si stava smosciando dentro la mia bocca, inghiottii ciò che era rimasto dello sperma, mi voltai e vidi che anche Simone e Paolo avevano smesso di strofinarsi l’uccello. A quanto pare anche loro si erano divertiti.



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