I personaggi che giravano sui ‘Lidi’, puntualmente tutte le estati, potevano addirittura essere classificati sotto l’etichetta ‘macchiette’, tanto erano ripetitivi e scontati; ma erano anche tanti e tali che, alla fine, diventavano ‘curiosità’ quelli che non si lasciavano andare a stravaganze o ad eccessi, soprattutto in ordine al look e ai comportamenti.
Naturalmente, io ero tra le ‘curiosità’ con l’etichetta di secchiona e noiosa perché troppo seria e sulle mie; Carlo, invece, appariva ‘curioso’ per un motivo opposto, perché aveva comportamenti ‘in linea’ con la tendenza generale al mettersi in luce, ma lo faceva con scelte e atteggiamenti che ad alcuni sapevano di ‘vecchio’.
La sua corte era asfissiante, ma mai clamorosa né volgare: riusciva a farsi trovare dovunque mi recassi; non so come, sapeva sempre, puntualmente, quale fosse il mio itinerario anche se lo improvvisavo al momento: in sostanza, riuscì ad imporsi alla mia attenzione assai più che i ‘tipi da spiaggia’ che popolavano la passeggiata.
Forse fu anche per questo suo atteggiamento vagamente vintage che ci trovammo ufficialmente ‘fidanzati’ con tutte le necessarie autorizzazioni e il visto delle famiglie: i miei arrivarono anche a ‘glissare’ sul fatto che non avesse una sua attività remunerata; dal momento che era quasi ‘scritto nel destino’ che avrei ereditato la fortuna messa in piedi da mio padre, Carlo poteva fare impunemente il ‘mantenuto’ con qualche incarico fittizio di addetto a non precisate pubbliche relazioni.
Il matrimonio in pompa magna suggellò meravigliosamente la nostra grande avventura; tassativamente e giuridicamente venne definita la divisione dei beni, sicché a Carlo, in caso di rottura del matrimonio, non restavano che gli occhi per piangere; l’appartamento in centro fu il regalo che i miei acquistarono per me e per un paio di anni sembrò che le porte di un paradiso terreno si fossero aperte per me che mi trovai borghesemente sistemata in un matrimonio d’amore, con l’uomo più bello che avessi conosciuto; alla testa di un piccolo impero economico, quando mio padre decise di farsi da parte e lasciare a me la direzione dell’attività; molto soddisfatta della vita a due, per le continue, quasi assillanti, premure di cui Carlo mi faceva oggetto ogni momento della giornata e soprattutto per l’intensa attività sessuale a cui volentieri ci sottoponevamo, nonostante gli impegni non lievi del lavoro.
Poi il sole sembrò decisamente tramontare sul mio mondo di favola bella; lentamente, quasi dolcemente, sentii mio marito allontanarsi, inesorabilmente, sempre più da me: le sue attenzioni diventarono progressivamente più stanche, fino a darmi quasi noia per l’evidente insensibilità con cui venivano ripetute come rituale; il sesso si ridusse apertamente ad una pratica familiare da sbrigare rapidamente; l’amore scomparve tra i fumi della cucina e la noia della televisione.
Le avvisaglie di un cambiamento radicale in atto furono numerose e riuscii anche a coglierle tutte, preoccupandomi non poco di arginarne per lo meno le conseguenze più gravi; ma, come forse avrei dovuto prevedere sin da quando lo avevo conosciuto, Carlo era per natura un farfallone assolutamente indisponibile ad accettare una condizione ‘costrittiva’ come quella del marito, per di più subalterno alla moglie fino a risultare ‘mantenuto’: era ovvio, quindi, che approfittasse della condizione lavorativa in cui io stessa l’avevo voluto per esprimere al massimo grado il suo gusto esibizionistico di conquistare sempre nuove donne.
Il fatto stesso di dover rappresentare l’azienda in ogni dove e di dover contattare quindi tutte le realtà omogenee con cui ci relazionavamo lo metteva in condizione ogni giorno di proporsi al massimo delle splendore, con tutta la forza del suo esibizionismo, del carisma che possedeva innato e della capacità di fascinazione che io per prima gli avevo riconosciuto e a cui, in qualche modo, mi ero persino arresa; inevitabile, quindi, che cominciasse per lui un lungo periodo di cene, di incontri più o meno ufficiali, in cui si rapportava sempre e preferibilmente con bellissime donne, spesso molto più giovani di me e decisamente curate puntigliosamente per avere un corpo da invidiare, mentre io troppo spesso mi coprivo banalmente con gli abiti da lavoro e mi occupavo solo sporadicamente del mio corpo e della mia bellezza che pure non era poca cosa.
Cominciai ad occuparmi più attivamente di me stessa, scegliendo una palestra dove alcune ore a settimana tenevo in esercizio il corpo e cercavo di arginare qualunque pericolosa evoluzione delle mie forme: ricevevo comunque sempre complimenti persino esagerati da istruttori e utenti come me della palestra e davvero non riuscivo a capacitarmi dell’ottusità di mio marito; imparai anche a scegliere con più attenzione il mio abbigliamento, soprattutto l’intimo, e a propormi con abiti eleganti anche in situazioni formali molto impegnative come potevano essere le trattative sindacali: scoprii così che il fascino mio personale, forse anche per quel pizzico di femminilità che non tentavo di nascondere, produceva più risultati del rigore monacale delle tute o degli abiti quasi informi a cui mi ero abituata.
Il culmine dello scontro lo avemmo quella volta che, passando in rassegna le attrezzature di una fabbrica delle nostre consociate, mi prese il ghiribizzo, dovendo andare in bagno per mie esigenze, di usare i servizi destinati agli impiegati; la disposizione era a cabine individuali, separate non da murature ma da una struttura in acciaio e formica, che si fermavano a una trentina di centimetri da terra e ad un paio di metri e mezzo in alto; mentre mi asciugavo la vulva con della carta igienica, dopo avere orinato, avvertii, dalla cabina a fianco, dei mugolii, dei rumori e delle voci tra cui distinsi chiara ed immediata quella di mio marito: due persone stavano evidentemente copulando nella cabina del bagno a fianco: impudentemente (e forse anche con una certa imprudenza) montai sulla tazza del water e mi affacciai sulla cabina vicina.
Vidi immediatamente Carlo, coi pantaloni abbassati, che stringeva da dietro una ragazza molto giovane, tenendola per i seni: il sesso, notevolmente eretto e decisamente al massimo dell’eccitazione che io gli conoscevo, scivolava nella scanalatura tra le natiche della ragazza, alla ricerca di una penetrazione; lei, dal suo canto, stava, con i pantaloni e lo slip abbassati fin sotto le ginocchia, piegata sulla tazza, nella classica pecorina, con una mano appoggiata alla parete per sostenersi e l’altra immersa tra le cosce: per un attimo, la vidi sbucare dietro che afferrava il sesso dell’uomo e lo manipolava per guidarlo forse in vagina; ‘sentii’ la penetrazione, più che vederla, dal gemito di lei che lo prendeva dentro e dal grugnito di lui evidentemente soddisfatto della penetrazione; la copula non andò molto per le lunghe: evidentemente la lei di turno doveva riprendere il posto di lavoro; ebbi modo, comunque, di prendere dalla borsa il telefonino e di scattare alcune foto del loro amplesso, badando bene a mettere in luce, in primo piano, i volti dei due; subito dopo, scesi dal mio punto di osservazione e uscii; mi fermai coi dirigenti davanti all’uscio dei bagni e attesi che Carlo uscisse: mi limitai a guardarlo feroce.
A casa, decisi di affrontare direttamente la cosa e invitai Carlo a parlare con chiarezza di quello che stava capitando: ovviamente, glissò su tutto e cercò di negare, accusandomi di creare un caso su fisime mie personali che non avevano nessuna corrispondenza con la realtà di un rapporto che lui dichiarava normale e soddisfacente; lo avvertii che se tirava la corda fino a spezzarla avrebbe pagato cari i suoi errori e, se mi avesse fatto perdere la pazienza, mi sarei comportata come nel lavoro, affrontandolo come un nemico e cercando di fargli tutto il male possibile; se ne andò sorridendo ironico e capii che non era più possibile né farlo tornare indietro né perdonare oltre: gli mandai con un messaggio le foto che avevo scattato e rimasi in attesa della sua reazione.
Per tutto il pomeriggio telefonò in ufficio: dalla mia segretaria gli feci rispondere che non avevo tempo per parlare con lui, che aspettasse di essere a casa, faccia a faccia; mi mandò un messaggio sul cellulare ‘Siamo già alla rottura?’ a cui mi limitai a rispondere ‘Parliamone’ e rinviai ogni discussione alla sera; naturalmente, mi chiese come avessi avuto le foto e gli spiegai che solo per caso avevo assistito alla sua performance, che ne ero stata disgustata e che ritenevo il nostro rapporto assai in crisi, sull’orlo di una rottura irreparabile; fu stranamente ‘morbido’ e condiscendente, l’esatto opposto dell’arroganza del mattino; e mi corteggiò come non faceva da moltissimo tempo, al punto che mi feci convincere a fare di nuovo l’amore; anche in quello, si rivelò molto disponibile (o forse solo abile) e riuscì a farmi fare sesso con l’amore che ci mettevamo i primi tempi, mi diede tanta gioia che riuscii a mettere sotto il tappeto la rabbia per l’incidente.
Ma Carlo era come il lupo che può perdere il pelo ma non perde il vizio: il servizio di vigilanza interna, che avevo allertato sulla questione specifica, nel giro di poche settimane fu in grado di documentare che mio marito aveva in piedi diverse relazioni, con impiegate ed operaie di varie strutture che facevano capo alla nostra azienda e che dappertutto era conosciuto come un instancabile amante; nessuna novità quindi, se non che la mia pazienza era ormai al di là del limite e non accettavo più di sopportare che rimanesse in casa mia, a mio carico, mentre faceva il suo porco comodo senza controlli.
Ancora una volta decisi di affrontare la questione direttamente a casa, seduti a un tavolo, faccia a faccia; quando la sera tornai dal lavoro e lo invitai a sedersi con me, cercò di accampare mille scuse per sottrarsi; gli chiesi di consegnarmi le chiavi di casa e dell’auto, di fare la valigia e di andarsene perché era decisamente indesiderato nella mia casa su cui non poteva accampare nessun diritto; naturalmente, oppose che era mio marito e che aveva diritto alla convivenza; gli feci leggere gli articoli che erano stati recitati all’altare e gli sottolineai il dovere alla fedeltà che lui aveva largamente calpestato come testimoniavano i documenti in mio possesso.
“Non posso sottostare ad un dovere che il mio senso del diritto non prevede; io sono un uomo libero e copulo con chi voglio; non sarà una norma religiosa a impedirmelo.”
“Sta di fatto che viviamo in uno stato di diritto e che il diritto italiano prevede il rispetto e la correttezza; se rifiuti queste leggi, il matrimonio non esiste né puoi scegliere di usare le leggi per il tuo interesse e rifiutarlo per i tuoi doveri: adesso, se hai deciso di non cambiare vita, e mi pare evidente che non vuoi, te ne vai e ti organizzi la tua vita secondo le tue norme con chi queste tue norme le accetta e le fa proprie; io ti licenzio anche dal lavoro, a questo punto.”
“Eh, no! Dal lavoro tu non mi licenzi perché ti pianto una grana sindacale che te la ricordi!”
“Bene: sappi che il sindacato sta già esaminando il dossier che ti riguarda con tutte le occasioni in cui hai imposto sesso a delle dipendenti, hai messo in pericolo trattative per aver corteggiato le donne sbagliate, hai rovinato accordi per le tue esuberanze. Domani stesso posso avere la sentenza di licenziamento per giusto motivo, avendo tu lavorato contro gli interessi dell’azienda.”
Se ne andò sbattendo la porta e lasciando sul tavolo le chiavi di casa e dell’auto; ma sapevo che non era finita; passò solo una mezz’ora e dei messaggi sul telefonino mi avvertirono che c’erano stati dei tentativi di entrare nei miei conti con una carta di credito annullata: era esattamente quella che avevo assegnato a Carlo e che proprio quel pomeriggio avevo fatto annullare in vista dell’esito dell’incontro; sapevo per certo che non era in grado di andare neppure in un albergo, come aveva certamente cercato di fare, perché le sue economie erano ridotte a zero e, senza i miei conti, era alla miseria più totale; quasi subito dopo, suonò il campanello di casa: era lui e chiedeva di farlo entrare.
“Cosa sei tornato a dire?”
“Non hanno accettato la mia carta di credito. L’hai bloccata?”
“Io ho bloccato delle carte di credito che facevano aggio sul mio conto e di cui volevo disfarmi; non mi risulta che tu abbia una carta di credito su un tuo conto, visto che un conto non ce l’hai.”
“Lo sai che economicamente sono dipeso sempre da te … “
“Quindi, per riconoscenza, mi hai riempito di corna … “
“Prova a guardare le cose con un po’ di scioltezza. Lo sai da sempre che mi piacciono le donne, che mi piace fare sesso e che non so fare a meno di corteggiarle. Perché non ti trovi anche tu degli amanti e viviamo ciascuno in libertà la sua vita?”
“Stai certo che, dopo che te ne sarai andato per sempre, io farò la mia vita senza dover mantenere uno sporco parassita ignobile; e stai altrettanto sereno che mi troverò molti amanti per fare sesso come ho voglia io, senza dovere attendere le grazie improbabili di un imbecille che neanche sa valutare i pro e i contro delle sue azioni inconsulte e stupide. Adesso fammi il favore di scomparire dalla mia vista e lasciami in pace!”
“Ma non hai nessun rispetto per la nostra cultura, per le tradizioni? Non sai proprio stare al posto di una moglie affettuosa, premurosa, attenta e disponibile al marito?”
“Io so stare al posto di una donna libera, che accetta anche il matrimonio se vengono rispettate le norme che lo regolano, se è un modo di vivere in due, in armonia, in concordia, in serenità, in fedeltà soprattutto, accettandosi reciprocamente con amore e con unità di intenti.”
“E io sono d’accordo su tutto; ma la norma sulla fedeltà non riesco a rispettarla fino in fondo, ho bisogno dei miei spazi, di una diversa dimensione di vita, di amori sempre giovani ed entusiasmanti; non potresti accettare che applicassimo per una parte sostanziale le norme delle tue leggi sul matrimonio e per una parte soltanto le mie norme per un amore libero da condizioni?”
“Quando tu accetterai un matrimonio che imponga categoricamente la fedeltà ad ogni costo e rinunci all’idea che io ti debba mantenere, o che debba sopportare i debiti e lo spreco di soldi di un coniuge imbecille e sprovveduto; quando ti renderai conto che a prevalere è la legge dell’economia per cui il più forte decide, allora ti lascerò il tuo amore libero e mi terrò la mia economia dominante: stai delirando e lo sai; non hai neanche la struttura economica e sociale per permetterti la libertà d’azione, da cui potrebbe derivare la libertà d’amore; sei un povero pezzente che ha fatto lo sciupone con il mio lavoro; ora ti ritiri in casa o te ne vai sotto i ponti. Non esiste terza via; vai a dormire nello sgabuzzino e ci resti; io deciderò se portarmi nel letto un amante e sbattertelo in faccia.”
Non ha alternative: senza lavoro, senza reddito, senza garanzie, non può permettersi di fare lo spaccone come è abituato: non voglio licenziarlo, come avevo minacciato, e non sono neppure certa che i sindacati mi consentirebbero di farlo solo perché mi ha messo le corna; decido allora di trasferirlo ad altra funzione e, la mattina seguente, ne ordino il passaggio ad un ruolo di operaio di linea in una fabbrica consociata: la scelta non solleva obiezioni; gli permetto di sistemarsi nella camera degli ospiti ed occupo l’appartamento come lui non esistesse; lo costringo a vivere da separato in casa senza nessuno dei privilegi a cui si era abituato; non mi cerco un amante, neanche se mi rendo conto che avrei veramente voglia e forse bisogno di fare l’amore: scendere al suo stesso livello mi farebbe sentire peggio e preferisco l’autoerotismo stimolato anche dai grandi rimpianti delle belle copule che facevo con lui.
Ma, come si dice popolarmente, ‘la madre dell’imbecille è sempre incinta’ e forse Carlo potrebbe essere la testimonianza fisica della veridicità del luogo comune: nonostante la mazzata che si era già preso, nel giro di poche settimane aveva ripreso il suo modo di vita, anche se aveva dovuto abbassare di moltissimo le sue pretese e scegliersi obiettivi molto più abbordabili, tra le operaie della stessa linea o al massimo di alcune unità vicine; sfruttando anche alcune relazioni conservate da prima del ‘declassamento’, in breve si trovò di nuovo a imporre la sua fama di grande amatore.
Stavolta decisi di agire personalmente per cogliere sul fatto il mio infedele marito e feci mettere sotto controllo i suoi movimenti e quelli di alcune lavoratrici che sapevo legate a lui da una relazione adulterina; non ci volle molto, in effetti, prima che fossi avvertita che, in un magazzino di deposito, si era appartato con una impiegata di cui da un po’ era l’amante; con un sistema di visori interni che avevamo fatto piazzare in gran segreto (ufficialmente per combattere fughe di notizie in un meccanismo di spionaggio industriale che ci tormentava da anni), riuscii a trovarmi davanti ad un monitor mentre specialisti di quel genere di riprese ci fornivano lo spettacolo porno meno prevedibile del mondo.
Quando accesi il mio monitor, i due si erano già chiusi nel magazzino e Carlo stava baciando la ragazza dai capelli color rosso tiziano (decisamente tinti, come emergeva da altra peluria) e la stringeva appassionatamente per la vita; poi scese a leccarle le tette che aveva belle grosse e presumibilmente saporite; succhiò a lungo i capezzoli, provocandole smorfie di piacere e gemiti che addirittura venivano colti dai microfoni dell’impianto di ripresa; si vide nettamente una mano di lui che si infilava sotto la minigonna e presumibilmente andava ad artigliarle la vulva, provocandole un orgasmo assai violento che registrammo sia dalla smorfia sul volto che dall’urlo ferino che lei mandò, soffocato a malapena da lui che la baciò intensamente forse proprio per evitare che l’urlo si sentisse negli uffici intorno.
Mi mordevo le unghie, guardando quanta passione il maledetto metteva in quell’amplesso; e mi rodevo molto dentro, al pensiero che ormai quelle emozioni a me non erano più consentite; ma proprio in quel momento decisi con me stessa che, ormai, non era più il caso di delicatezze e dovevo passare a cercarmi anch’io un uomo che mi amasse, che non solo mi possedesse con quella stessa intensità, ma soprattutto mi fosse vicino e in sintonia come non mi era mai capitato; sapevo anche che molti tra gli amici provavano per me sentimenti assai profondi e che erano stati frenati o tenuti lontani dalla presenza, nella mia vita, di Carlo e del matrimonio che avevo contratto con lui; ma era giunta l’ora di essere me stessa, libera da impacci inutili e di mandare al diavolo il mio tirannico marito.
Carlo intanto portava a compimento la sua copula picchiando con violento fervore contro le natiche della ragazza che da quel momento si limitò ad urlare come una bestia sacrificata sull’altare dell’amore: quando esplosero nell’orgasmo più violento che avessi mai potuto immaginare, mi trovai a respirare a fatica e a sentire, con mia enorme meraviglia, la vulva gemere di libidine e colare di piacere non previsto; incazzata da non dire soprattutto contro me stessa, mi allontanai dalla sala dei monitor e andai nel mio ufficio per decidere il comportamento più opportuno; convocai gli avvocati del mio ufficio legale e chiesi loro di imbastire immediatamente una richiesta di divorzio rapidissimo; al responsabile del personale, chiesi di individuare la ragazza dai capelli tinti per decidere il comportamento da tenere.
Dopo meno di un’ora, gli avvocati mi fecero avere i moduli per la domanda di divorzio già pronti: se li avesse firmati anche Carlo, non ci sarebbe stato bisogno di lungaggini burocratiche; se si fosse rifiutato di accettare, ci sarebbero stati piccoli problemi, ma in qualche tempo (al massimo, qualche mese) la pratica sarebbe stata comunque risolta; le notizie meno confortanti vennero dal capo del personale, quando mi riferì che avevano individuato l’impiegata che avevo visto copulare con mio marito: si trattava della giovane amante di un noto camorrista che imperversava nel territorio e col quale, per vie strane e imperscrutabili, mi ero trovata ad avere a che fare perché risultava proprietario occulto di una piccola fabbrica del nostro pool che avevamo accorpato ritenendola fuori sistema e utile per la specificità del prodotto ma che si era rivelata una vera fonte di rogne per la proprietà segreta che, per l’appunto, faceva capo a quel camorrista e alla sua organizzazione.
Rimasi basita e terrorizzata: già mi portavo dietro un peso enorme, con quella presenza inquinante nel nostro sistema di produzione; ora quell’imbecille di Carlo andava a toccare un nervo assai delicato, le corna in sostanza, per quell’individuo che non era certo noto per il rispetto delle regole; mi sentii in dovere di convocare mio marito, ma in veste di ‘padrona’ con un sottoposto che aveva apertamente e pericolosamente ‘sgarrato’; fu accompagnato nel mio ufficio da due buttafuori e fu letteralmente sbattuto con malagrazia sulla poltrona davanti alla mia scrivania, mentre io per frenare la rabbia che mi ribolliva dentro fingevo di sfogliare pratiche, rispondevo a telefonate inutili e cincischiavo a bella posta per recuperare calma e aplomb; Carlo forse neppure si rendeva conto di quanto fossero precipitate le cose: presumibilmente, non aveva neppure coscienza di quanto fosse pericolosa la relazione che aveva stabilito.
“Ho avuto notizia che hai pestato i calli ad Antonio Caccioppoli … “
“Chi? … Il guappo?”
“Già!!!! … “
“Non so neppure chi sia e come sia fatto … “
“Però sai benissimo come sia fatta la sua donna, quella con cui stamane copulavi nel magazzino abbandonato … “
“La sua donna!?!?!?! Non è possibile! … Lo avrei saputo ::: “
“Tu non sapevi chi fosse lei; lui sa perfettamente chi sei tu e intende applicare la SUA legge, non la mia, quella dello Stato, né la tua, quella personale che vorresti imporre agli altri, ma la SUA quella che prevede, per esempio, che un’offesa come questa si paga col sangue: è risaputo che tanta gente è morta per molto meno …!”
Vedevo che tremava come una foglia, quasi non riusciva a controllare mani e piedi che si muovevano da soli.
“Puoi aiutarmi in qualche modo?”
“Posso fornirti i mezzi per sparire nel nulla, per andare in Sudamerica, per esempio, lavorare in una delle nostre filiali laggiù e aspettare che le acque si calmino per sperare di tornare tra qualche tempo … “
“Cosa chiedi in cambio?”
“Solo una firmetta su questi moduli. Accetti un divorzio consensuale, senza avere nulla a pretendere per questi pochi anni di matrimonio, ti faccio accompagnare all’aeroporto, ti imbarchi per il Costarica e per fortuna di tutti e due non ci incontreremo mai più. Se non firmi, torni alla catena di montaggio e aspetti che la camorra ti trovi … “
“Non ho proprio vie d’uscita? … “
“Se avessi tenuto la bestia nelle mutande, ora saresti ricco e rispettato. Lo hai voluto tu. Che fai?”
“Fammi vedere dove devo firmare … Posso dirti una cosa? … Ho sbagliato, è vero; ma ad una cosa ti prego di credere nonostante le apparenze contrarie: io ti amavo e ti amo ancora: non so tenere la bestia nelle mutande, è vero; ma il cuore l’ho dato solo a te … e mi dispiace non essere riuscito a dimostrarlo.”
La rivelazione mi lasciò sconvolta per un po’ di tempo; poi seppi che in Costarica il mio ex marito si era fatto ammazzare, in un vicolo, da un marito geloso.
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