Era atteso come un evento messianico, l’arrivo del primo nipote, come succede sempre in certi ambienti ed in una certa cultura: sia io che mio figlio avevamo ‘bruciato le tappe’ della nostra esistenza ed eravamo diventati padri a poco più di vent’anni; sicché, non ero ancora arrivato a cinquant’anni e mi trovavo a fibrillare per la nascita del ‘bastone della vecchiaia’, il primo nipote che avrebbe garantito l’immortalità della stirpe.
Per la verità, le cose non andarono secondo i desideri, perché non nacque il maschietto che tutti si aspettavano, ma una bellissima bambina, alla quale fu comunque dato il mio nome, Giovanni, e venne alla luce quindi Giovanna, per tutti Gianna o Giannina.
L’emozione fu enorme, quando mi misero tra le braccia una bambola di carne, con le gote paffute e rosse, una fragola perfettamente disegnata come bocca e due fanali accesi per occhi; me ne innamorai a prima vista e per tutta la sua infanzia non smisi di adorarla come la prima divinità del mio personale Walhalla: accompagnai i suoi giochi, le sue incertezze, i dubbi a scuola e le fui vicino come nonno, come secondo padre, come compagno di giochi e come complice di monellerie, almeno fino a quando i segnali naturali (il menarca) non la piombarono in quell’area proibita a tutti che è l’adolescenza.
Non si interruppe la nostra storia d’amore, neppure quando scoprii che la ‘piccola’ spiava i genitori e i nonni mentre facevano sesso e, in particolare, che aveva una speciale predilezione per la mia nudità: me ne accorsi per caso, una mattina che stavo in bagno asciugandomi e, dallo specchio grande, scoprii che Giannina mi spiava con curiosità ma anche con un certo morboso interesse; da allora non passò giorno senza che la trovassi dalle mie parti mentre mi cambiavo: preso anch’io dal suo gioco perverso, comincia ad esibirmi a bella posta solo per lei e, in più occasioni, mi masturbai per avere la massima erezione ed esibirla a lei.
Poi crebbe ancora; ebbi modo, in alcune occasioni, di notare nella sua borsetta alcuni preservativi e capii che ormai la bambina era morta e sepolta a favore di una donna dai tratti generosi e bellissimi, che evidentemente faceva sesso coi coetanei quando la sera (del sabato, specialmente) usciva con le amiche e non sapevo dove andasse.
Anche per lei, quasi per una maledizione familiare, la vita rotolò a precipizio e, a meno di vent’anni, si trovò sposata, con mio grande dolore, anche perché in quel modo veniva sottratta alle abitudini familiari e non era più molto semplice averla intorno, giocare a fare i ragazzini, sentirla confidarsi o piangere sulla spalla anche per piccoli motivi.
In compenso, mi scoprii a guardarla con un interesse assai meno ‘familiare’ e più concupiscente: benché fosse la mia nipotina, non riuscivo più a sottrarmi al fascino delle sue gambe lunghissime, solide ed eleganti, su cui si impiantava un sedere scultoreo, come se le natiche fossero piantate là in alto ad esprimere la loro superba bellezza; per la frequentazione intima, in casa ma anche al mare dove sfoggiava bikini microscopici, conoscevo bene la sua quinta di seno che, quasi per eredità familiare, le concedeva un autentico ‘balcone’ di grazie esplicite e nascoste che eccitavano da morire; la ‘fragolina’ era diventata una bocca carnosa e perfettamente disegnata, accuratamente sottolineata dal rossetto vivace, sulla quale si facevano i più arditi sogni possibili di fellatio; il viso dolce, dai tratti regolari, era coronato dai capelli biondi, portati prevalentemente lunghi.
Insomma, la mia Giannina era un capolavoro vivente, da adorare ed ammirare ogni momento; ed invece era capitata sposa ad un buzzurro che, subito dopo il matrimonio, aveva rivelato la sua vera natura di insensibile maschio che preferiva cento volte la partita, dal vivo o in televisione, ad una sana copula con la meravigliosa moglie, che si perdeva le serate ad ubriacarsi con i compagni di bagordi e che trattava la moglie come una serva e la casa come un albergo: ci stavo molto male, soprattutto quando vedevo la bellezza della ‘mia Divina’ appannarsi e dissolversi in una quotidianità becera e spesso volgare.
Le chiesi di parlarmi, in uno dei rari momenti in cui mi trovai faccia a faccia con lei: ero andato a casa sua per una banale questione che neppure ricordavo più (forse era stata una scusa per vederla); le chiesi di raccontarmi che cosa non andava col marito; si ritrasse, probabilmente per timore di aggravare una situazione già difficile di suo, e cercò di dire che ’tutto andava bene’, ben sapendo ambedue che non era così; vedendola più triste del solito, la abbracciai teneramente: mi poggiò la testa sulla spalla e si abbandonò ad un languore che era assai vicino al pianto.
Intanto, però, il ventre si era appoggiato al mio e mi trasmetteva un calore assai strano e incompatibile con la situazione; dovetti farmi una grande forza, per impedire un’erezione spaventosa e che, in quel frangente, sarebbe risultata quanto meno irriverente; ma fu lei a spingersi ancora oltre e si strinse a me quasi con la voglia di sentire il mio sesso: ricordai quante volte, da ragazza, era venuta a spiarmi e mi aveva indotto (svergognato anche io!) a masturbarmi sotto i suoi occhi per corrispondere ad una tacita richiesta; e il ricordo accelerò il processo di disintegrazione dei limiti che già l’abbraccio stava determinando.
“Giannina mia, amore di nonno, non stringere così; lo vedi cosa succede se spingi troppo?”
“Non mi vuoi più bene allora?”
“Forse ti voglio bene troppo, come nonno ma anche come maschio!”
“E allora, perché non vorresti farmelo sentire?”
“Perché a queste cose deve provvedere tuo marito, non io!”
“E se mio marito non se ne occupa, perché non dovrei chiederlo a te che sei il mio amore da sempre?”
“Gianna, siamo ragionevoli: stai dicendo che da sempre vuoi fare l’amore con me?”
“Conosci qualcuno più meritevole di essere amato da me?”
Ero stordito: e non tanto dalle rivelazioni di mia nipote, che comunque conoscevo e che avevo cercato di ‘mettere sotto il tappeto’ per anni; ma soprattutto per la coscienza che, più ci stringevamo, più forte diventava il desiderio di possederci fisicamente, di scavalcare tutti i limiti del lecito e di lasciarci andare ad una passione sfrenata.
Mi trovai quasi senza accorgermene a baciarla con una intensità che forse avevo lasciato da qualche decennio lontana da me, in qualche lontano lido per ragazzi in piena tempesta ormonale; Gianna non mi lasciò scampo: la sua lingua mi forzò le labbra, mi invase completamente la bocca e cominciò un duello con la mia che era quanto di più sensuale (e sessuale) potessi immaginare: in un momento, mi trovai portato nel paradiso delle Uri e persi il contatto col mondo.
Sapevo che stavo commettendo un grosso errore, ma non me ne importava un fico: in quel momento esisteva solo una fresca, giovane donna che mi amava ed io ne ero pazzo da sempre: volevo il suo corpo, tutto intero e ne volevo tutto l’entusiasmo e l’amore che fosse capace di darmi; la strinsi con forza, quasi a farle male, e feci aderire al suo il mio corpo, in tutti i modi in cui potevano combaciare le membra: sentii che fremeva e che mi si donava tutta intera; ebbi persino la sensazione che fosse vicina ad un orgasmo, anche se ci eravamo solo abbracciati con tanto di vestiti addosso.
La voglia montò irresistibile: eravamo soli in casa, ma avremmo comunque sfidato la sorte, se ci fossimo abbandonati a libero accoppiamento; non ci fu spazio per le riflessioni troppo elaborate: lei voleva sentirmi fisicamente suo; io non riuscivo a controllare il mio desiderio totale; l’unica conclusione fu che la sollevai, la feci sedere sul tavolo della cucina dove ci eravamo fermati; le feci scorrere il vestito su fino ai fianchi, per quanto lo consentiva la posizione scomoda; mi abbassai tra le cosce e baciai la vulva da sopra il perizoma microscopico, che spostai di lato scavando con la lingua e con le dita nella peluria (per fortuna, non aveva ceduto al vezzo della moda di radersi il pube) e conquistai immediatamente il clitoride con un leggero lamento, che soffocò in gola per non essere sentita dai vicini.
La spinsi indietro, fino a farla giacere supina sul tavolo, con le ginocchia ripiegate in alto; e finalmente realizzai il sogno di tutta la vita: le sfilai il perizoma e le autoreggenti, denudandola dalla vita ai piedi e cominciai a ‘pascermi’ della sua bellezza, leccandola dall’ombelico al pube, dalla punta dei piedi alla vulva.
“Ti voglio sentire dentro! Fammi sentire il tuo amore nella pancia!”
Impossibile resistere ad una richiesta così accorata: senza esitare, mi abbassai insieme pantaloni e slip (non mi tolsi la giacca) e la penetrai di colpo.
“Scusami, non è bello così, ma non resistevo più alla voglia di averti. Dopo faremo l’amore; ora ti voglio, tantissimo!”
“Non giustificarti perché fai esattamente quello che desidero. Per ora prendimi; a fare l’amore avremo tempo; non credere che ti lascerò più andare via!”
Non stavo molto bene, a dire il vero: schizofrenicamente, ero combattuto tra l’immenso desiderio per quella donna meravigliosa che sin dal primo impatto mi aveva testimoniato quello che da sempre speravo e credevo di sapere, un calore eccezionale di femmina che vive il sesso con un’intensità difficile da trovare; dall’altro lato, la coscienza di calpestare tutte le leggi umane e divine per fare sesso con una creatura fragile e semplice come la mia nipotina, mezzo secolo più giovane.
Gianna sembrava leggermi nel pensiero.
“Senti, Giovanni, qui non ci sono nonni o nipoti; qui non ci sono parenti né leggi umane o divine; qui ci sono due persone, vive, di carne, di sangue, di emozioni e di amore. Quando uscirai da me e tornerai a ragionare, puoi anche ricordarti che sono tua nipote; finché sei dentro di me, sei solo un sesso che amo fino ad impazzire, che voglio che mi sventri, che devo sentire gonfiarsi fino a farmi male che mi deve riempire di amore ma anche di goduria, di libidine, di sperma. A proposito, non stare a farti problemi: prendo la pillola e voglio sentire nell’utero il tuo orgasmo; promettimi che mi farai impazzire.”
“Ascolta, amore mio, è da almeno cinque anni che sbavo per un momento come questo, da quando scoprii i preservativi nella tua borsetta e capii che la tua verginità era andata a qualche sconosciuto. Da quel momento, per me è esistita solo la tua vagina e mi sono masturbato per anni come un ragazzino. Non ho nessuna intenzione di uscire da te prima di averti dato tutto quello che posso.”
“E non sarà solo oggi: ti voglio avere mio per sempre, per legge e per amore. Adesso, basta parlare e amami: andiamo in camera, voglio goderti con tutto il mio essere.”
Mi spinse via, scese dalla tavola e si avviò alla camera, mentre io mi tiravo su i pantaloni e la seguivo; impiegammo un tempo infinitesimale a spogliarci, anche se lo facevamo con calma e metodo e, mentre ci spogliavamo, non smettevamo di baciarci su tutta la pelle.
Quando Gianna si stese supina al centro del letto, il mio gesto istintivo fu impossessarmi del suo seno generoso ed attaccarmi ad un capezzolo grosso come una ciliegia, per succhiarlo come un poppante affamato: sentivo che era stimolata intensamente e mi teneva ferma la testa mentre succhiavo; dalle contrazioni del ventre si intuiva che aveva degli orgasmi intensi e continui.
“E’ da molto tempo che non godi?”
“Con questa intensità, è la prima volta in assoluto. Immaginavo che fosse meraviglioso fare l’amore con te; ma viverlo sulla pelle è proprio un’altra cosa!”
Nelle due ore successive, non facemmo che copulare alla grande ed amarci come ragazzini: accarezzandoci in tutti gli anfratti; leccando ogni minimo frammento del corpo; succhiandoci l’anima dal sesso prima alternativamente, poi contemporaneamente, in un memorabile ‘69’; penetrandola in vagina e nel retto più volte con entusiastico amore e grande passione.
Riuscii a limitare a due le mie eiaculazioni; non saprei dire quante volte lei arrivò all’orgasmo e lo segnalò gridando anche pericolosamente; venne il momento di smettere, se non voleva fare scoppiare una tragedia; a malincuore, si staccò dall’ultimo amplesso che aveva vissuto come se fosse l’ultimo della sua vita; andai in bagno, poi ci andò lei, mentre mi rivestivo.
“Ed ora?”
Chiesi perplesso, a me prima che a lei.
“Ora, tu vai a fare il marito, il padre e il nonno; poi, quando vedrai la minima occasione favorevole, tornerai da me e diventerai il mio amore, il mio sesso, la mia libidine, la mia vita vera. Ti fa paura?”
“Un poco si; e se non ne hai un pizzico, di paura, sei incosciente; ma con la paura ci conviviamo ogni momento: l’importante non è avere paura ma superarla con l’entusiasmo; e tu, piccola mia, di entusiasmo me ne instilli tanto, tantissimo. Con te, non rischio mai di invecchiare, ma solo di morire per eccesso d’amore.”
“Stupidaggini! Un amore così bello fa solo vivere, non morire.”
Sono ormai alcuni anni che viviamo in forza di quest’amore; e, finora, nessuno ha capito niente, per buona sorte.
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Categorie: Incesti