Il proposito di fare in fretta la prenotazione per il privè si dimostra illusorio un attimo dopo averlo formulato: per stare fuori io e Manlio da sabato sera fino a domenica mattina, bisogna innanzitutto attendere un sabato che Oreste deve passare fuori città per lavoro, altrimenti non possiamo con qualche credibilità lasciarlo solo a casa e andarcene a folleggiare: quanto meno apparirebbe stravagante e inusitato. Ma si vede che effettivamente “audaces fortuna iuvat” (la fortuna assiste gli audaci) perché, quasi per volontà del destino, Oreste viene invitato ad un convegno importante a Parigi per la fine del mese: tra viaggio e convegno starà fuori da venerdì a domenica. Felice della notizia, per un attimo mi limito a gongolare dentro di me; poi, in un momento di resipiscenza, mi rendo conto che non sarebbe coerente con le nostre abitudini recepire la notizia senza commentare e, sperando in cuor mio in un no, gli chiedo se desidera farsi accompagnare nel viaggio. Mi dice che la trasferta non prevede accompagnatori, per cui gli oneri economici sarebbero notevoli; ma, a parte questo, mi confessa candidamente che preferisce fare questa esperienza da solo, non per abituarsi alla solitudine, ma per guardare a noi due con un po’ di distacco, visto che da un anno non abbiamo mai avuto occasione di allontanarci. Sono d’accordo (e non solo per la libertà che mi lascia) e mi accosto per baciarlo: non si tira indietro, anzi per la prima volta dopo molto tempo ci scambiamo un bacio di vero amore.
“Dovremmo ricominciare … “ borbotta mentre si stacca; gli accarezzo il viso e desidero intensamente che tutto vada come spero. Gli propongo, mentre è via, di andare con Manlio per il fine settimana alla casa al mare per arieggiarla; è d’accordo anche se sa che non c’è telefono fisso e che le linee della telefonia mobile sono molto disturbate per cui non potremo sentirci come vorremmo. Manlio effettivamente impiega solo un clic per fermare la prenotazione della cena e della serata; poi vuole accompagnarmi a fare shopping per comprare qualcosa di giusto per la serata. Per prima cosa faccio scorta di perizoma, perché sono una patita di quell’indumento e mi piace averne tanti e diversi per forma, colore, combinazione; decide poi per un abito semplice e leggero, di seta, con un semplice fermaglio che lo lascia andare giù semplicemente sciogliendo un nodo e un paio di scarpe comode anche se con un tacco alto. “Al resto provvede madre natura con la tua bellezza!” Commenta mentre mi guarda vestita come sarò quella sera. Siamo andati in un centro commerciale di un paese non molto vicino e la cassiera, che non ci conosce, dopo aver guardato me ed ammirato lui, osserva. “Signorina, le sta tutto benissimo perché effettivamente lei è molto bella e, mi perdoni, siete proprio una coppia meravigliosa.” Quel figlio di buona madre non perde l’occasione per commentare. “E’ solo una questione d’amore. Ora, se lei all’improvviso non si è innamorata di me, è l’amore tra me e Wilma che rende tutto bellissimo.”
La ragazza è sorpresa. Ma è pronta. “Anche se lei è un gran bel ragazzo, il mio amore è solo per il mio fidanzato. Quindi, la bellezza qui la detta quell’amore tra voi due che chiunque vede ad occhio nudo.” Tiro un pizzicotto nel fianco di Manlio, da lasciagli il livido come quando era piccolo, arraffo in fretta i pacchi, pago e scappo via. “Amore, perché scappi?” “La smetti di fare lo stronzo? Non ancora ti ho detto che sono innamorata di te!” “Però la ragazza ha detto che si vedeva ad occhio nudo!” “Ha detto anche che sei un bel ragazzo ed io ho tante perplessità … “ “Faresti l’amore con me?” “Mai!” “Ma se manca solo una settimana alla notte di nozze!” “Quali nozze?” “Ma come? Hai già dimenticato che sabato sarai la mia donna e potrò fare l’amore con te?” “Ah … è vero …abbi pazienza e aspetta allora. Voglio arrivarci vergine alla prima notte!” “Ma così mi fai morire; tutte le ragazze lo danno un piccolo anticipo …” “Ma io no. Sta zitto e lasciami guidare, se no mi perdo.” E’ da una settimana che mi fa vivere in questo stato di continua sospensione tra l’amore vero, quello dei ragazzini al liceo, e il desiderio di farmi scopare alla grande ogni volta che so che sta andando a masturbarsi per me. Lui non lo sa (o forse lo immagina) che devo fare enormi sforzi io, per non chiedergli di fare l’amore, subito, adesso, qui, in questa macchina come ai tempi del liceo. Per fortuna la strada fino a casa non è lunga.
Arriva venerdì e nel pomeriggio inoltrato accompagno Oreste all’aeroporto; sta già imbrunendo quando torno a casa; trovo Manlio che mi aspetta con una strana aria sorniona. E seduto nel salone, sul divano grande, con a fianco le scatole degli acquisti fatti. Lo guardo sospettosa e interrogativa. “Amore, pensaci! Il nostro impegno è per domani sera; abbiamo una serata vuota e libera e ti proporrei di utilizzarla come due innamorati che domani scoperanno e forse subito dopo si lasceranno; insomma, ti propongo di andare a cena, stasera, non per il tuo obiettivo di riscatto, ma per lo sfizio nostro di viverci questa momentanea libertà, di fare finta di essere i due innamorati che ha visto in noi la commessa e di comportarci proprio in quel modo. Ci stai?” “Insomma, hai deciso che vuoi scoparmi e te le inventi tutte; adesso i fidanzatini di Peynet con cena a lume di candela e poi a letto insieme?” “Scusa, mamma, ho sbagliato a capire. Io pensavo che si stava creando fra noi una certa complicità e tu invece pensavi di usarmi per una tua rivendicazione personale. Mi dispiace che sia finita così ma è meglio non farne niente, la tua rivendicazione la attuerai un’altra volta, con qualcuno più disponibile.” “Vuoi dire che domani non se ne fa di niente?” “Cosa si sarebbe dovuto fare?” “Tu mi accompagnavi a questo ‘Cocorito’, cenavi con me, te ne andavi a tornavi a prendermi quando ti chiamavo.” “Io ho preso questo impegno?“ “No, tu pensavi di scopare con me prima che lo facessi con altri, ma io, mi dispiace, ho già deciso che con te non scoperò né ora né mai.” “Bene, allora giustamente ti dico che devi rinviare il tuo progetto.”
“Quindi, che fai?” “Mamma, sono maggiorenne e libero cittadino: faccio quello che voglio.” “E con me?” “Se vuoi, posso farti partecipare a qualche mia escursione.” “Va bene.” Prende il telefono e inserisce il vivavoce “Ciao, Marina, ti va una serata con me e, forse, con mia madre?” “Un menage a trois?” “Non garantisco ma è possibile.” “Amore, con te fino alla fine del mondo.” “Allora passa dalla pizzeria e porta a casa nostra un paio di pizze,” “Pizza, birra e tanto sesso?” “Esatto!” “Arrivo.” Sono esterrefatta: la voce di Marina è quella di una mia amica e coetanea, sposata con Carlo, amico di Oreste e madre di Nicola e Francesco, amici di Manlio: la sola idea che quella donna stia per venire a casa mia per passare una notte di sesso con mio figlio mi fa accapponare la pelle. “Manlio, ma ti rendi conto?” “Certo, mamma, sei tu che non ti rendi conto, quando parli; io so perfettamente cosa intendo dire: ti ho chiesto se volevi partecipare ad una mia escursione ed hai detto si; ora io mi sono organizzato l’escursione con Marina. Se la cosa ti turba (che poi non so come possa turbarti, rispetto a quello che avevi in mente per domani sera!) tu non devi fare altro che ritirarti in camera tua; ti consiglierei di usare i tappi per le orecchie: io e Marina siamo molto rumorosi quando scopiamo.” “Quindi non è la prima volta?” “Mamma, ti prego, informati prima di parlare!”
Marina arriva puntualmente dopo un quarto d’ora; io mi sono già ritirata nella mia camera e aspetto la telefonata di Oreste che tarda ad arrivare. Non si trattengono molto in cucina:il tempo di tagliare in tranci la pizza e portare tutto nella camera di lui; poi comincia una sarabanda che non avrei mai immaginato; non resisto alla tentazione e mi affaccio nel corridoio: la porta è letteralmente spalancata e li vedo sdraiati sul letto che mordono alternativamente la pizza e se stessi. Marina ha un corpo invidiabile: grandi tette, fianchi larghi, bocca carnosa (da pompini, come dice ad un certo punto Manlio), figa rasata e carnosa, con un clitoride bello grosso che emerge dalla vulva e che Manlio va spesso a mordicchiare alternandolo alla pizza. Lui lo scopro per la prima volta e sbalordisco davanti a quel cazzo che avevo appena intravisto e che adesso mi appare in tutta la sua magnificenza: senza neppure rendermene conto, la mia mano è scivolata nel perizoma e mi sto masturbando; godo con lunghi e rumorosi gemiti; si girano e Marina mi esorta. “Dai, Wilma, entra, goditi anche tu questa meraviglia della natura. Come si fa a resistere ad un cazzo così?” “No grazie!” balbetto e, farfugliando ancora qualcosa, mi ritiro spaventata in camera mia. Passano però solo pochi minuti in cui riesco a malapena a distinguere lo schiocco di qualche bacio e leggeri gemiti di piacere di lei; poi sembra scatenarsi l’inferno: la testiera del letto picchia violentemente contro la parete accompagnata dagli urli e dai gemiti di lei, dai grugniti animaleschi di lui.
Mi risuonano in testa, mi rimbombano nel ventre, nella figa, mi scatenano orgasmi; urlo anch’io, di godimento, di rabbia, di esasperazione, non lo so di che cosa. Dopo un urlo più feroce degli altri, Marina zittisce di colpo e singhiozza; mentre cerco di capire, una fitta più violenta alla figa mi fa lanciare un urlo che pare di dolore intenso; improvvisamente mi appare Manlio, nudo, col maledetto eterno cazzo eretto, che mi chiede ansioso se sto bene; lo rassicuro che è stato solo un orgasmo. “Perché non vieni di là a fai un poco d’amore, quello che preferisci, anche tu con noi?” E sopraggiunta anche Marina, che mi sollecita a gesti di andare con loro. “Possibile che non vogliate capire? Io non posso, non voglio e non devo innamorarmi né di Manlio né del suo cazzo. Se solo lo assaggio, so che non riuscirei più a farne a meno; ed ormai è chiaro che in certe cose divento incontrollabile: non voglio rischiare di fallire anche come moglie.” Marina la guarda quasi con pazienza. “Wilma, se ti privi di una cosa, ne accresci il desiderio; se te ne sazi, forse riesci a controllare il desiderio. Lasciatelo dire da una che ci è passata.” “Ma qui si parla di mio figlio!” “Mamma, ancora insisti a farti fonte della verità e non accetti di imparare niente.” “Wilma, io mi sono fatta scopare per anni da tutti e due i miei figli ed anche dal loro migliore amico, tuo figlio. Scusami se lo dico, ma il mio matrimonio è assai più saldo del tuo, che continui a farti inutili scrupoli bigotti.”
“Ma come puoi parlare così?” “Io amo i miei figli, ed anche il tuo, proprio e soprattutto perché li ho amati e li amo anche fisicamente. Lo stai vedendo e hai capito bene: ogni tanto mi faccio dare una ripassatina da Manlio ma anche dai miei ragazzi e li preferisco di gran lunga a qualsiasi bull o puttano che si voglia. Non so se tu ami davvero tuo figlio, visto che alla fine ti genera solo paura per qualcosa che con sconosciuti faresti senza pensarci. Il problema però è solo tuo. Se ti va, riflettici.” I due sono tornati nella camera di lui e vedo Marina inginocchiata a quattro zampe che offre il culo maestoso al cazzo di Manlio. Lui si abbassa fino a raggiungere l’ano con la lingua e comincia a leccarla; la sento gemere e sussurrare continuamente “si, ancora, fammi rilassare” e scodinzolare quasi di felicità; lui si solleva sulle ginocchia, appoggia il suo arnese infernale al culo e comincia a spingere. Marina urla indicazioni opposte. “Fermati, maledetto, mi squarci il ventre … No. Non ti fermare, spingi, forte, fino in fondo, aprimi tutta … fermati, fammi respirare … ecco, riprendi. Chiavami fino a farmi morire … Sborrami dentro … gooooodooooo …. Oddio, come sto godendo.” Ed urla, urla da fare spavento, temo che stia svegliando il condominio. Sono stordita, frastornata, eccitata, arrapata: voglio quel cazzo, voglio che mi sbudelli; quel cazzo è mio da quando è nato, ho diritto a prendermelo, lo voglio ad ogni costo.
Cerco di avvicinarmi, di portare una mano su quel monumento all’amore; Manlio delicatamente mi fa segno di attendere; le sbatte il ventre contro il culo con forza inarrestabile finché lei rovescia gli occhi fino a far vedere solo il bianco, apre la bocca per urlare ma non emette nessun suono poi si scatena in un urlo da sirena che rompe il silenzio della notte per tutta la strada e spara dalla figa uno spruzzo enorme di liquidi. Solo a quel punto, Manlio distende il ventre e si rilassa, si sposta un poco dalla schiena di lei e lascia che la mia mano si accosti alla base del duo cazzo: quando riesco a prenderlo con due dita per tutta la circonferenza, comincia a muoversi avanti e indietro in quel culo dilatato, teso che sembra debba lacerarsi da un momento all’altro, grondante di liquidi strani. Lentamente lo lascia scivolare fuori. “Non t’azzardare a tirarlo via. Masturbalo senza togliermelo dal culo, per favore.” Marina ha intuito tutto e mi avvia al rapporto a tre che aveva proposto all’inizio. Ad un tratto, è lei stessa a sfilarsi dal cazzo e a piombare sul lenzuolo quasi affranta. “Adesso, se vuoi, è tutto tuo.” In un altro momento, mi sarei inalberata perché mi concedeva qualcosa che io so che è mio da sempre; ma adesso capisco che non si risolve niente con le polemiche e mi limito ad accomodarmi inginocchiata davanti a Manlio, gli stringo il cazzo, sempre alla base, con tutta la mano, gli passo al’altra dietro la testa e avvicino la bocca alla sua.
Per la prima volta, sento il sapore delle sue labbra e me ne innamoro, poi la sua lingua scivola nella mia bocca e mi sento ubriaca d’amore, di voglia, di lussuria, di sesso. Le tette mi si gonfiano da farmi male; i capezzoli, stretti nel reggiseno, sembrano volerlo bucare, tanto sono duri; il ventre mi si agita e mi rintrona come se avessi le viscere in rivolta e alla fine sborro senza accorgermene; senza che abbia fatto niente altro che baciarlo, dalla mia vagina secrezioni dense mi scorrono nel perizoma, lo inondano, lo riempiono come quando Manlio ci sborra direttamente dentro: sospiro, gemo e mi lamento; arrivo a sussurrare “ti amo”, ma per uno strano gioco di echi, lo sente Marina sdraiata sotto di me, ma non lui con la bocca sulla mia. “Ripetilo, per favore, ripetilo, per il vostro bene; faglielo sentire; sta aspettando da anni.” Stacco la bocca quasi facendogli male e glielo urlo. “Ti amo, ti desidero, ti voglio, voglio essere tua, voglio che tu sia mio … ti amo …. Ti amo … ti amo …” Sto piangendo mentre lo urlo, lo dico, lo mormoro, lo sussurro come un mantra. Mi stringe a sé con una forza che non ho mai sentito in nessun abbraccio, mi bacia su tutto il viso; lecca le mie lacrime dal volto, la mia saliva dalla bocca, le mie orecchie, il mento, le guance, mi lecca tutta, mi bacia tutta, sento che mi ama completamente, sento che le parole non servono. Ho ancora il suo cazzo stretto in mano e so che devo decidere che cosa farne. La prima idea è baciarlo ed è quello che faccio.
Marina, che ha intuito, si sposta ed io spingo Manlio sul letto. Prima su un fianco, poi supino e mi abbasso su quell’enorme omaggio all’amore; comincio a baciarlo leggermente sul frenulo: infilo la punta della lingua nel meato, lo stuzzico e, visto che vibra di lussuria, ripeto spesso il gesto; poi sposto la lingua sulla cappella e la percorro tutta; non so dire quanto tempo mi ci vuole per accarezzare con la lingua tutto il cazzo, dalla punta alla base, in tutti gli anfratti, in tutte le pieghette, lungo tutti i canalicoli: so però che lui regge alla grande, anche quando infine lo prendo in bocca ed un fremito intenso di lussuria percorre tutto il suo corpo. Mentre lecco l’asta delicatamente tutto intorno e dall’alto in basso, per tutta la superficie, la mia figa palpita come impazzita disseminando umori vaginali per tutti i vestiti che ancora non ho dismesso e che in breve sono largamente bagnati; quando lo faccio entrare in bocca, l’orgasmo mi esplode violento e bagna persino il letto; quando, scivolando tra lingua e palato, percorre tutta la cavità fino all’ugola, gli orgasmi sono leggeri e successivi e determinano una continua colatura di umori lungo le cosce. Quando infine, decisamente incosciente, lo affondo fin dentro l’esofago combattendo principi di soffocamento e conati di vomito, ho quasi la sensazione che l’utero si stacchi dal ventre e se ne vada per conto suo. “Piccola incosciente, vuoi soffocarti? Non c’è bisogno di farlo entrare tanto, il piacere è enorme anche se mi succhi solo la punta.”
Lo guardo con rimprovero. “Neanche un pompino posso farti, a modo mio?” “Scusami, è stata un’istintiva paura che ti facessi male: io voglio il tuo bene, non il tuo male.” Marina interviene riprendendosi. “Mi pare che di bene gliene fai parecchio, visto che mi avete messa nell’angolo e dimenticata.” “Non è vero: il momento più bello è stato masturbarlo mentre era nel tuo culo!” “Allora, ricambiami e fammelo succhiare mentre ti sfonda la figa.” Rimango interdetta: questa non me l’aspettavo, ma è la conclusione più logica e, quindi, più giusta. “Ti va di prenderti la tua donna?” “Marina, mi spiace ma devi rinviare il tuo desiderio; stavolta voglio entrare nella figa della mia donna guardandola negli occhi mentre lo facciamo, senza violenza, senza fretta; un altro giorno avrai tempo per leccarmelo mentre la posseggo.” Non lo avrei mai ammesso ma ero disorientata: Manlio mi toglie delicatamente i vestiti, mi fa stendere supina e mi monta addosso, favorito dall’altezza che è quasi la stessa, fronte contro fronte, piedi contro piedi; con le mani appoggia delicatamente la cappella alla vulva ed io sento questo enorme bastone di carne penetrarmi delicatamente in vagina avanzando a piccole spinte che spostano il cazzo di pochi centimetri, mentre il bacino, con la parte ossea e con quella muscolare, mi massaggia il pube e il ventre, sollecitando specialmente il clitoride stretto tra noi due. Gli orgasmi si succedono agli orgasmi e non riesco a contarli finché arriva quello grosso, potente, che mi lascia senza fiato per un poco.
“Sei un gran figlio di puttana, però. In tanti anni che mi scopi, mai una volta l’hai fatto così.” “Marina, su questa figa ho consumato ettolitri di sborra, milioni di seghe, anni di attese e di speranze; ora che posso sentirla mia, voglio darle l’amore che a tutte ho fatto provare ma che solo a lei devo dare tutto intero, voglio sentirmi completamente suo e voglio sentirla completamente mia. Questa penetrazione e questo orgasmo non li dovrò dimenticare mai più e spero che neanche Wilma li possa dimenticare mai più.” “ Se riesce a dimenticare, è un mostro: questa è la più profonda, la più intensa, la più alta, la più nobile penetrazione che un cazzo abbia realizzato in una figa. Questo è quintessenza dell’amore.” Non riesco neanche a pensare; sto affogando in un lago di miele profumato alla cannella con sentore di cioccolato: forse sono nell’Eden o, se ho sbagliato tutto, sono una delle uri del paradiso islamico. Sono in una nuvola, sono nel’amore puro. Sto aspettando solo che qualcosa succeda a riportarmi sulla terra. E quel qualcosa è l’orgasmo che mi stronca all’improvviso, quando la cappella è arrivata all’apice dell’utero e mi sbalza dal letto di una ventina di centimetri. Nello stesso momento, spruzzi di sborra mi colpiscono il martoriato utero e, ad ognuno che esplode dentro, corrisponde un nuovo orgasmo che mi squassa tutto il basso ventre. “Dio che sborrata, la sento perfino io da qui lontano. Mi devi una petit mort, amore mio!” Marina è al settimo cielo.
Wilma ancora non si riprende; dopo qualche istante apre gli occhi e, con aria fanciullesca,domanda “Cos’è una petit mort?” Marina è pronta a rispondere. “E’ quello che stai attraversando. Ti senti resuscitata? Ecco, per i francesi un orgasmo bello, grande, intenso, definitivo è come una piccola morte perché ti fa perdere i sensi e poi ti fa svegliare in paradiso. Bene, ragazzi, la serata è stata intensa e meravigliosa; ma ora che vi siete ritrovati, è giusto che io tolga l’incomodo. Avete tante cose da dirvi e, spero, avete tantissime cose da farvi. Per favore, pensate positivo e, credetemi, l’amore è migliore e più forte di qualsiasi altro valore, sentimento o emozione. Fare l’amore allunga la vita; e voi ne avete, di vita recuperare; Buonanotte e arrivederci presto.” Non mi aspettavo un’uscita così affettuosa ed elegante di Marina; stranamente (ma solo per me) ho dimenticato tutte le colpe che il mio integralismo le attribuiva; ho persino fatto l’amore anche con lei (quasi; ma ci posiamo rifare) e adesso sono con l’uomo che mi ama di più al mondo e che sto imparando ad amare con tutta me stessa come l’unico al mondo che posso amare. Sono sempre disorientata (è una condizione che forse non abbandonerò mai!) ma almeno di una cosa sono certa: voglio il cazzo di mio figlio (posso anche dirlo, per quest’ultima volta) e lo voglio sempre, dappertutto, comunque. Voglio che mi scopi in tutti i momenti, in tutti i buchi ed anfratti, in tutti i modi che crede, anche i più assurdi. Lo voglio, E basta.
Mi accoccolo sul suo petto, a mani unite, col suo meraviglioso cazzo che si struscia sul mio ventre, sopra le mie cosce; lo prendo in mano e me lo passo dovunque può arrivare; scivolo verso il basso e lo prendo in bocca; poi mi giro e mi pianto col culo sulla sua asta: lo voglio nel culo, adesso, anche se so che richiede preparazione. Glielo dico apertamente; più o meno come gli avevo visto fare con Marina, mi sistema in modo che il mio culo, stando io rannicchiata in posizione fetale, gli si offra davanti alla bocca; divarica le natiche e la sua lingua comincia e lambire le pieghette dell’ano. Mentre mi lecca, borbotta. “Cosa vuoi fare domani? Io me ne starei anche volentieri a casa a scopare all’infinito.” “Io invece vorrei ancora affrontare il rischio di quel riscatto famoso.” “Ti rendi conto che, comunque vadano le cose, hai perso?” “Perché?” “Cosa speri di ottenere?” “La soddisfazione di rifare il percorso senza danni.” “Cioè, tu torni semplicemente a farti scopare ancora e neppure dagli stessi.” “Si, ma dimostro che non ero stata io a sbagliare!” ”Primo quesito: a chi lo dimostri?” “A me stessa.” “Ma tu ti sei già assolta ampiamente con te stessa, anche se non è proprio vero che eri innocente. Chi sarebbe il colpevole?” “Tuo padre, che mi ci ha portato e non mi ha saputo trattenere quando ho sbroccato.” “Quindi, se domani ti ci porto io e tu sbrocchi, la colpa è mia!” “Certo!” “Perfetto! Ora tutto è chiaro. Ecco un ottimo motivo per non portarti da nessuna parte.”
“Ma guarda che non è necessario che mi ci porti tu; posso andarci anche da sola, basta il navigatore.” “Sai che ci vuole la tessera e la prenotazione?” “E tu come hai fatto?” “Cazzo, ancora non l’hai capito che sono un’autorità, nel ramo.” “Allora dirò che dovevo andare con te e non hai potuto.” “Credi di poter raccontare fandonie a miei amici?” “Senti, fatti i cazzi tuoi. Io domani vado dove devo andare e tu te ne stai con le tue puttane!” “Giuro che domani mi scoperò a sangue la più puttana di tutte, la farò finire all’ospedale e lei mi verrà ancora a cercare per farsi sbattere.” Applaudo ironica. La sera del sabato, alle 23, attivo il navigatore con l’indirizzo, indosso la mise che abbiamo scelto e parto. Ho saltato la cena e mangiato solo un tramezzino; alle 23, 30 arrivo sul posto, parcheggio e vado spedito all’ingresso. C’è un tale in maschera; dico che vengo da parte di Manlio; fa una telefonata e mi fa passare. Un altro ragazzo, alto, ben piantato, mi accompagna in sala e chiedo della pista da ballo; mi guida e, sul posto, lo prendo per un braccio e mi stringo a lui; ha un cazzo solido, immenso, mi ricorda quello di Manlio, ma è più dolce; me lo appoggia fra le cosce, attaccato alla figa, e comincia a strusciarmi con tutto il corpo su di sé: il primo orgasmo arriva a razzo e altri tre in rapida successione; prima che arrivi il quinto, lo prego di fermarsi perché non ce la faccio quasi. Prende a ballare quasi regolarmente e, dopo un poco, sono io a cercare lo strusciamento sul cazzo in cerca degli orgasmi che arrivano a ripetizione. Finché mi sento male e gli chiedo di farmi sedere a prendere fiato.
Con voce strana, meccanica, cerca di rassicurarmi che è cosa passeggera; gli chiedo se è la sua voce; mi risponde che è la maschera, imposta per quella sera, a deformarla. Non appena mi sono ripresa, gli chiedo di accompagnarmi a visitare le varie sale. La prima è quella delle semplici scopate; vorrei quasi andar via, quando mi prende la mano, se la porta sul cazzo ed io ci ripenso; faccio scivolare il vestitino su una sedia e lo spingo sul letto. Come avevo previsto, ha un cazzo enorme e me lo ritrovo in figa prima di essere riuscita a guardarlo bene; dopo una mezz’ora di monta e cinque miei orgasmi possenti, ha ancora il cazzo duro; e non è venuto; si stende supino, mi invita e cavalcarlo e, all’ultimo momento, la mazza mi penetra con violenza nel culo; urlo con quanto fiato ho in gola, ma le pareti sono insonorizzate. Quando si muove nel culo, comincio a provare un piacere intenso e profondo e sono io ad urlargli adesso di spingere più a fondo, di violentarmi, di sfondarmi. Mi pompa ancora per circa un’ora, ho il culo che mi duole e mi brucia, sul letto sono visibili tracce di sangue, segno che mi ha lacerato qualcosa; ma non mi arrendo e gli chiedo di scoparmi ancora: mi fa cambiare posizione e mi incula con più violenza e più profondamente; passa poi a scoparmi in figa e mi martella per moltissimo tempo. Ho sborrato tanto che non ho la forza di andare avanti. “Basta, basta, basta, non ce la faccio più!!!!” Urlo a perdifiato.
“Ma stai davvero male?” “Cazzo! Ma non vedi che sanguino dalla figa e dal culo?” “Nessuno ti ha spiegato che c’è il bottone di emergenza? Eppure si vede: è la, è enorme. Perché non l’hai premuto? Noi se non chiedono aiuto i clienti non ci fermiamo perché molte donne vogliono proprio quello. Hai visto le sale sadomaso?” “Che cazzo è il sadomaso?” “Per Dio, sei così ignorante che non conosci il sadismo e il masochismo?” “E ci sono sale dove si fa sesso facendosi del male?” “Le vuoi visitare?” “No, no, voglio solo andarmene a casa mia. Accompagnami fuori!” Mi tampona le ferite all’ano e ala vulva (non molto gravi per la verità) e mi suggerisce di andare all’ospedale. “Già! E poi come spiego le ferite?” “Non sei tenuta affatto a spiegare. Il sadomaso è assai diffuso fra le coppie normali e gli ospedali ne ricoverano spesso di persone con queste ferite. Scusa, sa, ma tu non sai proprio niente di sesso. Chi ti ha consigliato di venire qui dove il sesso è quasi un’arma?” “Nessuno; ho voluto togliermi una curiosità.” “Sei sposata?” “Si; perché?” “Perché per un po’ di giorni avrai difficoltà a sederti, ad orinare a defecare; tuo marito sene accorgerà certamente e, se non era al corrente, saranno cazzi tuoi!” “Appunto, sono cazzi miei; accompagnami all’uscita!” Raccolgo il mio vestito e il perizoma e ci dirigiamo alla macchina. Quando provo a sedermi alla guida, i miei urli arrivano alle stelle. “Calma, diamine, non sollevare scandalo, per favore.” “Ma io ho male!”
“Ma se nessuno ti ha obbligata a venire, perché ci sei venuta?” Chiama una delle guardie. “Informati chi è responsabile per la signora.” “Non c’è bisogno, sono qui per conto di Manlio.” “Cazzo, ma lui adesso qui non c’è: devo accompagnarti a casa: senti tu, avverti alla reception che la signora di Manlio ha bisogno di accompagnamento a casa e che ci penso io. Ciao”. Mette in moto e attiva il navigatore; mi sono appoggiata allo schienale e tendo ad appisolarmi. “Ti dispiace se mi appisolo un attimo?” “No, dormi pure serena, sei in ottime mani.” La voce è cambiata e si è tolto la maschera ma non sono in grado di riconoscere niente; sono tutta immersa nel dolore che mi sale dalla figa e dal culo e, finalmente, le considerazioni della maschera prendono corpo: come spiegherò a Manlio, ma soprattutto ad Oreste, il culo e la figa dilaniati? Con Oreste posso anche cavarmela, visto che sino a sabato prossimo non mi scoperà e, alla fine, un turno riesco a farglielo anche saltare. Ma Manlio lo saprà certamente dalle maschere, soprattutto questa che mi ha violentato e mi sta accompagnando. Ma guarda quest’impunito: prima mi squarta culo e figa, poi mi fa anche il favore di accompagnarmi. Si è vero che l’ho voluto io e che non sapevo niente del sadomaso e dell’allarme, ma lui è stato proprio un violento. E pensare che Manlio me l’aveva detto. Uffa che palle! Tutti mi dicono, tutti sanno ed io ci faccio sempre la figura della scema.
Le lacrime non sono previste, ma non posso fermarle. Che cogliona! Tanta sicumera; tanta presunzione; gliela faccio vedere io! E adesso? Culo e figa lacerati, mio marito che certamente vorrà divorziare, mio figlio che se ne andrà di casa. Che posso fare , dio mio? Che posso fare? Che cazzo serve piangere? Ma io ho bisogno di piangere, adesso! Sono nella merda, mi ci sono tuffata felice a testa in giù ed ora non so più uscirne! Però, che gran cazzo, questo qui; peccato che io sia tutto un dolore, se no una sveltina me la farei proprio. Ma che cazzo sto dicendo? Io sto per affogare e penso alla sveltina? Dio, Dio, aiutami. Non riesco assolutamente a ragionare, Che posso fare? Devo aver parlato ad alta voce perché l’auto si ferma e l’altro mi chiede se voglio andare in ospedale. “No, no, ho detto no; all’ospedale non ci vado!” Controlla se c’è ancora emorragia: non ci tengo a rischiare l’omissione di soccorso, mamma!” “Mamma?????? Che cazzo?!?!? Tu mi hai fatto tutto questo?” “E ringrazia dio che mi sono fermato; avrei voluto farti assai peggio; e te lo avrei anche fatto, ma poi ho capito che la tua è solo stupida presunzione; e, soprattutto, mi dispiaceva per quel poveretto che non si decide a divorziare perché ti ama. Io ormai non sbavo più per te e, come hai visto, non ho e non avrò nessuna pietà. Se sei sempre convinta di essere la più brava e la più forte di tutti, ricordati che sono tuo figlio e che da qualcuno devo pure avere preso la mia arroganza e la mia sicumera. Se invece, ancora una volta, sei pronta a fare marcia indietro come hai fatto spesso in questi giorni, rivolgiti a chi ne sa più di te, impara a chiedere aiuto e forse potremo ancora farci qualche bella scopata, meno violenta e aggressiva. Adesso adiamo a casa e cerca di tirarti su prima che tuo marito ti trovi così malridotta.”
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