Come è mia antica abitudine, la mattina appena sveglia, comodamente seduta nel mio personale “pensatoio”, mentre scarico dal corpo tutte le scorie, cerco anche di porre in ordine i pensieri e di preparare la scaletta degli impegni per il giorno. Se si eccettua l’appuntamento pomeridiano con l’avvocato, non ho incombenze da assolvere; ma proprio l’idea di incontrare l’avvocato mi porta inevitabilmente a riflettere sul senso di questo viaggio, nato come obbligo burocratico e risoltosi in una serie di sensazioni (dovrei dire “emozioni” ma la parola mi spaventa, in qualche modo) che interessano tutta la fase della mia vita fino alla “fuga” a Brescia: le case dove ho vissuto la fanciullezza (quella dei miei genitori) e la mia giovinezza (quella del matrimonio); Donatella che mi ha “svezzato” (con la complicità del fratello Genny) al sesso libero da impegni matrimoniali o derivati; la casa degli spiriti con il ricordo di Nicola e il “transfert” sul figlio Sebastiano; l’incontro straordinario con Peppino un tempo antagonista ed ora amico: insomma, mi sembra di aver attraversato tutta la mia esperienza e di potere essere contenta di essermi riappacificata con me stessa o, almeno, con la parte di me che era rimasta a san Rocco.
Un dato però mi sembra mancare al quadro d’insieme: in realtà, a parte la “lezione di sesso” di Genny (e, quindi, Donatella), la mia prima vera esperienza in totale autonomia era stata nel bosco con il forestale sconosciuto, prima prova di “un colpo e via” che nel tempo avrei praticato con grande gusto. Mi pare allora che il mio “pellegrinaggio” non sia completo se non torno nel bosco a verificare le “sensazioni” che posso ricevere da quel posto che, a prima vista, mi è sembrato il più stravolto dal nuovo, anche se mantiene caratteristiche di zona verde assai interessante. Decido allora di andare a vedere sul posto: faccio rapidamente colazione e avverto che sarò di ritorno per il pranzo; prendo la macchina dal garage e mi avvio al bosco. Quando arrivo alla curva da dove partiva il sentiero, scopro che ora c’è una strada asfaltata che si inoltra nel fitto verso la cresta dei monti e che una serie di cartelli turistici indicano il lago (che trent’anni prima nessuno aveva mai visto e di cui si aveva notizia come di una favola) il “belvedere” con la caserma della forestale ed altre specificità per specialisti (sentieri particolari, percorsi di salute ecc.)
Seguo la direzione della forestale, che per il mio “pellegrinaggio” era una sorta di meta, e dopo poche centinaia di metri incontro una piccola deviazione asfaltata, anch’essa opportunamente segnalata, che conduce ad una spianata su cui domina una costruzione alpina, di pietra e legno, che intuisco essere la caserma. In realtà, arrivata al parcheggio, scopro che si tratta piuttosto di un punto di ristoro (incluso un bazar per souvenirs e piccolo supermercato) con tavoli e sedie ricavati da tronchi direttamente in loco. Il posto è piacevole e ameno, anche se ha perso tutto il senso della naturalezza che ricordavo. Nella speranza di ritrovare (sul posto e nella memoria) il punto in cui feci la prima sega al forestale e quello dove, poco tempo dopo, mi feci scopare con grande entusiasmo, vado a curiosare sul bordo del bosco osservando gli alberi quasi uno ad uno; ma è praticamente impossibile orientarsi in un ambiente che in trent’anni si è completamente trasformato, aggiungendo, togliendo, ingrandendo, rimpicciolendo: insomma, quello non è più quasi il posto delle mie prime esperienze di sesso libero.
Sto ancora indugiando ad esplorare con la vista il bordo del bosco, quando da dietro alla casa vedo apparire un giovanotto decisamente ben piantato: intuisco che deve essere uno dei forestali e lo saluto vezzosamente; mi risponde con un largo sorriso. Senza neppure dover fare molte domande, mi spiega che il locale è chiuso per turno e che nella piccola caserma annessa è rimasto temporaneamente da solo per cui non può essermi di molto aiuto se ho bisogno di qualcosa; gli rispondo che non sono lì per particolari esigenze e che, nel caso, lui sarebbe stato certamente adeguato. Mi guarda perplesso e capisco che la voluta ambiguità della risposta lo ha colpito ma che non ha inteso perfettamente; si allontana sul retro, svolta dietro la costruzione e sparisce.
Io non riesco neppure a chiarire a me stessa cosa diavolo sto a fare lì, cosa mi aspettassi e cosa ora vorrei che succedesse. Trent’anni prima, una ragazza che girasse per i boschi, sorprendesse un uomo che pisciava dietro ad un albero e con lui facesse sesso; tutto questo era accettabile e perfettamente comprensibile. Ma, trent’anni dopo, a ruoli completamente ribaltati, una donna matura che incontra ai bordi del bosco un giovanotto prestante o si fa avanti e propone qualcosa o rischia di sbattere contro il muro dei pregiudizi. Il problema é semplicemente decidere se e quanto ho voglia di scoparmi il forestale, se e quanto desidero riempire anche quell’ultimo tassello del mio “pellegrinaggio nella memoria” e scoparmi un surrogato di quella prima esperienza. Decidendo questo, tutto deriverebbe logicamente; naturalmente, il calore fra le cosce si fa intenso e comincio e colare senza neanche un pensiero perverso. A scompigliare le carte, riappare il giovane forestale, che però si è tolto camicia e pantaloni e si presenta in tutto lo splendore della sua giovinezza, bello, piantato, muscoloso e intensamente desiderabile; briga in qualche modo davanti a quella che ritengo essere la caserma e mi lancia frequenti occhiate di appetito represso; per parte mia, il mio sguardo è calamitato dal pacco che il boxer non riesce neppure a controllare e l’unico pensiero che riesco a formulare è domandarmi cosa proverò a prenderlo dentro.
Quasi intuendo i miei pensieri, il giovane si gira verso il retro dell’edificio e scompare di nuovo; ma stavolta lo seguo e mi trovo davanti ad una porta socchiusa, esattamene nella parte posteriore della costruzione. Non sono certamente nuova, a queste situazioni; ma un vago senso di disagio mi coglie ancora una volta, quando decido di spingere l’uscio ed entrare: non so affatto che accoglienza mi aspetta e non vorrei fare una figuraccia, se mi dovesse respingere perché la divisa lo inibisce, perché mi considera troppo vecchia o per qualsiasi altro motivo. Ma, come al solito, quando sono in ballo, io ballo, semplicemente lo faccio. Quindi, spingo la porta ed entro. L’ambiente è spartano, per non dire povero: un letto da una piazza e mezza, un armadio pesante e senza stile, proprio da vecchi montanari, qualche sedia e due comodini; ma il giovanotto da solo illumina il tutto col vigore dei suoi muscoli, con la bellezza dei lineamenti, col colorito roseo che urla gioia di vivere. Non deve essere molto esperto visto il disagio notevole che manifesta di fronte alla mia “intrusione”; ma l’istinto della nave-scuola che già in molte altre occasioni mi aveva favorita mi rende sicura che è il momento buono per svezzare un inesperto (se non addirittura un vergine) e che certe fortunate coincidenze non vanno sprecate.
Per buona sorte (o forse per scelta inconscia) ho indossato un abitino semplice senza chiusure se non una cintura in vita, aperta la quale, resto completamente nuda avendo rinunciato anche all’intimo; appoggia la borsa su una sedia, gli vado vicino e gli stampo la bocca sulla bocca mandando la lingua ad esplorare tutto l’interno della sua bocca fino alle tonsille. Dopo un attimo di smarrimento, mi ricambia entusiasta cingendomi la vita e piantandomi contro il ventre la sua verga che è esplosa immediatamente in un’erezione monumentale. Gli passo le mani dietro la schiena e vado ad afferrare le natiche dure come marmo stringendolo contro di me finché il cazzo non mi si strofina contro le grandi labbra; riporto indietro la destra e la insinuo fra i nostri corpi per andare ad afferrare il cazzo, da sopra il boxer, per sentirne il calore e la potenza sessuale che promana.
Quasi applicando a menadito una lezione che apprende progressivamente, mi accarezza la schiena dall’alto in basso e va ad afferrare le mie natiche con ambedue le mani: la sua stretta è così forte che mi solleva quasi da terra e fa giocare il mio inguine sulla sua asta; mentre io mi stacco un poco per abbassarmi a baciargli il petto e succhiargli i capezzoli, lui infila la mano tra di noi, aggancia la cintura e scioglie il nodo; senza esitare. Mi scuoto dalle spalle il vestito e sono tutta nuda tra le sue braccia.
Credo che la sua emozione sia pari a quella del bambino che apre il sacco dei regali a Natale e trova tutto quello che aveva sognato e che non sperava. Mi bacia e mi lecca il viso e le orecchie, poi scende sulla gola e si perde nell’incavo delle clavicole; si sforza ancora di abbassarsi, senza smettere di tenermi arpionata per il ventre al suo, e scende lentamente e sensualmente verso le tette che – belle sode, piene e grandi per loro natura – gli devono apparire un’immensa montagna di libidine per anni inseguita. Le lecca amorosamente “Succhiale” gli suggerisco e si scatena con le labbra a cercare di strappare un impossibile latte da mammelle inadatte a produrne: sento il piacere sciogliersi nei capezzoli e lo seguo mentre scende a precipizio verso la vulva ed esplodo in un primo, leggero orgasmo che sembra comunicarsi al suo cazzo, che si rizza ancora più potente fra le mie cosce: mi faccio allora un dovere di prendere il boxer dai due lati e spingerlo verso le ginocchia; si decide a coordinarsi e lo abbassa ancora di più finché lo può lanciare via scalciando; a quel punto, afferro la mazza di carne e la poggio delicatamente tra le cosce, appiccicata ai peli della figa, serrandolo fra le grandi labbra e facendo in modo che strusci contro il clitoride rizzatosi come il suo cazzo.
Decido di essere nave-scuola fino in fondo; gli prendo la testa e la riposizione su una tetta: “Lecca, succhia e mordicchia ma delicatamente, senza farmi male”; forse ha proprio bisogno di una guida: esegue diligentemente e io sento scatenarsi nel mio petto una turbinio di scosse elettriche che mi attraversano il ventre fino alla figa e da lì vanno a fulminare il cervello; perdo quasi il senso dello spazio e del tempo; l’unica sensazione è la libidine che mi inonda; l’unico problema è godere al massimo. Ma il ragazzo è troppo giovane per resistere a lungo ad un trattamento troppo elaborato; lo fermo e lo guido verso il letto dove lo faccio sdraiare; monto in ginocchio accanto a lui e mi impossesso del suo cazzo come fosse un trofeo di guerra: pochi colpi con la mano e lo sento guizzare sempre più eccitato, sul punto di sborrare. “Riesci a resistere ancora?” “Si, non c’è problema: ho una certa abitudine a frenarmi.” “Quando ti seghi?” “… si …” “Ok; cerca di farmi godere molto.” Mi abbasso su di lui e comincio a baciare il cazzo dai coglioni - tesi, gonfi, pronti a scatenare un’autentica eruzione di sborra - attraverso l’asta su cui si possono contare e seguire anche i capillari più sottili, tanto è tesa, fino alla cappella rossa, enorme, gonfia come un grandissimo fungo pronta a violare qualunque piccola fessura si offra.
Dopo aver lambito tutta l’asta, arrivata alla cappella, allargo la bocca allo spasimo e la spingo dentro, verso la gola, titillando le papille di tutta la cavità; provo anche a solleticarla con la lingua, ma è davvero così grossa che non c’è spazio per muovere adeguatamente la lingua; mi scopo in bocca per un po’ e cerco di succhiare al massimo l’enorme cappella. Poi mi accorgo che rischia di sborrare e mi fermo, perché il gioco è solo all’inizio. Per dargli anche il tempo di recuperare, mi stendo al suo fianco, spalanco le cosce, prendo la sue testa per i capelli e la forzo ad appoggiarsi sul mio ventre. “Leccami” gli ordino; e il ragazzo ubbidiente comincia a percorrere con la sua lingua calda e grossa prima l’interno delle cosce poi la vulva.
Dimostrando grande duttilità, prende a leccare con devozione la figa tutto intorno, fino al monte di Venere, poi ridiscende e si dedica con amore alle grandi labbra: inserendo due dita, apre al massimo la figa e lecca delicatamente le piccole labbra, finché arriva sul clitoride e intuisce che è là che deve insistere. “Succhiami” gli suggerisco e diligentemente lo prende in bocca e comincia a succhiarmi come una ventosa; i fremiti di piacere cominciano a percorrermi sempre più intensi e ravvicinati finché, inevitabilmente, gli esplodo in bocca un orgasmo straordinario. Lecca, succhia e ingoia tutto dimostrando anche un grande godimento.
Non appena mi riprendo dal languore dell’orgasmo, lo afferro per le braccia e gli indico di salirmi addosso: mi viene sopra e si sposta sul mio corpo finché incontra le mie tette; afferro il suo cazzo e lo colloco nello spacco tra i due meloni; li prendo ai lati con le due mani e li spingo a stringere dentro il cazzo; gli faccio cenno di scoparmi e lui lo fa: dalle smorfie del suo viso, capisco che è una goduria sentire scivolare nel morbido delle tette il suo cazzo d’acciaio e spinge sempre più verso il mio viso, per cui, quando mi rendo conto che è possibile, apro la bocca e faccio in modo che la spinta dei reni mi porti direttamente in bocca la cappella, unendo la sensualità del pompino al piacere della spagnola. La sua espressione è quella di chi sta intravedendo il paradiso. Avrei quasi voglia di concludere lì e di farmi sborrare in bocca e sulle tette: ho sborrato abbastanza per me e potrei anche fermarmi. Ma la soddisfazione di vedere la sua gioia della scopata mi spinge ad andare più avanti. Facendo forza sui suoi pettorali, lo convinco a sollevarsi e staccare il cazzo dal mio seno.
Spingendo indietro le sue ginocchia, lo esorto a spostarsi più indietro e con le gambe gli indico che deve sistemare le sue ginocchia in mezzo alle mie; quando la posizione mi pare giusta, afferro il cazzo e dirigo la punta verso la mia figa; quando capisce le mie intenzioni, si assesta un poco sul letto, afferra lui il cazzo e mi strofina più volte la cappella tra le grandi labbra: il contratto con quella voluttuosa mazza umida mi fa sbrodolare involontariamente e rende ancora più agevole il passaggio del cazzo che, lentamente, si impossessa della mia figa.
Quando sento che la cappella colpisce l’utero, comincio una strana danza per portarlo ad allargare le cosce fino a consentire alle mie di collocarsi tra le sue, me lo schiaccio sul corpo quasi a volermi compenetrare e gli faccio cenno di muoversi in su e in giù sul mio copro per sentirmi chiavata da tutta l’epidermide su tutto il corpo: non ha bisogno di molte indicazioni e comincia a strusciarmisi addosso facendo partecipi della scopata le mie tette e i capezzoli, innanzitutto, tutto il ventre e il monte di Venere, il clitoride ritto e sporgente dalla vulva ed infine tutta la vagina nella quale il cazzo si muove quasi entusiasta. Godo come un’ossessa e sento che anche lui gode: mi chiedo allora se voglio la sborrata conclusiva; e mi dico che no, che il ragazzo merita un regalo per come ha aderito al ruolo di grande scopatore, senza esserlo, in realtà. “Se continuiamo così, io non resisto ancora molto” mi dice: ed io allora stringo le cosce, blocco il movimento del cazzo e gli chiedo se ha pensato ad un modo eccezionale di sborrare. Sta pensoso per qualche attimo, poi … “nel culo …” dice quasi in un soffio. “Pensi di farlo a pecorina o faccia a faccia?” La domanda lo sconvolge; decido di scegliere io e di guardarlo in faccia mentre mi incula.
Lo faccio sfilare ed alzarsi, raccolgo un cuscino e me lo sistemo sotto le reni, sollevo in alto le gambe finché poggio sul letto quasi solo con le spalle; poi lo invito a penetrarmi analmente. Un po’ esitante, accosta l’enorme cappella al buchetto e comincia a spingere “Piano … mi fai male … aspetta un poco … ecco … riprendi” diligente e volenteroso segue le mie indicazioni e la sua mazza entra lentamente nelle mie viscere. Lui crede che io abbia voluto far godere lui; ma non sa quale piacere trovo nel sentire un bastone di carne, per quanto grosso e nodoso, che mi viola l’intestino e va a stimolare papille del mio corpo ancora non toccate dal piacere sessuale. Il suo cazzo ha questo effetto e non glielo nascondo: a mano a mano che lo sento penetrarmi, mi lascio andare al piacere con lamenti, gemiti e urla per lui insospettati e nuovi di zecca, per me la conferma di una inculata meravigliosa di cui godo con tutto il mio essere
“Ti piace?” Qualunque cosa gli chiedo, si limita a fare cenno di si con la testa e ad atteggiare il viso a smorfie di piacere “Riesci a vedere il cazzo che mi entra nel culo? Ti eccita? E’ bello il mio culo? Mi avvisi quando stai per sborrare?” Ci sono momenti nel rapporto sessuale in cui mi piace anche comunicare con il partner del momento, anche se è solo una scopata occasionale; ma con un ragazzo come lui è ancora più affascinante perché mi rendo conto che al tempo stesso lo eccito e lo spavento: e questo rende ancora più straordinaria la mia eccitazione. “Sto per venire!!!!” sussurra quasi in un respiro “Si, sto sborrando anche io, forza, facciamolo insieme!” e ci riusciamo: io riesco a scaricare dappertutto, su me, su lui, sul letto, gli umori più intensi del mio piacere, mentre sento che nel mio culo si sta scatenando uno tsunami di sborra, frutto probabilmente di lunga astinenza e di grande eccitazione per la scopata attuale. A mano a mano che si rilassa, sento il cazzo perdere consistenza finché scivola via quasi naturalmente dall’ano (per la verità, enormemente spanato, vista la dimensione che comunque conservava il cazzo che era “scivolato” via).
Gli chiedo dov’è un bagno per lavarsi e mi indica una porta fuori: un po’ seccata, mi copro alla meno peggio con la vestaglietta recuperata da terra e scappo nel bagno (un piccolo cesso, in realtà) dove posso solo scaricare nel water la sborra che rischiava di colarmi fuori e asciugarmi dopo con un po’ di tovagliette igieniche. Mentre ancora lui cercava in qualche modo di rivestirsi, afferro la mia borsa, vado alla macchina e quasi scappo via. Tornata all’albergo in tutta fretta, mi precipito sotto la doccia e subito dopo scendo alla reception, dove Carmine mi avverte che nel pomeriggio incontrerò l’avvocato. Ci sarà anche Peppino, mi precisa.
Il pranzo scorre veloce; al momento del caffè, mi raggiunge Peppino che mi fa dare una rapida occhiata al documento che hanno stilato per la cessione. Di fronte alle mie esitazioni, mi avverte che ne ha già inviato copia a Brescia, al mio amico avvocato, e che posso sentire anche lui prima di accettare. Lo faccio immediatamente e l’invito ad accettare mi conferma che Peppino è persona degna di fiducia. Mi ritiro in camera e avverto che mi chiamino quando arriverà l’avvocato. Puntualmente, alle tre e mezza vengo avvertita che tutto è pronto; dopo una rapida rinfrescata, scendo in sala e mi trovo di fronte al più tipico esemplare di burocrate che potessi immaginare: l’avvocato della società è una figura grigia in tutti i sensi, dai modi all’abbigliamento, dal linguaggio alle espressioni. Per fortuna è anche molto efficiente e veloce e in pochi minuti la pratica è risolta.
“Allora non mi resta che riprendere la via di casa!” esclamo quasi felice rivolta a Peppino; “Si, anche se noi poi ci rivedremo a Brescia per la sistemazione dell’appartamento.” “Va bene, intendevo solo che, per ora, ci possiamo salutare qui; domattina conto di partire assai presto.” “Buon viaggio, allora!” mi congeda Peppino con un lieve bacio sulla guancia. Vorrei salutare anche Sebastiano ma mi avvertono che è la sua giornata libera e non verrà fino a domani pomeriggio; chiedo a Carmine di salutarlo e mi accomiato anche da lui. Mi ritiro in camera, quasi come rifugiandomi; e ripasso gli ultimi due giorni con la ventata di emozioni che mi hanno portato, dalla “rimpatriata” allo scatenamento sessuale, dal “pellegrinaggio” nel passato alla “quasi vacanza” in un ambiente ancora (per poco, forse) abbastanza vivibile e sereno. Senza molti rimpianti mi preparo al ritorno e comincio a pregustarmi una nuova vita, in condizioni alquanto più serene, nella città che da molti anni è ormai la mia.
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