Il sole batteva sul legno smorto della finestra di quel Motel nella quale, da qualche settimana, alloggiavamo io e i miei genitori. Eravamo finiti lì grazie a mio padre che, a seguito di investimenti stupidi, aveva perso ogni diritto di stare in una casa che ormai apparteneva alle banche. Seduta sul letto e oppressa dal caldo, guardavo quella finestra dalla quale trapelavano fitti raggi di sole; quei raggi scottavano la mia pelle imponendo tutto il suo calore sulla mia persona. Guardavo mio padre crogiolarsi nella disperazione, teneva le mani in tasca e sbraitava contro mia madre che, inerme, stava seduta sulle decadenti sedie di un tavolino rovinato. Lei piangeva ma, senza dire una parola, ascoltava il funesto sfogo del mio genitore che presto sarebbe terminato. Infastidita dal caldo e dalle costanti urla che non mi permettevano di pensare, mi recai alla porta aprendola.
Quando fui nel grosso corridoio, mi accorsi che oltre alle spesse grida di mio padre, non v'era nessuna tipologia di rumore. Presi a camminare lungo quell'interminabile e caldo tunnel di camere, quando fui alla fine vidi una ringhiera, sotto la quale giaceva il parcheggio del Motel, battuto dal calore.
Appoggiai i palmi delle mani a quel ferro arroventato dai raggi del sole e cominciai a guardare l'asfalto fumante che posava al suolo, sotto le gomme delle auto che arrivavano. Persa tra i miei pensieri, presto fui riportata alla realtà da un fievole rumore che proveniva dal mio lato destro. Con gli avambracci posati alla ringhiera e il corpo leggermente chino in avanti, v'era un un uomo di bell'aspetto, sulla cinquantina; stava accendendo una sigaretta che teneva poggiata tra le labbra. Con molta eleganza, elargiva un abito bianco di tutto punto e ai piedi calzava delle scarpe nere in pelle lucida. Interessata da quella figura dai capelli impomatati e brizzolati, cominciai a fissarlo con molto interesse. Lui, lentamente, voltò il capo e prese a guardarmi tenendo la sigaretta al lato della bocca. Il tempo aveva sbiadito i suoi tratti ma senza insultarli e, pur se con qualche ruga, era ancora un bell'uomo. Portò una mano in tasca facendo scomparire l'accendino in essa e, afferrando la sigaretta con due dita e portandola via dalla bocca, mi regalò un sorriso che mi fece intimidire, tanto da voltare il capo e distogliere il suo sguardo. Potei sentire i suoi occhi puntati sulla mia figura quando, con elegante dialettica recitò:
«Un uomo normale, davanti alla fotografia di un gruppo di alunne, se dovesse indicare la più bella, probabilmente, non sceglierebbe la ninfetta. Bisogna essere artisti folli; bisogna essere pieni di vergogna, di malinconia, di disperazione, per riconoscere in mezzo alle altre, il micidiale demonietto. Spicca, tra le ignari compagne, inconsapevole anche lei del proprio fantastico potere»
Imbarazzata da quelle parole rubate a Nabokov, cominciai ad arrossire sottolineando il sudore che segnava il mio corpo:
«Come dice?»
Risposi con tono insicuro
«È una bella giornata per la poetica»
Aggiunse lui, spostando il suo sguardo verso l'orizzonte di macchine che ci si parava dinanzi.
Quando ebbe consumato la sua sigaretta, gettò l'estremità sull'asfalto di quel parcheggio sotto di noi e, fischiettando Paolo Conte, prese a camminare con le mani in tasca verso il suo alloggio.
Senza una determinata ragione, cominciai a seguirlo e, con grande stupore, mi accorsi che sostava nella camera proprio di fianco alla mia. Arrivata alla porta della mia stanza mi fermai a guardarlo, infilò le chiavi nella serratura e girandole mi lasciò un cenno di saluto. Rimasi ferma dinanzi alla mia porta, assorta nei pensieri, posai la mano sulla maniglia po, guardando ancora una volta in direzione della camera di quel misterioso uomo, presi a giocare con il fiocchetto che posava al centro del mio abito. A passo lento e insicuro, cominciai a dirigermi verso quella camera, come attratta da una misteriosa forza di gravità. Mi avvicinai alla porta e, sollevando una mano, cominciai a battere le nocche su quel legno che si spalancò al tocco. Nella camera, l'elegante uomo, posava su una poltrona in pelle di colore grigio. Notai che rispetto al nostro alloggio il suo era più elegante e vivace. «È da molto che vivo qui» Disse lui con lo sguardo fisso alla finestra, seduto su quella poltrona che dava le spalle alla porta sulla quale io ero piantata. «C-come mai?» Risposi con aria intimidita «Cosa può volere un'essere umano alla mia età? Una famiglia; una moglie; una bella e lussuosa casa, penserai. Vedi, piccolo demonietto, io avevo tutte queste cose; il mio spirito da mecenate non poteva accettare quella inutile sicurezza, quel fittizio benessere» Attratta dalla sua dizione, rimasi a fissarlo inerme. Egli, con fare galante, si alzò dalla poltrona dirigendosi verso un vecchio giradischi impolverato e, sollevando il braccio meccanico di quel vecchio aggeggio, disse: «Ti piace la musica?» «S-sì» Pronunciai guardandolo attratta dalla somatica del suo volto Lui sorrise e, con molta delicatezza, posò la puntina su di un vinile che, come per magia, cominciò ad emettere una chiara sinfonia di Chet Baker, priva di alcuna tipologia di disturbo. Presa dalla malinconia di quella travolgente musica, posai lo sguardo sul pavimento di quella camera quando lui, con grande sensibilità, afferrò le mie mani conducendomi in un leggero lento che fece palpitare il mio cuore. Danzando su quelle carezzevoli note, mi stringevo al suo petto posando la testa proprio sopra il suo sterno. Teneva una mano intrecciata nei miei capelli mentre, abbassando il capo, posava delicatamente una delle sue guance sulla mia testa. L'odore del tabacco che posava sulla stoffa del suo vestito, trasportava il mio cervello in uno stato di totale tranquillità. Le sue spesse mani scesero lungo la cerniera del mio abito abbassandola. Quando la stoffa del mio indumento posò al suolo contornando le mie caviglie, potei sentire le sue calde e vissute mani sulla pelle della sua schiena. Egli, come a tempo di musica, cominciò a percorrere le mie spalle e, fermando il tocco su di esse, prese a voltarmi lentamente. Chinando il capo sulle mie spalle, iniziò a baciare dolcemente la mia pelle mentre la sua rasatura solleticava la mia epidermide. Stringendo gli occhi, cominciai ad ansimare a voce bassa mentre, con grande stupore, le sue labbra scendevano verso il mio fondo schiena. Quando fu arrivato in ginocchio, all'altezza del mio sedere, potei sentire le sue mani poggiarsi sui miei fianchi; avvicinando la bocca alle mie natiche, lasciò un leggero morso su di esse. Posai le mani sullo schienale della poltrona e, piegandomi in avanti, diedi a quel magnetico uomo la piena visuale del mio sesso. Posò le sue labbra sulla mia vulva mentre, con delicata eleganza, cingeva le mie natiche percuotendole a tratti. Mordevo le mie labbra nascondendo gemiti agli ignari vicini e, con il corpo bagnato dal sudore, bramavano il pieno possesso della sua lingua e la sua bocca. Posai una mano sulla testa di lui e, chinando ancora di più il petto verso lo schienale della poltrona, spinsi il mio sesso verso la sua bocca. Quando ebbe finito di assaporare la mia fica, si sollevò posando dietro di me in piedi. Voltai il capo atto a guardare le sue azioni e, attendendo intrepida, vidi l'emblematica figura armeggiare con la cerniera dei suoi pantaloni. Tirò fuori il membro della cerniera del suo elegante abito, senza abbassare i calzoni e, con molta indolenza, infilò il suo membro all'interno del mio sesso. All'impatto sollevai il capo osservando la finestra dalla quale trapelava ancora quell'orribile sole pomeridiano. Spalancai gli occhi e la bocca atta ad esprimere dei sordi gemiti che sottolineavano la mia passione. Le sue mani, possenti, scivolavano sulla mia carne sudata fermandosi sui miei fianchi. Il piacere mi travolse quando, con una leggera vena di stupore, potei udire i suoi gemiti ricoprire le mie spalle. Persa in quell'amabile aria di sesso, viaggiavo su pensieri romanticisti e leggère note di Chet Baker quando, ad interrompere il tutto, sentimmo la porta venir percossa da una pesante mano e con forte impeto.

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Categorie: Etero
Tag: Amatoriale