Seduta sul letto, accarezzavo i grani del rosario con la punta del pollice, mentre meccanicamente recitavo quello squallido rituale giornaliero alla quale mi ero sottoposta.
Essendomi, la sera prima, donata a quella presenza soprannaturale, avevo fatto crollare, come struttura fatiscente, tutta la mia credibilità.
Presto mi resi conto che la mia fede, non era altro che mera repulsione. Io, che bramavo le carni di immondi esseri che, durante la notte, venivano a farmi periodicamente visita, decisi di redimermi e reprimere quel sentimento che provavo dentro di me.
Nel profondo del mio cuore desideravo ardentemente sentire quel brivido sulla mia pelle.
Io, che illusa dal miraggio di una vita normale, cercavo di respingere qualcosa che era lì solo per mio volere; per un mio capriccio.
Smisi di pregare e mi sedetti sulla panca davanti allo specchio e, guardando la mia figura in esso, scoppiai in un disperato pianto di liberazione, poi fui attratta da un'irrompente tranquillità.
Non era la calma che viene al seguito della tempesta; non era quella tranquillità che si diffonde nel corpo quando ci si sente protetti o intoccabili. Era la calma che c'è a seguito della rassegnazione, come il silenzio dopo la morte.
Mentre le lacrime squarciavano le mie guance, sollevai la veste portandola sopra il ventre.
Tirai su le gambe, e poggiando i talloni sulla panca, le aprii a svelare allo specchio la mia atroce vergogna. Con la mano destra reggevo la veste ferma contro il mio ventre, con la sinistra massaggiavo il mio sesso, mentre ero fissa sul mio riflesso allo specchio.
Provavo un'immenso piacere, eppure mi guardavo con disprezzo; quasi disgustata. Tirai indietro la testa appoggiandola alle mie spalle e cominciai a guardare il soffitto per sentirmi meno patetica. Strinsi gli occhi, e infilai due dita dentro di me.
Le mie dita, ora umide, scivolavano dentro di me facendomi provare un'immenso piacere. Abbassai lo sguardo verso il mio sesso e dopo aver lentamente estratto le dita dalla mia vulva lasciai, con scatto quasi cosciente, cadere nel palmo della mano il rosario che avevo precedentemente avvolto, a mo’ di bracciale, intorno al mio polso. Guardai il palmo della mia mano e l'argento della croce riflettè ai miei occhi come una scintilla.
Sollevai il capo e guardai di nuovo il mio volto allo specchio. Mentre osservavo i miei tratti offuscati dal risentimento, quasi per punire me stessa, afferrai la piccola croce posta all'estremità della corona, tra l'indice e il pollice, dopodiché la infilai dentro la mia fica.
Con sguardo perso e impassibile, chinai di nuovo il capo sul mio sesso, tutto ciò che vedevo erano i grani del rosario fuoriuscire dalla mia vergogna.
Lasciai pendere il corpo del reato dalla mia vulva e portai le dita della mia mano sinistra nella mia bocca. Con la lingua intrisi i polpastrelli delle mie dita con la mia saliva e cominciai a massaggiare il clitoride, mentre il mio peccato giaceva nella mia vulva donandomi, a tratti, piacere e sofferenza.
Mentre autocommiseravo il mio bisogno fisico, pensavo a Bibiane e a quello che avevo elaborato poco prima su di lei.
Con enorme dissenso, tra perversione e redenzione, terminai il mio atto stringendo le cosce.

Mi sollevai, lasciando cadere la veste prima sulle ginocchia e poi alle caviglie, vidi il rosario cadere sul pavimento madido. Provai vergogna e senza soffermarmi tanto su ciò che era accaduto, mi posai a letto distesa, in posizione prona, con la faccia affondata nel cuscino, come solevo fare nella tenera infanzia; un vero e proprio metodo di protezione.
Affogavo il viso tra quella stoffa, e tutti i miei problemi, apparentemente, erano nulli. Tuttavia, era passato molto tempo, e quelli che allora erano semplici capricci o puerili problemi, erano mutati col passare del tempo in qualcosa di ben più grande e importante.
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