Già da un po' guardavo l'orologio affisso alla parete, con le mani congiunte in preghiera.
Posta sull'inginocchiatoio, cercavo di redimire; ripulire i miei peccati.
Mentre nell'aria risaliva un'olezzo di zolfo, rimembravo ancora il giorno in cui presi i voti.
Quel giorno in cui, per ripulire il presunto peccato, decisi di diventare schiava della fede.
Sentivo la sua lussuriosa presenza calare sulle mie spalle. Io, con fare nervoso, costruivo
la mia supplica a quella dottrina alla quale mi ero regalata anni prima, con l'incomensurabile
speranza di evitare di tornare a peccare.
Tremavo, e supplicavo a voce bassa tenendo le labbra attaccate alle mani congiunte.
Tuttavia, sentivo di non poterla fermare, nessuno avrebbe potuto.
Le sue lunghe dita scivolavano sulle mie spalle, ed improvvisamente avvertii quel freddo che la
caratterizzava.
Le sue mani si riversavano verso i miei seni, passando dal mio petto. Con un fugale e sbadato gesto,
dovette intercettare con uno dei polpastrelli, il grosso crocifisso che portavo al collo, poiché
per un'attimo gemette di dolore. La sentii chiaramente digrignare i denti, poi una fievole risata
smosse i miei pensieri.
Con scatto felino afferrò il crocifisso, ed io presa alla sprovvista chinai il capo e spalancai
gli occhi! E così, vidi la sua mano. La sua pelle era grigiastra, senza colore e pure sembrava
così liscia. Vidi chiaramente risalire del fumo dalla sua stretta, dopodiché strappò via con
forza il mio pendente, scaraventandolo a lato opposto della stanza.
Coprì i miei seni con le sue mani, e afferrando la stoffa del mio abito religioso, lo squarciò
con immensa facilità.
Sentivo il sudore della mia fronte rigare le mie guance, mentre lei mi teneva una mano sulla gola
e leccava il lobo del mio orecchio.
Spogliata dei miei abiti, ebbi terminata la mia inutile supplica.
Cessai il mio soliloquio e decisi di voltarmi, per guardarla! Per la prima volta. La luce della
mia cella era soffusa; quell'antro illuminato solo da una candela mi impediva la piena visuale
dell'essere che voleva possedermi ad ogni costo.
Con molta difficoltà, riuscii ad intravedere il suo volto.
I suoi lunghi e ricci capelli le coprivano le guance, era molto giovane. Mi soffermai sulle sue
labbra, scarlatte come il peccato. Era bellissima, fui affascinata dalla sua immensa bellezza.
Dopo qualche fugale sguardo, la vidi sorridere e fu lì che scorsi i suoi occhi.
Erano completamente bianchi come neve, li osservai per un po'.
Era coperta con un prominente abito rosso -come le sue labbra- con un'abbondante scollatura
dalla quale strabordavano i suoi seni.
La vidi in piedi al mio cospetto, era così possente!
Io, ora a carponi sul pavimento della mia cella, chinai inspiegabilmente il capo al suo confronto,
quasi in segno di rispetto; totale obbedienza.
Mi sedetti, di mia spontanea volontà, sul poggia ginocchia dell'inginocchiatoio e con timido fare,
allargai le gambe.
La sua folta e riccia chioma, giaceva tra le mie cosce mentre la sua lingua leccava il mio clitoride
con prominenza.
Totalmente abbandonata al piacere gemevo, mentre negli attimi di coscienza rivolgevo lo sguardo
al cielo, sussurrando: <>
In quei momenti, potevo scorgere i suoi vitrei occhi puntati verso di me! -Non essendo dotata di
pupille, non posso garantire che mi osservasse, eppure io avevo il sentore che fosse così-.
Con le ultime forze, tolsi il velo dalla mia testa, l'unico indumento che mi era rimasto! Indumento
che, con grande dolore, riconduceva alla mia redenzione.
La sua lingua era dentro di me! E rivoltando gli occhi, cominciai a gemere con grande fervore, mentre
toccavo i miei seni.
Sentivo il mio corpo sempre più debole, come se quella succube che da anni mi faceva visita, mi
stesse progressivamente leccando via tutte le mie energie.
Quando fui stremata, raccolta sull'inginocchiatoio in posizione quasi fetale, la sentii ridere.
Guardai il suo viso, ma non trapelava nessuna smorfia da esso! Eppure, io la sentii ridere.
Trovai nella mia gola, la forza per lasciar trapelare qualche involontaria parola: <>
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