Non sapeva più da quanto tempo fosse lì sotto, nelle segrete del castello della Capitale. Era stato spogliato della sua armatura e trascinato lì sotto, rivestito di una grezza tunica marrone. La cosa più simile ad una cortesia riservata ai nobili arrestati. L’umidità riempiva l’aria e aumentava la sensazione di freddo che pervadeva il suo corpo. Una corta catena gli stringeva il collo, bloccandolo al muro con un pesante anello che sporgeva dal freddo muro di mattoni. Era stato incatenato lì, in un angolo, da ormai un tempo incalcolabile. Non era stato chiuso in una cella, ma era stato gettato in un angolo buio. Nelle segrete, scavate sottoterra, non vi era nemmeno uno spiraglio che mostrasse il sole o la luna, che desse idea dell’orario. Lorenzo cercava di calcolare il tempo che passava col numero dei soldati che si alternavano su Giulia. La ragazza era stata chiusa in una gogna rivolta proprio verso il Barone, in modo che i due potessero guardarsi. Il suo corpo tonico era nudo. Il suo capo biondo ormai cadeva verso il basso, ormai sfinita dalla stanchezza e da ciò che stava subendo. Sotto gli occhi di Lorenzo c’era la ragazza piegata dalla gogna che le bloccava collo e polsi e un soldato, alle sue spalle, che abusava di lei stringendole con forza i fianchi. Da quando erano stati rinchiusi lì, dopo essere stati imprigionati sul campo di battaglia, non avevano smesso nemmeno per un secondo. Una lunga fila di soldati che si perdeva dietro l’angolo del muro delle segrete attendeva il proprio turno. Con pazienza attendevano, nella loro armatura e con l’elmo integrale. Si scambiavano commenti volgari, umilianti. All’inizio lui aveva urlato di smetterla, che erano dei vigliacchi, ma loro lo avevano deriso. Alla fine si era rassegnato a contarli, per avere almeno un’idea del tempo che trascorresse. Era a 117.
Giulia era ormai sfinita. Le facevano male i fianchi, che i soldati stringevano con forza per darsi maggiore spinta. Le bruciava la vagina, continuamente sfregata dai grossi e duri membri dei soldati che si alternavano senza sosta. Sentiva lo sperma scorrerle dall’inguine, in mezzo alle cosce, sui polpacci, fin sui piedi, per poi fermarsi in una pozza che ormai si era formata sotto di lei. Tutti glielo infilavano dentro, nel suo sesso ormai arrossato, e poi schizzavano in lei tutto il loro piacere. Alcuni l’avevano penetrata anche analmente, con una violenza intollerabile, con il chiaro intento di farla soffrire. Per fortuna erano stati pochi però. Tutti gli altri avevano preferito scoparsela e basta, umiliandola, chiacchierando tra loro, trattandola come un buco di carne per il loro piacere. Inizialmente le era quasi piaciuto. Aveva chiuso gli occhi ed aveva pensato di godersi il cazzo del soldato che se la stava scopando. Era grosso e duro, e la forza e la decisione con cui la penetrava la faceva eccitare. Anche il secondo era stato così. Conscia di non potersi opporre si era lasciata trascinare dal piacere. Poi il terzo. Il quarto! Pian piano aveva perso il conto e al piacere era sopraggiunta l’umiliazione e il dolore. Si sentiva completamente ricoperta di sperma, tra le gambe fino ai piedi. Le piante nude erano inumidite da quella sostanza appiccicosa, e il pavimento si era reso scivoloso. L’odore penetrante di quel liquido biancastro era ormai opprimente. Ogni volta che il membro dentro di lei entrava, con forza, qualche schizzo precedente fuoriusciva e si riversava lungo le sue cosce, lentamente, facendola sentire sporca. Ma il dolore per la vagina, ormai arrossata ed irritata dal continuo sfregare non le dava tregua. Sfinita ormai, il suo capo penzolava dalla gogna, quasi inerme, stringendo denti e chiudendo gli occhi, sperando che quell’abuso infinito trovasse una fine. Il grosso membro del soldato era lievemente arcuato verso destro, e sfregava con più insistenza su quel lato del suo sesso, accentuando il dolore da quella parte. Lo sentiva dentro di se, entrare e uscire. Alle volte più lentamente, alle volte più velocemente. In quest’ultimo caso aveva degli spasmi di dolore così forte che piegava un po’ la schiena, come nel tentativo di sottrarsi, ma le mani forti del soldato si chiudevano sui suoi fianchi arrossandoli, tirandola a se, per non farla fuggire. Ogni tanto le dava un violento schiaffo su una delle due natiche, ormai arrossatissime.
- Guarda cosa faccio - disse il soldato che se la stava scopando, girandosi verso quello dietro di lui, prossimo nella fila. Lentamente sfilò il pene dalla vagina della prigioniera e le assestò un poderoso schiaffo su di una natica. Poi le infilò il membro nell’ano. Fu un’operazione molto delicata. Giulia si sorprese per la gentilezza con cui si era fatto spazio dentro di lei, muovendosi poi, pian piano, avanti e indietro. Le bruciava anche quel buchetto, comunque, ma almeno sembravano gentili i modi assunti dal soldato nell’incularla. Non capiva quali fossero le sue intenzioni, cosa stesse per fare. Poi improvvisamente sentì il cazzo di lui riversare in lei una sostanza molto liquida e molto calda. Un flusso continuo. Un getto costante lasciato fuoriuscire mentre il pene era completamente infilato nel suo culo, riempendole l’intestino. Impiegò poco per capire che il soldato le stava urinando nell’ano. Chiuse gli occhi con più forza, mugugnando per la vergogna e l’umiliazione. Il soldato gemeva di piacere mentre svuotava la propria vescica dentro la donna, usandola nel modo più basso possibile. Si sentì riempire da quella sostanza calda e liquida, mentre il soldato manifestava la propria soddisfazione. Sentiva lo schizzo dentro di se, nella sua carne. Poi il soldato lentamente uscì, lasciando che uno zampillo di urina sgorgasse dall’ano della donna, disegnando un piccolo arco che lentamente si abbassò. Alla fine un piccolo fiumiciattolo di urina si riversava dal culo di lei, percorrendo lo stesso percorso dello sperma, sull’inguine, nell’interno coscia, fino ai polpacci e poi sotto i piedi, aumentando le dimensioni della pozzanghera che ora era molto più ampia e maleodorante.
- Le hai pisciato in culo - si lamentò il soldato dietro, di cui veniva il turno - Non pisciare dove dobbiamo infilarlo tutti, stronzo - lo apostrofò, come parlasse di un oggetto ad uso di tutti, di un bene comune.
Giulia sentiva l’urina calda colarle lungo le cosce, fino ai piedi ormai avvolti da sperma e piscio. A Suddia aveva si era fatta fare di tutto da praticamente chiunque, ma non si era mai sentita così sporca e umiliata, così schiava e puttana. Non ebbe il coraggio di alzare la testa a guardare Lorenzo, mentre un altro soldato le infilava il suo cazzo nella vagina, con l’ano ancora grondante urina.
Il Barone la guardò sconsolato. 118, pensò.
- Barone, come va? - il tono canzonatore era di Mikela, la sua aguzzina, che si avvicinava sorridendo come al solito. Guardò la lunga fila di soldati annuendo soddisfatta.
- Come andiamo qui? - domandò ponendo due dita sotto il mento di Giulia, costringendola ad alzare il capo - Il primo plotone è a metà! Ce ne sono altri nove che attendono. 2000 uomini in tutto
Mikela sembrava soddisfatta della sua idea, della sua maligna punizione. Il volto di Giulia era sfinito e profonde occhiaie le solcavano il volto. Non reagì a quella notizia, ma appena l’aguzzina tolse la mano, lasciò cadere nuovamente il capo verso il basso, tra i gemiti dell’uomo che la stava penetrando ancora.
- Barone però dovresti rispondermi sai? - continuò Mikela, con tono provocatore. La ex schiava indossava un tubino di pelle che le copriva a mala pena il prosperoso seno e fasciava il tondo sedere. Il suo volto era più maligno che mai e nel suo sguardo brillava una luce inquietante.
- Perché non accetti la punizione com’è giusto che sia? - domandò ancora la schiavista accovacciandosi vicino a lui, mostrando così di non indossare biancheria sotto il vestito di pelle - Potrei trovarti anche una punizione divertente per entrambi sai?
Lorenzo non dava cenno di risposta, guarda Giulia con i suoi biondi capelli a coprirle la testa. Mikela lo afferrò per i capelli corti e indirizzò verso di se il volto di lui.
- Guardami quando ti parlo schiavo - disse, per poi sputargli in faccia con disprezzo - Questo è solo l’antipasto, ti prometto che la tua punizione farà storia
Era una minaccia che non prometteva nulla di buono. Quella donna maligna aveva dimostrato di saper essere sadica oltre ogni immaginazione.
- Io non ho fatto nulla di male - rispose alla fine Lorenzo - Ho cercato di eliminare un tiranno
- Ti sei ribellato ad un sovrano illuminato, che nella sua magnanimità perdona tutti, dopo una giusta punizione - Mikela non poté fare a meno di pensare all’agonia che le era stata imposta per essersi fatta sfuggire Mikael sotto il naso. Aveva pagato il suo errore e poi era stata rimessa al suo lavoro. Le schiave che avevano avuto il loro momento di gloria, abusando di lei mentre era incatenata, si erano probabilmente amaramente pentite di quello che avevano fatto. Mikela le aveva infatti fatte stendere tutte in una vasca nella caserma, legate e imbavagliate, ed ora quella vasca era usata come urinatoio da tutti i soldati.
La schiavista si sporse verso il corpo di Giulia, guardando il suo culo stretto nella morsa del soldato che la stava penetrando e le sue cosce ricoperte di sperma. Sorrise compiaciuta nel suo sadismo.
- Non vorrei allarmati cara, ma sei un po’ sporca - disse ridendo divertita. Lorenzo la guardò senza fiatare, mentre Giulia rimaneva inerme con il capo chinato. Mikela fece un cenno ad una delle guardie che la accompagnavano, facendosi portare un secchio d’acqua fredda. Senza alcun preavviso lo svuotò sulla testa di Giulia, costringendola a destarsi di colpo. La ragazza alla gogna ansimava sconvolta, tra il dolore della vagina arrossata e dolorante, ancora penetrata, e il gelo che le aveva avvolto il capo e l’aveva costretta a ridestarsi.
- Guardala bene verme - disse Mikela verso Lorenzo - Se non implori pietà all’Imperatore, la tua sorte sarà molto peggiore
In quello stesso istante il soldato svuotò tutto il suo sperma nel sesso di Giulia, con un urlo di liberazione e spingendo con forza tutto il membro dentro il corpo di lei. La ragazza sgranò gli occhi subendo quel nuovo carico di seme che le schizzava dentro, riempiendola ormai all’estremo. Il fiotto iniziò subito a colarle lungo le cosce, aggiungendosi all’enorme quantità che già la sporcava. Un attimo dopo un altro soldato prese il suo posto, direzionò la cappella verso la vagina di lei e spinse con forza.
119, pensò Lorenzo.

L’Alchimista attraversò il lungo corridoio del suo vasto castello arroccato sui monti del profondo nord. Era diretto agli alloggi delle sue amanti, con un passo lento e annoiato. Dietro di lui, lo seguiva un corteo di una decina di schiavi, uomini e donne, tutti nudi e vestiti solo di una maschera in ferro integrale, dalle fattezze amorfe, che avvolgeva anche la nuca, chiudendosi alla gola. Era un unico blocco di metallo, impossibile fa sfilare, con due buchi sugli occhi, due sul naso e un buchetto all’altezza delle labbra. In breve il gruppetto attraversò l’ampia porta che chiudeva il salone centrale riservato alle amanti, e si mostrò alle donne lì in attesa. L’Alchimista si mostrava come un omone alto quasi due metri, molto robusto, con addosso una pesante tunica nera ricoperta di bottoni e tasche. Un cinturone gli stringeva la generosa vita, da cui pendevano numerose boccette e flaconi misteriosi. Il suo volto era tondo e largo, ricoperto da una capigliatura nera selvaggia, ma tagliata piuttosto corta. Le donne nel salone centrale lo accolsero con gioia, concentrando tutte le attenzioni su di lui. Non vi era una donna uguale ad un’altra in quello stanzone lussuoso e coperto di arazzi, piante e con una grande fontana al suo centro. Una donna dalla carnagione nera gli si avvicinò. Avevi i capelli scuri, crespi, che le cadevano sulle spalle. I suoi occhi erano completamenti neri, rivestendola di mistero. L’unico abbigliamento che si era concessa era un cinturone formato da anelli d’oro, stretto sulla vita, troppo piccolo per scivolarle giù dalle anche. Il seno generoso era sormontato da capezzoli scuri. Si avvicinò all’Alchimisti ancheggiando ampiamento, muovendo il suo sedere morbido e carnoso.
- Mio Signore - implorò con una voce calda e avvolgente - Scegli me per oggi.
Subito dopo anche un’altra donna gli si avvicinò. Aveva la carnagione chiara e i capelli di un rosso accesso erano composti da numerosi boccoli. Un abito bianco sorretto da sottili spalline le cadeva sul corpo, fino alle ginocchia, ma si dimostrava così trasparente da sottolineare subito la nudità della donna sotto lo stesso, accentuata dai capezzoli appuntiti dei tondi seni sodi.
- Mio Signore - disse quest’ultima rivolgendogli un ampio sorriso che rendeva omaggio ad un paio di grandissimi occhi verdi - È più di un mese che non scegli me!
Molte altre donne si unirono al coro, senza però avvicinarsi. In un angolo, accovacciata sotto una piccola palma nana, vi era una donna giovanissima, dai capelli bianchi e lisci che le incorniciavano un volto indecifrabile, su cui spiccavano due occhi di un rosso vivo e fiammeggiante. Solo un lembo di stoffa bianca la ricopriva, appoggiata su di una spalla coprendo solo uno dei due gentili seni, carnosi e rivolti verso il basso. Su di una panca, sedeva una donna dalla carnagione chiara come il latte, sottile come un giunco. I capelli neri erano raccolti sopra la testa in un’elaborata pettinatura bloccata da diversi spilloni. Il taglio degli occhi era allungato, come due sottili fessure. Seni accennati facevano capolino da sotto un chimono lasciato aperto sul davanti. Stava leggendo una pergamena, che ora aveva lasciato cadere al suolo, concentrando l’attenzione sull’omone appena entrato. Ancora vi era in un angolo una donna con gli occhi da felino e orecchie da gatta a spuntarle dalla folta capigliatura castana. Completamente nuda, era seduta al suolo, con una lunga coda avvolta intorno ad una coscia. Un’altra aveva i capelli colorati di un’infinità di colori, ogni ciocca diversa dall’altra, con le labbra dipinte di verde e gli occhi avvolti da trucco arancione. Indossava solo una magliettina di una fantasia arcobaleno e un paio di stivali viola lunghi fino a metà coscia. Da uno dei corridoi che si affacciavano sullo stanzone fece capolino una donna giunonica, alta oltre due metri. Capelli biondi e lunghi le cadevano liscissimi sulle spalle, incorniciando un volto deciso da cui spiccavano occhi di ghiaccio. L’armatura che indossava era minimalista e nascondeva a mala pena le forme abbondanti. Altre sedevano nello stanzone e altre ancora sopraggiunsero sentendo l’arrivo dell’Alchimista, e tutte dimostravano apertamente il desiderio nutrito per quell’uomo, chiedendo di essere scelte. Gli schiavi nelle loro maschere di ferro si disposero intorno al loro padrone, in semicerchio, in attesa di ordini, con il capo chino verso il basso. L’Alchimista camminò nella sala, senza una parola, facendosi largo tra le varie amanti accorse verso di lui che, con rispetto e adorazione, si facevano da parte per permettergli il passo. I pesanti e lenti passi lo condussero fino ad una donna, seduta si di una piccola seggiola, in un angolo. Aveva i capelli viola, lunghi e mossi, così come gli occhi e le labbra. La sua carnagione era chiara e il suo corpo aveva delle forme dolci e delicate. Non vi era eccesso, ma solo perfezione.
- Ancora lì siedi? - chiede l’Alchimista con una voce profonda e roca.
- Si Mio Signore, come ti avevo giurato
- Quanti giorni sono che siedi lì?
- Tre giorni. E resterò qui finché non mi sceglierai - la donna alzò il capo fissandolo negli occhi, con quel suo sguardo tanto particolare.
Un’ombra attraversò il volto dell’uomo, forse era un sorriso. Con un cenno della mano le fece cenno di seguirlo, scatenando la delusione di tutte le altre amanti dell’harem. La donna si alzò lentamente dalla sua sedia, forzando le gambe stanche e doloranti per via dell’immobilismo degli ultimi giorni. L’operazione richiese diversi secondi. La donna infatti, man mano che si alzava, si sfilava dall’ano un cilindro doppio quanto il polso di un uomo che sporgeva, verso l’alto, nel mezzo della seggiola. L’oggetto era incredibilmente lungo e spesso. Quando finalmente si fu alzata, il suo ano era completamente dilatato, rendendo quasi possibile guardare il suo interno senza doverlo dilatare ancora. Era stata seduta tre giorni con quell’oggetto infilato, senza battere ciglio, tutto ciò solo per ottenere di essere scelta dall’uomo che desiderava. L’Alchimista superò rapidamente la porta che dava sul salone centrale, avviandosi lungo il corridoio. La donna, alle sue spalle, lo seguiva con qualche difficoltà dovuta ai dolori delle gambe e all’ano. Era costretta a camminare con le gambe lievemente divaricate per via della incredibile dilatazione che si era inflitta. In chiusura, si misero il piccolo drappello di schiavi, come sempre silenziosi nelle loro maschere di ferro.
- Violet, sei sempre una sorpresa! Non mi deludi mai - disse l’Alchimista.
- Grazie Mio Signore! Tutto per appagarti - rispose la donna camminando dietro di lui, sempre con le cosce lievemente divaricate.
Mentre il piccolo corteo attraversava il lungo corridoio, venne intercettato da uno schiavo con la maschera di ferro, che giungeva dalla direzione opposta.
- Mio Padrone, due donne vogliono parlarti. Sono insistenti - la voce metallica e ovattata dello schiavo aveva un accento di paura nelle parole.
L’Alchimista fulminò con uno sguardo lo schiavo, ma alla fine annuì debolmente e indirizzò i suoi passi alla sala delle udienze.
La sala delle udienze era un grosso salone al cui centro spiccava una scrivania massiccia e ricoperta di strani bottoni e leve. Alle spalle della scrivania un trono mastodontico intarsiato di oro e gemme. Fu su questo che l’Alchimista andò a sistemarsi, con lentezza. Dall’altra parte della sala, attendeva in silenzio Cunya e Zoe. Le due ribelli erano state spogliate delle loro armi. Ora attendevano in silenzio di essere accolte in udienza. La Saggia era nuda, come sempre, con i capelli biondi tirarti indietro sul capo. Zoe, invece, aveva un’armatura leggera in cuoio.
- Cosa diamine siete venute a fare? - disse subito l’Alchimista aggressivo.
Violet si fermò al suo fianco, posandogli una mano sulla spalla affettuosamente. Gli schiavi si disposero alle sue spalle, in attesa di ordini e istruzioni.
Cunya osservava i loro occhi, scrutarla da dietro le maschere. Era una visione inquietante. Uno di loro aveva un pene ridicolmente piccolo che, moscio, pendeva come un vermiciattolo in mezzo alle sue gambe. Un altro, invece, aveva un affare lungo e largo che dondolava ritmicamente ad ogni suo movimento. Chissà quanto sarebbe stato grosso una volta in tiro. Anche le donne erano dotate in maniera differente. Una delle schiave aveva due seni grossi ma cascanti. Un’altra aveva un petto appena appena accennato. Un’ultima, invece, aveva due seni enormi, più grandi anche di quelli della Saggia, rivolti verso il basso ma per nulla cadenti.
- Siamo venuti a chiedere il tuo aiuto - disse finalmente Cunya con tono deciso, guardando negli occhi l’Alchimista. La voce rimbombò per alcuni secondi nella vasta sala dall’altissimo soffitto. L’uomo la guardò senza rispondere. Si limitò ad afferrare un campanellino sulla scrivania. Con un gesto del polso lo suonò un paio di volte, quindi attese.
Le ribelli attesero per diversi secondi. L’Alchimista non dava cenno di voler rispondere.
- Forse ti abbiamo disturbato nel momento sbagliato - azzardò Zoe con un tono senza dubbio spaventato.
Un attimo dopo fecero il suo ingresso un’altra schiava con in mano una strana boccetta di terracotta, che poggiò sulla scrivania per poi allontanarsi rapidamente. Anche quest’altra indossava la maschera di ferro.
- Non so se vi aiuterò - finalmente l’Alchimista ruppe il silenzio - Ma se volete essere ascoltate, dovete pagare un tributo! Il mio tempo è prezioso
Cunya e Zoe si guardarono per un attimo, interdette. La Saggia scosse le spalle per un attimo - Non abbiamo portato nulla con noi. Non sappiamo cosa darti
- Qualcosa potete fare - l’Alchimista indicò la boccetta alle due donne, con la mano destra ricoperta di anelli d’oro e gemme - Una delle due beva questa pozione! L’ho creata oggi e ancora non sono certo funzioni bene! Mi serve una cavia.
Le ribelli si guardarono per un istante. Zoe era impietrita dalla proposta, mentre la Saggia sembrava molto risoluta e convinta.
- Zoe, bevila - comandò infine, ponendo una mano dietro la schiena della guerriera e spingendola in avanti.
- Ma sei impazzita? - la ribelle quasi urlò voltandosi verso Cunya - Non voglio fare da cavia per nessuno!
- È un ordine - rincarò l’altra con uno sguardo deciso - O te ne pentirai.
Zoe guardò il Capo dei ribelli, poi guardò l’Alchimista. Si trovava tra due fuochi. Sebbene l’Alchimista la spaventasse di più, alla fin fine il ritorno doveva farlo con Cunya. Tutto sommato, poi, non aveva idea cosa ci fosse nella boccetta, poteva anche essere qualcosa di positivo. Sapeva che quell’uomo creava miscugli dalle incredibili capacità.
- Forza! - incalzò Cunya. A questo punto Zoe cedette. Si avvicinò al tavolo e afferrò la boccetta. La aprì. Ebbe solo un attimo di indecisione, quindi la ingoiò tutta d’un fiato.
Per alcuni secondi non accadde nulla. L’Alchimista guardava Zoe. Cunya guardava Zoe. Violet guardava Zoe. Gli schiavi guardavano Zoe. Tutti in attesa, incuriositi da ciò che potesse accadere. Il tempo sembrò rallentare mentre la donna che aveva appena bevuto la pozione si guardava intorno, senza saper che fare, cosa aspettarsi. Poi accadde.
Iniziò a provare un forte dolore allo stomaco, tale da farla accasciare sulle ginocchia. Il dolore era forte, intollerabile. Lentamente sentì l’armatura di cuoio stringerla, tanto da farle male. Iniziò a slacciare i bottoni e le cinghie, rapidamente. In pochi secondi era nuda, al suolo, stringendo le braccia sullo stomaco che bruciava. Il dolore lentamente si spostò al petto. Le sembrò che il suo seno andasse in fiamme, come se un acido lo consumasse. Abbassò il capo per guardare cosa stesse succedendo, e lo vide ridursi, fino a diventare nient’altro che due pettorali. Poi fu la volta del viso. Le ossa iniziarono a farle male. Sembravano allungarsi e restringerli, cambiando posizione, rivoluzionando i lineamenti. Il dolore transitò su tutto il corpo, modificando le ossa e i muscoli. Alla fine una vampata incredibile avvolse il suo inguine. La sua vagina bruciava in maniera intollerabile. Quando si guardò in mezzo alle gambe vide il suo sesso chiudersi, definitivamente, formare una barriera unita di carne. Il suo clitoride, al contrario, iniziò a crescere. Si allungò oltre i venti centimetri. Una gonfia cappella si espanse sulla sommità e poi due testicoli si formarono alla base.
Cunya, Violet e gli schiavi guardavano sconvolti la trasformazione che stava interessando Zoe. L’Alchimista invece annuiva compiaciuto. Alla fine la donna si ritrovò al suolo, dolorante, ormai uomo. Al posto della guerriera vi era un uomo. Il capo era ancora rasato e privo di capelli. Al pari i suoi occhi erano ancora grandi e neri. Ma per il resto era una nuova persona. Non riuscì a dire nulla. Non sapeva cosa dire.
- Bene - l’Alchimista ruppe il silenzio - Ha funzionato! Cosa devi chiedermi?
La Saggia alternò lo sguardo tra Zoe e l’uomo oltre la scrivania. Lo guardò diversi secondi in silenzio, per riordinare le idee dopo la sconvolgente scena appena vista.
- Noi vogliamo uccidere l’Imperatore, ma lui ha ucciso mia figlia Anya, l’eletta! E senza di lei non sappiamo come fare
- Uccidere l’Imperatore? Non voglio avere a che fare con le vostre beghe da quattro soldi - liquidò subito l’uomo - Ma non preoccuparti. L’eletta è ancora viva, e non era tua figlia
Cunya non fu particolarmente turbata da quella frase. In cuor suo aveva sempre sospettato non fosse lei. Eppure incalzò, buttando un occhio su Zoe che, a terra, si contorceva cercando di scacciare il dolore del cambiamento.
- Come fai a saperlo?
- Non ti riguarda, e non osare mai più rivolgerti a me così - rispose l’Alchimista con un tono piuttosto alterato - Fattene una ragione per tua figlia, lei non tornerà. Ma se vuoi, posso mettere a tua disposizione un’arma che farà la differenza nella tua guerra
- Che arma? - domandò Cunya con un tono ben più accomodante - Ti prego, sarebbe la nostra ultima speranza
- Non è ancora pronta, ma lo sarà a breve - rispose l’altro mentre un’ombra attraversava il suo volto, come un sottile sorriso - Intanto potete essere miei ospiti, così potrò ben pensare cosa chiedere da voi come ricompensa
Non suonava come una proposta, piuttosto come un’affermazione semplice e netta. La Saggia si limitò ad annuire. Zoe lentamente si stava riprendendo. Essere in un corpo maschile era strano. Non riusciva ad abituarcisi. Era lievemente più grosso di quanto non fosse prima. Il pene tra le sue gambe pulsava in tensione. Alzò gli occhi su Cunya e gli venne voglia di infilarglielo ovunque, nonostante la sua mente ripeteva che non era giusto.
- Un’ultima cosa! Devo assicurarmi che la trasformazione sia riuscita perfettamente - disse l’Alchimista buttando un occhio su Zoe, steso a terra ancora - A livello sessuale intendo! Fallo venire
La Saggia capì che si trattava di un ordine più che di una richiesta. Ingoiò il proprio orgoglio e si avvicinò al ribelle steso a terra.
- Cosa? No! io non voglio - Zoe cercò di lamentarsi, di alzarsi per impedire ciò. Cunya gli fu addosso in un attimo. Mentre cercava di rialzarsi poggiando le braccia al suolo, la donna gliele calciò atterrandolo nuovamente. Non fece nemmeno in tempo a lamentarsi dal dolore, che lei gli si sedette sul viso, inginocchiandosi sulle sue braccia. Avambraccio e bicipite del guerriero erano bloccati sotto gli stinchi della Saggia. Il suo volto era pressato dalla grande vagina di lei, quasi fino a togliergli il respiro.
- Leccami - ordinò Cunya chinandosi in avanti, facendo forza sulle braccia.
Zoe si sentiva sottomesso e oppresso dal peso e dalla presenza di lei. Non osò opporre resistenza. Nonostante lei sedesse letteralmente sulla sua faccia, tirò fuori la lingua, cercando di leccarle il sesso. Il suo naso era appoggiato all’ano di lei e respirava a fatica. Improvvisamente avvertì il proprio pena afferrato. Sentì la mano della donna scorrere lungo l’asta. La sensazione era piacevole, incredibilmente piacevole. Cunya si portò la mano alle labbra e si sputò sul palmo, per poi continuare a masturbarlo.
Violet intanto sentiva le labbra bagnarsi a quella visione. Ancora sostava in piedi, accanto all’Alchimista, con le gambe leggermente divaricate e l’ano dilatato. Pensò che se il suo signore in quel momento avesse desiderato sesso anale, sarebbe riuscito ad infilarglielo dietro senza fare nessuna fatica. L’idea di essere subito disponibile la eccitò ancora di più.
Intanto Cunya aveva iniziato a succhiare il pene di Zoe, avvolgendo la cappella tra le proprie labbra. Per il guerriero fu una sensazione del tutto nuova, incomprensibile e magnifica. Sentiva l’umida lingua avvolgergli il glande disegnando rotazioni, poi le labbra morbide salire e scendere solleticando la corona. Più lei succhiava e più lo sentiva gonfiarsi nella sua bocca. Finalmente Cunya spostò il suo sedere carnoso dal volto di Zoe, portandolo lievemente più avanti. In questo modo il naso era più libero di respirare e la bocca e la lingua si impegnarono a leccare l’ano della donna, carezzandolo con cerchi rotatori per poi cercare di violarlo affondando al suo interno. Iniziò a sentire le braccia addormentarsi, schiacciate sotto le gambe della Saggia, ma la sua mente era troppo incentrata nel pompino che stava ricevendo. Pian piano la donna affondava sempre di più le labbra, arrivando sempre più in basso, oltre la metà dell’asta. Le mani di lei massaggiavano i testicoli e il perineo, per poi soffermarsi sull’ano, giocherellandoci con l’indice, disegnando cerchi lentamente per poi stuzzicarlo con lievi penetrazioni. Zoe mugugnò quando il piacere diventò più intenso. Avrebbe voluto parlare, dire qualcosa, ma lei gli spingeva il culo sulla bocca, impedendogli di parlare. Gli sembrava che il pene si riempisse, o qualcosa del genere. Non capì cosa stesse succedendo finché non si rese conto che dal suo glande erano partiti diversi fiotti di sperma nella bocca di Cunya. La donna prese il seme senza battere ciglio. Alzò lentamente il capo facendo sempre aderire le labbra al pene e alla cappella, per evitare che qualche goccia si riversasse fuori dalla sua bocca. Si rigirò quella sostanza nella bocca, assaporandola con la lingua. Infine ingoiò.
- È venuto - confermò verso l’omone oltre la scrivania.
- Non ho visto lo sperma - rispose contrariato l’Alchimista - Fallo venire di nuovo.

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