Se Amalia si metteva in testa una cosa, presto o tardi la faceva. Era sempre stato così e, di fatti, non tardò ad arrivare il giorno in cui attuò il suo proposito di rimproverare il giovane portalettere. Attese che citofonasse e poi via, si precipitò all'ingresso del villino principiando la sua bella ramanzina fatta di invocazioni al rispetto per le donne e minacce di inoltrare reclami al direttore dell'ufficio postale se avesse osato ancora una volta chiamarla “Signora Porcona”. Sebbene così piccola al cospetto della sagoma imponente di Antonio, Amalia sembrava furibonda, s’agitava, gesticolava con le mani che, più volte, salirono verso il cielo e riscesero sui suoi fianchi, strette in pugni, tra la camicetta e la cintura dei jeans. La donna non formulò parolacce, non era nel suo stile farlo, ma quel rimprovero le era riuscito egualmente così severo che la figura muscolosa ed alta di Antonio s'era fatto piccola piccola ed una tenera aria di innocenza ombreggiava il faccione del giovanotto.

"Mi perdoni, ascolti, mi perdoni. Il mio voleva essere un complimento, mi scusi signora De Porconis, sul serio. Non sbaglierò più il suo cognome. Ho bisogno di questo lavoro e poi lei... lei è così bella che mi sono lasciato andare, mi perdoni...".

Si palesò un lato caratteriale del portalettere sconosciuto sino ad allora ad Amalia. La signora De Porconis, quelle implorazioni così dolci, da uno come Antonio, non se le sarebbe mai aspettate. Capì che forse aveva esagerato, che, del resto, quello del postino era stato solo un apprezzamento e si dispiacque ora di vederlo svilito e demoralizzato. Pensò quindi di scusarsi come solo lei poteva fare: "Antonio sei dolce e sei un bravo ragazzo. Forse ho… esagerato…”, disfece i pugni, prese le sue mani tra le dita e lo portò con sé, distante appena qualche metro dall’ingresso, in un’area scurita dall’ombra di un olivo del giardino: “Che ne dici se… ti tiro un po’ su?”. Sorrise maliziosa lasciando le mani del postino e conquistando la patta della sua tuta da lavoro.

Nessuno dei due si accorse della figura bronzea che assistette al fatto dall’alto. Pietro, richiamato dal tono della ramanzina al balcone della camera matrimoniale che s'affacciava direttamente sull'ingresso al villino, guardò sua moglie baciare il postino e masturbarlo prima di finire in ginocchio a sbocchinarlo. L’uomo si ritrovò trasportato in un vortice naturale di schifo e rabbia davanti all’adulterio spudorato della sua consorte. Quella scena così lasciva gli aveva scolpito sul viso lo sguardo torvo di chi avrebbe voluto esplodere in una lunga serie di imprecazioni. E l’avrebbe fatto, l’avrebbe certamente fatto se una mano sbarazzina non sarebbe comparsa dal nulla attorno al suo cazzo, conducendolo in una furiosa masturbazione.

“E’ una porcona vero? Ma lo sono anche io… e sono tua… la tua porcellina… ti consolo io… la tua svuotacoglioni… mmm che bel cazzone…”

Era Ginevra. Anche lei aveva ascoltato la ramanzina di Amalia ad Antonio ed era rimasta a guardare la scena dalla finestra del corridoio del secondo piano perché qualcosa le diceva che il finale sarebbe stato esplosivo, conosceva troppo bene sua madre! Da quella stessa finestra aveva potuto vedere che anche Pietro assisteva a quello spettacolo ed era dunque potuta accorrere in soccorso di Amalia. Alle spalle del patrigno, gli baciava il collo, gli insaponava di saliva l’orecchio e gli sussurrava porcherie pastose e oscene. L’uomo era finito immobile, intontito in quella folle perversione. La figliastra gli aveva tirato fuori dalla tuta il cazzo ed ora glielo menava di brutto mentre lui fissava sua moglie tutta impegnata nel lavoro di bocca al postino.

“Schizza zozzone… fammi vedere quanta ne fai su… quanta ne hai in questo cannone mmmm… schizza nella mano della tua figliastra troia…”.

Era tutto così turpe.

Il postino riversò le sue ansie nella laringe della donna. Ogni fraintendimento ora era stato risolto ed i due già si avviavano al commiato. Di sorpresa, furono colpiti da strani schizzi che insozzarono la camicetta della donna e la divisa da lavoro del ragazzo.

"Uh a quanto pare il tempo sta cambiando...", fece lei.

"Ma che strano… c'è un cielo limpido ed un sole accecante...", le fece eco il postino mentre la donna, levato il capo al cielo, incontrò il balconcino della sua camera e rifletté tra sé coi suoi lungimiranti sospetti. Con due dita toccò le strane gocce piovute giù sulla sua camicetta, ne sondò la consistenza ed intuì l’arcano: sì, era sborra, probabilmente il marito l’aveva vista e, a quanto poteva ben vedere, certamente s’era masturbato, ma questo non le avrebbe evitato una scenata di gelosia. Sbuffò impensierita. A sollevarle l’umore, in quel momento, comparve al balconcino la chioma castano vermiglia di Ginevra che mostrò alla madre un “OK” con le dita e scandì muta: “A Pietro ci ho pensato io”. La madre si sorrise, guardò rasserenata Antonio che non aveva capito nulla e poi tagliò corto: "Sarà stata una nuvola passeggera… Dunque ci sono lettere per me?". "Una". Amalia prese la lettera e tornò in casa, sfilandosi la camicetta insozzata di sborra. Entrò in reggiseno davanti a Pietro che, tutto rasserenato, faceva zapping sul divano abbracciato a Ginevra. Si disse che davvero era un tesoro di ragazza, adorabile e giudiziosa. Le si accostò curvandosi a darle un bacetto sulle labbra e poi sussurrò: “Grazie”.

Risalì le scale, fermandosi sul ballatoio. Daniel le ostacolò il passo e le acciuffò rozzamente il polso strattonandola. “Ti ho vista!”, ringhiò sottovoce.

“Che hai visto?”, mormorò Amalia.
“Col postino!”.

“Scusa come hai fatto a vedermi?”.

“Guarda che ci sono le telecamere di sorveglianza!”.

“Ma che è la festa dei ficcanaso oggi?”.

“Come scusa? Non vorrai mica che lo dica a papà…”.

“Senti Daniel, ho tante cose da fare oggi e poi… uhm…”, la donna si interruppe perché il figliastro con una nuova presa ora le era finito alle spalle e la costringeva ad angolo retto, proiettata col viso al piano inferiore, contro il divano su cui c’erano Ginevra e Pietro a guardare la televisione. La camicetta sporca di sborra era finita ai suoi piedi e si sentì slacciare i jeans. Daniel glieli abbassò quanto bastava per poterla inculare. “Che porco che sei…. mmm…”, fece senza riluttanza ammaliata come sempre dall’irresistibile irruenza giovanile. “Liberati in fretta… c’è tuo padre proprio…”, mentre parlava sterzò lo sguardo dagli occhi eccitati di Daniel al divano e si zittì di botto: sua figlia saltellava concitata a cavalcioni sul patrigno. Amalia la guardò, non se l’aspettava ma non la sorprendeva di certo. Stette muta a fissare la scopata di Ginevra e Pietro. Quando il cazzo di Daniel le spappolò l’ano e le percorse l’intero canale, le sue idee erano un po’ mutate. Rigirò lo sguardo sul figliastro e disse sospirando: “Tesoro fa con comodo… da qui non ci vede nessuno…”.
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